Salite a 16 le vittime e duemila i feriti degli scontri alla barriera Israele-Gaza nel primo giorno della Grande marcia voluta da Hamas a 70 anni dall’esproprio delle terre arabe per creare Israele.
E il timore che la situazione diventi sempre più incontrollabile. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nella notte tra venerdì e sabato ha chiesto “un’indagine indipendente e trasparente” sui violenti scontri avvenuti venerdì al confine tra Israele e la Striscia di Gaza che hanno provocato la morte di 16 palestinesi – molti sono giovanissimi – e 2mila feriti.
Oggi, sabato, nei Territori occupati si celebra una giornata di lutto nazionale, durante il quale si celebrano i funerali delle vittime, indetta dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, che ha accusato Israele di essere “pienamente responsabile dell’aggressione a Gaza e della morte dei palestinesi”.
Nella notte il Consiglio di sicurezza ha esortato entrambe le parti alla moderazione, ma non ha deciso nessuna azione né rilasciato alcuna dichiarazione al termine della riunione. L’ambasciatore palestinese al Palazzo di Vetro, Riyad Mansour, si è detto rammaricato che il Consiglio non si sia unito nella condanna di questo “massacro odioso” di dimostranti pacifici e non abbia sostenuto la richiesta di protezione internazionale per i civili palestinesi. “Ci aspettiamo – ha aggiunto – che il Consiglio di sicurezza si assuma le proprie responsabilità” e “disinneschi questa situazione instabile, che costituisce chiaramente una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali”.
Per l’ambasciatore israeliano Danny Danon, invece, “la comunità internazionale non deve essere ingannata” da quello che ha definito come “un raduno del terrore ben organizzata e violento” sotto le insegne di una manifestazione pacifica. Timori sono stati espressi dall’ambasciatore svedese Carl Skauper per “una situazione estremamente preoccupante”, con il pericolo che ci sia un escalation fuori controllo. Alcuni membri hanno raccomandato di tenere un’indagine, sostenendo che Israele dovrebbe usare la forza in modo proporzionato.
Non si spengono però le polemiche e le accuse per le stragi della marcia di venerdì. La Grande marcia del Ritorno organizzata da Hamas nel 70° anniversario dell’esproprio delle terre arabe per creare lo Stato di Israele è subito sfociata, infatti, in un bagno di sangue. Negli scontri con l’esercito lungo la barriera di confine con la Striscia di Gaza, secondo il quotidiano israeliano Haaretz sedici palestinesi sono rimasti uccisi e almeno 1.400 feriti. L’esercito israeliano ha fatto sapere di aver sventato “un tentativo di attacco a colpi di arma da fuoco da una parte di una cellula del terrore” nel nord della Striscia. “Durante l’attacco – ha spiegato un portavoce dell’esercito – due terroristi si sono avvicinati alla barriera di sicurezza e hanno sparato verso i soldati israeliani”.
Secondo stime dell’esercito israeliano, sono circa 30mila i palestinesi che hanno manifestato «bruciando pneumatici, lanciando bombe molotov e pietre». In diversi punti del confine sono stati allestiti accampamenti, in vista del protrarsi della Marcia. Le manifestazioni dovrebbero concludersi il 15 maggio, anniversario della Nakva, la “catastrofe” ovvero l’inizio dell’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi dai territori espropriati agli arabi e assegnati al nascente stato di Israele nel 1948.
Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha arringato la folla assicurando che la Marcia sarà «l’inizio del ritorno di tutti i palestinesi». «Il popolo palestinese ha provato varie volte a prendere l’iniziativa e fare grandi cose», ha detto il capo del movimento islamico, ripreso dal quotidiano Haaretz, sottolineando che «questa marcia manda un messaggio: il popolo palestinese è unito contro l’occupazione, contro il blocco (di Gaza, ndr), contro le concessioni e gli accordi sospetti». Per Haniyeh, non ci sarà una soluzione al conflitto israelo-palestinese senza il ritorno «all’intera terra di Palestina
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