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PIER PAOLO & MARISA – Pasolini e l’empirismo empirico

A margine della “tre giorni” dedicata a Brolo a Pier Paolo Pasolini, nel 35^ anniversario dalla sua morte, pubblichiamo la sintesi dell’intervento della professoressa Marisa Miragliotta.

Avevamo già pubblicato precedentemente il contributo dati ai lavori, voluti dall’amministrazione comunale e ottimizzati dai ragazzi della “Peppino Impastato” e della “Sak Be”,  da Turi Schepis, docente ed attento osservatore del mondo socio-culturale-politico. 

Ora pubblichiamo alcuni brani dell’intervento, affascinante e partecipato, che ha colto l’attenzione di tutta la sala, della professoressa Miragliotta, effettuato ad avvio dei lavori, venerdì, nella sala multimediale “Rita Atria”.

Chiunque voglia intervenire su questo affascinante quanto controverso Uomo dei nostri tempi, poeta, regista e scrittore, può scrivere a redazione@scomunicando.it.

Ecco l’intervento:

Ma intanto ciò che conta è l’esempio trascritto della propria vita.

Una vita come protesta vissuta, come lento suicidio,

come sciopero o martirio”.

P.P. Pasolini, empirismo empirico

Per quanto profondi, originali, i commenti di una poesia o di un romanzo non possano non ridurli a qualche significato più o meno fissato, sclerotizzato, a meno che non li si lasci essere.

Il poeta   e il pensatore,nel loro “mestiere di punta”, portano, sostengono in mezzo ai pericoli, alle minacce e alla derisione altrui, un elemento contraddittore loro proprio, al quale costantemente devono far fronte e al quale rispondono o corrispondono.

Il sapere del poeta e del pensatore non è mai semplicemente intellettuale, di tipo casuale, tesa ad ordinare il mondo, perché questi si uniscono, e non arbitrariamente, ciò che va loro incontro: l’ignoto non dicibile, nella sua ricchezza e pluralità.

Qui, al pensiero, alla poesia compete essere avanti, non come sapere superiore o in anticipo, ma come agire altro o pluriforme.

Al poeta, al pensatore non si offre una consolazione, né una costruzione o un qualche consolidamento, ma un vincolo a quell’ eccesso di luce nel buio di contro.

Non si tratta di offrire una morale che detti delle regole, norme o fini per il comportamento ma semmai di un’etica, condotta responsabile, “engagement” di pensiero e di agire, mente e corpo.

Nel loro operare da artigiani, da apprendisti, i pensatori rivedano la loro precarietà: altro che professionisti dell’infallibilità!

Piuttosto che presentare un contributo in forma di esposizione,  vorrei rendervi partecipi di una riflessione sul Corpo in Pier Paolo Pasolini, perché il primo ricordo che serbo dell’Uomo Pasolini è il suo corpo. Il suo corpo senza vita, straziato, oggetto di una violenza feroce: la violazione capitale della poesia.

Non riesco ad immaginare il pensiero, la poesia senza la vita filosofica-poetica e questa senza il romanzo autobiografico che l’accompagna, la rende possibile e testimonia dell’autenticità del progetto. Un’esistenza produce un’opera e un’opera genera un’esistenza.

W. Siti ha scritto che il corpo di Pasolini è la traccia scritta di un’opera vivente, il testo come stratificazione magmatica, energetica e vitale dell’esperienza del suo autore.

La poesia – il pensiero sono come l’anima, cioè la forma della materia.

“La poesia non può ripresentarsi – in questo anno zero – se non collocandosi in una sorta di quadro pansemiologico, la cui integrazione figurale vivente (corporale, esistenziale) sia in atto”. (Empirismo eretico) e ancora “gettare il proprio corpo nella lotta” è una formula presa in prestito da un canto della resistenza dei neri americani (Empirismo eretico): in essa risuona simultaneamente “il corpo”di Pasolini de Who is me, noto come Poeta delle Ceneri.

Si, perché, in Pasolini, tutto dice il corpo, parte dal corpo e ritorna al corpo.

Che si tratti di un corpo qui-adesso, invischiato nel sentire intimo informulabile, dei corpi offerti al desiderio o alla repulsione o ancora di quella parte materiale che supporta l’incorporeo, proprio del linguaggio, del corpo-cadavere disteso e straziato o del corpo come potere.

Il corpo può intendersi sia come l’individuo, sia come componente espressiva, sia come totalità, ma mai come oggetto tra gli oggetti, semplice organismo.

Pasolini rinuncia a fare del romanzo un oggetto, una semplice forma narrativa indipendente da sé, per poter direttamente interagire col lettore. Espone la propria esistenza allo sguardo, al corpo di chi legge; coinvolge proprio il corpo agile, atletico, sano come mezzo elementare di contatto e di contestazione della malattia e della corruzione.

Il corpo come chiave di accesso, filo rosso di una riflessione, la mia, attraverso cui comprendere la critica alla società consumistica, repressiva e massificante in cui il corpo è ridotto a semplice merce di scambio, da vendere o comprare, copia di un modello imposto che ammorba, annulla  la singolarità di ciascuno e la sua irriducibilità, irripetibilità.

Da qui, il bisogno di sottrarre il corpo dall’oblio in cui è caduto: un’operazione paradossale, oggi, in un’epoca, quella dell’immagine, che lo ostenta, ma non lo evoca né celebra come arma per lottare contro il conformismo, il consumismo gretto e la globalizzazione,  l’omofobia….

Cosa può un corpo?

Già Baruch e Spinoza si pose tale domanda, pervenendo ad affermare che noi non possiamo sapere in anticipo cosa può un corpo, perché è ciò che noi possiamo proprio noi e solo noi. Il corpo non mente, esprime solo sé stesso: parla tanto quanto è parola ed è pure parlato.

Una reversibilità questa, tra il corpo e senso, significato che ricorda il rapporto tra anima e corpo e la loro quasi-identità in Spinoza.

E parla nel dialetto padre (il friulano), nella lingua madre e ancora di più nel silenzio plastico, espressivo e poetico del filmato (il Vangelo secondo Matteo).
La potenza espressiva della lingua risiede nella sua materialità, meglio ancora  nella sua corporeità.

Si pensi a quante parole dialettali non corrisponda alcuna forma di traduzione esauriente o alla voce che accompagna il gesto e che può tradursi in un vocalizzo di pura creazione immediata.

Il corpo è anche il mezzo attraverso cui Eros si manifesta nella forme della seduzione o della repulsione: è piacere, potenza orgastica, ma anche è, purtroppo, vergogna.

Attraverso il corpo, in esso,  accade la comunicazione più segreta,  intima e  simultaneamente, la più profonda incomunicabilità.

Al corpo conviene l’attributo dell’infinito (atti impuri), che complica, contiene le tensioni, annulla gli opposti alla maniera del massimo assoluto di Cusano. Ciò gli conferisce un alone sacro e mistico (altro che volgare!) . E’ l’illuminazione che emana dal corpo- cifra a darsi, per questo la forma è bella solo se lascia trasparire lo spirito che la anima, vivificandolo attraverso chi “pro-duce” la stessa bellezza. Penso qui, per esempio, alle annotazioni del viaggio in Eritrea che colgono la grazia corporea degli abitanti (“Tutti bellissimi”).

Se è possibile assimilare la bellezza ad un velo, è anche vero che non occorre, secondo Pasolini, squarciarlo, giacchè niente vi è nascosto dietro, dal momento che tutto si rivela insieme con esso: la bellezza interiore è bellezza fisica.

Il corpo è raramente immobile in Pasolini: esso incide lento la figura di Cristo, o nell’andirivieni frenetico dei ragazzi di vita. È evento, accadimento quanto affetto; è proiezione di sé oltre e fuori se medesimo, trasbordare continuo, offerta e dono.

Quando si chiude, si rannicchia, esprime malessere, decadenza, deterioramento.

Supplemento ontologico, esso si inscrive nel tessuto storico e sociale di cui è l’immagine. Si pensi alla differenza di essenza tra il corpo tipico, borghese, conformistico e il corpo povero, contadino, sottoproletario che non esprime solo una frattura politica, ma più sottilmente estetica in una trasmutazione dei valori.

Il corpo è il luogo dove il politico si afferma ed esprime. Non è il corpo che acquista valore presso il politico, ma quest’ultimo che si arricchisce del corpo.

Il corpo apporta un supplemento ontologico, esistenziale e in esso si dà la possibilità dell’oltrepassamento di sé, dei propri limiti in uno stato di fusione e compenetrazione con l’Universo tutto, in cui l’essere posseduti in senso lato è una via verso la Grazia cosmica, mentre la possessione è il “Male” che si esprime nell’edonismo, nella crudezza e nell’oscenità, volutamente insostenibile e rivoltante, nell’orrore di Salò che rimane nella memoria come monito.

Il corpo è salto, quindi, rifacendoci all’etimologia del saltare, è scandalo. Non puro involucro, ma aurea, anima e infinito, coincidenza degli opposti e dissoluzione delle contraddizioni.

Una teologia del corpo? Forse .

Il corpo si abbandona, laddove l’abbandono non riguarda, né appartiene al dominio della volontà generale o individuale, ma è il solo cammino che permette la revoca dei principi che hanno legittimato la storia, lo status quo, quindi, da questa prospettiva il corpo è abbandono, esposizione all’infinito.

Infinito, sostantivo maschile, perché per Pasolini è il padre che figlia, che dà nascita e ciò non per il primato del fallo, ma per la parentela con l’Universo, con l’infinito, appunto.

Dal pensiero del corpo approdiamo in questo cammino ad un’ Etica: passo, sbocco naturale se si pensa che con “Ethos” indichiamo prima di tutto il nostro soggiornare su questa Terra.

 

Se vuoi approfondire l’argomento dai una lettura su gli altri articoli pubblicati da scomunicando sull’argomento e sul testo di Turi Schepis… utilizzando il motore di ricerca interno del sito o quello di google.

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