…non mi ero mai addentrato nel cuore del centro storico di Patti, le mie visite alla sede storica del Comune di Patti si erano sempre fermate alla piazza alla ricerca di un parcheggio, guardando distrattamente qua e là.
Ritorno il 17 agosto con molta curiosità di sapere cosa ci fosse dietro il palazzone del municipio dove per me si fermava Patti, di vedere questa Polikne, scelta come luogo privilegiato della rassegna estiva del Tindari Festival.
Scese le scalette della piazzetta San Biagio, ove le luci delle candele delineano l’inizio di questo percorso magico, sospinto dalla scultura interattiva d’acqua di Milo Floramo che mi fa percepire subito che nulla mi avrebbe ricondotto ad elementi di terra, precipito nei luoghi della memoria, del sogno, dell’emozione, dove avrei potuto chiudere gli occhi e lasciarmi accarezzare da vento del tempo: voci antiche (riconosco Cuticchio, Buttitta, la Balistreri..) mi accolgono in un art’s open space e mi ritrovo circondato da un tripudio di arte, frutto dell’allestimento elegante, evocativo, bellissimo e sapientemente intriso di contemporaneo. Quello sapientemente curato da Laura Costantino, giovane e tenace pittrice che insieme ad Anna Ricciardi, direttore artistico del Tindari Festival ne ha ideato il progetto.
Mi imbatto nelle foto di Mimmo e Puccio Buzzanca: sono come scatti “sonori”, così vividi da farmi sentire dentro la tradizione popolare, l’uomo della banda con i piatti o i profumi delle antiche botteghe.
Le mura delle case antiche sono le pareti di una galleria d’arte all’aperto: maestose le tele di Simonetta Gagliano in cui l’occhio sprofonda alla ricerca di dimensioni spirituali e magnetico l’autoritratto di Daniela Balsamo in cui la lente d’ingrandimento sembra quasi catturarmi in un gioco di sguardi d’intesa.
Poetico il maestro Sigfrido Oliva con le opere incisorie, soggetti che restano impressi come i bimbi seduti in un vicolo della memoria… a suggellare gli effetti emotivi dei ricordi due maestri Michele Mancuso e Massimo Mollica (qui omaggiati con installazioni dedicati con le giacche e i libri del primo e i costumi di scena del secondo) emblemi in questo caso della forza ammaliatrice della letteratura e del teatro.
Lo sguardo dei ritratti di Laura Costantino meravigliosamente incastonati dietro antiche finestre di legno mi parlano, mi raccontano filastrocche, storielle, leggende parlano il siciliano dei miei nonni… quello che non si sente più.
Mi addentro quasi inquieto ma ardente di capire cosa celi l’antro della maiara.
Le stradine medievali sono rimaste intatte e la mano dipinta sulla tela posta sul soffitto dell’antro cerca di rapirmi ma io corro ritrovandomi dietro le mura dell’antico palazzo Sciacca Baratta a camminare a piedi nudi sul tappeto di vestiti e per dire a me stesso che la suggestione di essere ammaliato dalla scultura della maiara posta all’ingresso dell’antro è passata.
Mi accoglie la cosiddetta “tribona” dove le rassicuranti sculture di Antonio Schepis in ferro battuto e metallo troneggiano in luogo storico dove la leggenda dice che pattesi la difesero dai francesi invasori.
Ma non è tempo per ripensare alle guerre perchè trapasso nei “Riflessi- exit” di Roberta Guarnera.
E’ tempo di sognare, di sentire le ninne nanne, di sentirmi ancora una volta tra le braccia di mia madre, come la madre natura di Laura Costantino, entro nella galleria dei sogni.
Le lenzuola antiche ricamate aleggiano e io mi perdo nelle foto suggestive di Marzia Trusso che coglie con incisiva forza gli attimi intrisi di emozione, gli attimi che lasciano i brividi lungo la schiena.
Così arrivo alla scalinata ..quella sotto la Cattedrale: gli attori non sono più attori ma immagini che vengono dal passato, e che mi parlano …di fudditti, di Donne di Fora, di maiare condannate al rogo e di occhi di ventu.
Un tamburo lontano mi dice che la musica è iniziata e ritorno alla piazzetta San Biagio.
Qui qualcuno mi invita a ballare, e pizziche e le tarante mi avvolgono e io mi sento libero e frastornato
Mi giro ancora una volta per guardare Polikne che mi appare ora più bella che mai.
Due giorni di festa, lontano dagli stereotipi del Folklore, vissuti d’essenza e di storia, quella di Patti, di un paese, anzi una regia città, che rivendica spazi, luoghi della memorie, che conserva saperi e maioliche, ricordi e passato, che non possono essere relegati nel tempo concesso da un “calendario estivo” – due giorni -, ma che devono essere vissuti sempre.
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