di Candeloro Rino Nania
Spingere le moltitudini all’impoverimento di idee e di aspirazioni, considerarle in una schiera di nemici perché non condividono i nostri pensieri e poi buttare la discussione pubblica riducendola a battute del tipo ‘tu sei mafioso’, oppure tu ragioni di pancia o ancora rendi il dialogo monco perché non mi fai parlare o non mi ascolti, significa o equivale a logiche da ‘grande fratello’.
Ove si vorrebbe sempre e comunque orientare il tutto, dopo averlo sorvegliato, senza alcuna preventiva condivisione.
Questo è frutto di un approccio datato che richiama Huxley, Orwell, Koestler, Solgenitsyn, Milosz fino agli autori cinesi dei nostri giorni che hanno saputo descrivere ed interpretare il mondo asfittico delle visioni totalitarie, pensando sempre di coltivare una speranza di libertà, necessaria ed improcrastinabile.
Questo è sempre stato lo sforzo immane di chi ha pensato che le menti prigioniere sottraggono e/o privano di sorriso la vita, immalinconiscono gli animi e pregiudicano, peggiorandole, le relazioni con il mondo ed i propri simili.
La via d’uscita a questo esiziale cul de sac poteva individuarsi nel seminare ironicamente il sorriso, come ne ‘Il nome della Rosa’ in cui Eco riuscì ad intercettare il senso dell’eresia nell’apertura di una Chiesa che non poteva negare il sentimento dell’amore, lasciandolo fuori dallo spirito religioso, costituito invece, secondo l’ortodossia degli arcana imperii, solo di sacrifici e rinunce.
In ogni plesso la letteratura come la saggistica e la politica hanno speso risorse ed impiegato energie per dare senso alle ragioni dell’armonia.
Un maestro di questo pensiero, che ha tradotto le idee in politica, cimentandosi nella mondana realtà che andava trasformata, come Pinuccio Tatarella, trasmise a chi gli stava accanto come bisognava mettere assieme umanità ed esperienze, rendere comuni il sentire ed il mobilitarsi, andando oltre la destra, pur consapevole di doversi muovere sul terreno friabile e scivoloso di quanti rischiavano di trascendere nella dimensione senza il limite della morale condivisa.
Certo Tatarella, importante ideatore ed ispiratore della destra del 2000, ha mirato ai compromessi, a costruire aree vaste, tesi a migliorare il dialogo attraverso la costruzione di un linguaggio comune.
Chi, a destra, pensa ancora oggi, in questo contesto, a svolgere un ruolo di testimonianza di un’eredità di cui ha fatto parte anche Gianfranco Fini, senza mai pensare in umiltà di dover fare autocritica si riduce a negare la nobiltà di una politica che aspirava a dare il buon esempio, che mirava a mutare l’ordine delle cose ed anche a ridare dignità alle Istituzioni senza, con questo, volere l’esclusiva o dimostrare un primato a tutti i costi.
In fondo chi ancora si attarda in questo intendimento, con presunzioni e senza riscontri, pensa che nessun altro può provare a spendersi per il bene della medesima comunità.
Così rimane e si diffonde una sorta di ingiustificabile insoddisfazione di chi coltiva il risentimento a prescindere.
Di chi non può ammettere percorsi che possano continuare il cammino di quella stessa comunità, che ama le idee, che è passione e sentimento, ma che non può negarsi l’impegno con chi si trova a lui accanto in un mondo che merita una presenza significante, capace di trasmettere nuove chiavi di lettura, senza limitarsi alla contro-democrazia.
Se si volesse, oggi, seminare e coltivare qualità bisognerebbe comprendere, tutti quanti sempre insieme, che la mente e la pancia camminano inseparabili nello stesso corpo, amando la vita che muta e che continua ad affascinarci anche con la politica, spingendosi, se preventivamente elaborate e condivise, a nuove realizzazioni.
(Rino Nania / 19 ottobre 2017)
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