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Pedagogia della resistenza civile – “I Sovversivi” e Nino Amadore alla “multimediale” di Brolo

 

 

 

 

Una presentazione di un libro per certi versi atipica, fatta di testimonianze e racconti, come è atipico il libro “I sovversivi” scritto da Nino Amadore, una delle firme prestigiose  de “Il Sole 24 Ore”,  ma con un passato da cronista – sua l’inchiesta sulle strade d’oro dei nebrodi su “Centonove” e le prime esperienze a “la Sicilia “- che riaffiora in questo libro quando racconta e scrive usando le “fonti” come promemoria, citandole e comparandole.

“I sovversivi. In terra di mafia la normalità è rivoluzione” viene fuori dopo che Amadore ha scritto “La zona grigia. Professionisti al servizio della mafia” (La Zisa, 2007), ed aver pubblicato per Einaudi, con Serena Uccello, “L’isola civile.

Ma ancora citiamo: Le aziende siciliane contro la mafia” (2009) e successivamente “La Calabria sottosopra” (Rubettino 2010), mettendo a fuoco le complessità di una questione meridionale ancor prima che calabrese.

Nino Amadore ci parla di un sistema compromesso che rischia di sfuggirci – anzi l’ha già fatto – di mano.

Lo fa in maniera semplice, raccontandoci le storie di tanti “eroi per caso”, ma anche di uno Stato spesso impreparato, non organicamente organizzato, incapace a dare dignità a quelle voci che hanno scelto la denuncia all’omertà.

Ma accende l’attenzione anche sul valore dell’esempio, della scuola, del buon gesto, del valore di una libreria e condanna certe antimafie da passerella.

Nino, a Brolo, gioca in casa, ha tanti amici, gente che lo conosce da anni.

Lui ha origini galatesi e quindi il discorso spesso “scivola” sulla mafia di casa nostra.

Su come economia, politica e società, con una classe di professionisti a volte collusa, miope, dai piedi d’argilla, ha creato imperi e sfaldato granitici baluardi della politica, quella degli “intoccabili”.

Ma è lo Stato, spesso, sul banco degli imputati, quello – ovviamente – che non riesce a fronteggiare l’ordinaria amministrazione, figuriamoci l’emergenza ‘ndrangheta, cosa nostra e mafia., che non ha i soldi per le macchine delle scorte, che relega per mesi in un motel una testimone di giustizia con i suoi due figli, al punto di farla andare fuori di testa.

 

Amadore condivide con noi – presenti in sala – la sua esperienza umana e giornalistica, raccontandoci di come passeggiando per le vie di Palermo, anche un “falò – quello di San Giuseppe – diventa occasione per i mafiosi di quartiere per delimitare un territorio, una piazza, un pezzo di città,  mentre la “pattuglia” delle forze dell’ordine  non interviene, anzi è oggetto di sputi e denigrazioni, o come, con la scusa del contributo per le luminarie della festa, si chiede il pizzo, ed ancora, come si costringe il commerciante a diventare estortore, anzi esattore, … tutto nella normalità quotidiana di un città capace di convivere con il mafioso nel condominio ma che non accetta che lì ci stia un pentito o un testimone di giustizia.

Amadore è un sostenitore dell’impegno civile , è uno “dei tanti attori sociali che sui territori si spendono per dare dignità e voce a storie sommerse di ingiustizia quotidiana” come dice alla collega Lucia Lipari, in un’intervista.

Un impegno civile che contraddistingue anche la Sak – Be e la Cesas che hanno voluto questo momento di colloquio democratico, e che al tavolo, si una sala che non è un dcaso è intitolata a “Rita Atria”, erano rappresentati da Pierluigi Gammeri e Tiziano Granata.

Amadore scrive e racconta.

Il libro si legge in poche ore.. poi si ha voglia di vomitare e ci si sente vicini a quelle persone, lì raccontate, ed ora sole.

E’ un invito al “sogno, affinché nessuno voglia imbeccarci sul fatto che il parassitismo mafioso, la rendita sporca del malaffare, la logica bieca dei raggiri, sia scambiata per la vita vera.

Bisogna avere fiducia e ripartire da ciò che di buono c’è!”

E quindi aggiunge , come ha detto altre cento volte, che “bisogna contrastare il malaffare sul piano finanziario – e meglio di lui che guarda quest’aspetto da un osservatorio privilegiato, quello del maggior quotidiano finanziario d’Italia e tra i più prestigiosi del’Europa –  e contribuire a creare un’economia nuova, sostenibile, facendo rete e mettendo insieme le forze sane, anche con progetti rivoluzionari d’impresa sociale”.

Amadore conosce bene la criminalità organizzata, sa come parla, come agisce, come si rappresenta, come sa ben vestirsi, e con il suo libro contribuisce – al pari delle libreria che auspica veder sorgere in ogni piazza – a creare un’etica della bellezza ed una pedagogia della resistenza civile, attraverso la conoscenza, la cronaca, la denuncia.

Interessanti la testimonianza di Enzo “Mana”, all’anagrafe Vincenzo Mammana, “un musicista che da più di vent’anni si occupa di antiraket”, che racconta l’esperienza di Tano Grasso, dei primi passi dell’Acio, ed ora di quanto ascolta quando è allo sportello Antiusura di Palermo, quello regionale, che gli è stato affidato.

Enzo Bontempo e Salvatore Granata, di LegaAmbiente, ricordano le lotte sul territorio, e come ancora oggi emergono all’improvviso, sotto vesti nuove, con le imprese legate al malaffare che prosperano dove ci sono i fondi una volta regionali ora europei.

Maria Ricciardello parla dei ruoli delle scuola e della pubblica amministrazione, di esempi e interventi, mentre il dibattito si arricchisce dei contributi di Alessio Micale, amministratore orlandino –  storie familiari legate all’usura, al coraggio della denuncia, alla voglia di lottare – e del professore Salvatore Crisafulli, un occhio sempre attento sulla scuola e sulla sua didattica.

In sala anche Morena Gammeri che rappresentava il forum del giovani brolese, Antonio Traviglia il professore Michele Gaglio, Pino Campisi, altro consigliere comunale di Piraino, che apprendevano delle storie di Valeria, dei fatti che accadono nel quartiere di San Lorenzo e di via Resuttana, della vicenda del caffè Conca D’Ora e della cooperativa che lo gestisce e di come questo caffè “antimafia” non è accettato – anzi ripudiato – alla buvette della Regione Siciliana.

E tra ricordi e storie forti, emerge anche il nome di Enrico Caruso, a sei mesi dalla sua scomparsa, amico di Tano Grasso e di tanti presenti in sala.

Un incontro ricco .. peccato per chi non c’era. Un’occasione perduta  … per una crescita collettiva e condivisa.

 

Così  Nino Amadore parla de “I Sopravissuti” a Lucia Lipari.

 

Il libro inizia con la storia di Valeria Grasso, un’imprenditrice di Palermo, testimone di giustizia. Lavorava nel campo del fitness gestendo due palestre, che ricadevano proprio nel territorio controllato dalla famiglia di San Lorenzo, prima dalla famiglia Madonia e poi da quella dei Lo Piccolo.

Ben presto gli angeli custodi si trasformarono in estortori, e da qui l’inizio del calvario umano e processuale.

I testimoni hanno fatto una scelta e quella non prevede un ritorno.

Oggi Valeria combatte per dare un minimo di serenità ai suoi figli. Questo è il prologo che da avvio a tutte le altre storie.

 

Ed ancora:

 

Nel libro di sono dei macrotemi: imprese, professionisti ed ordini, chiesa, scuola, librerie.

Sulla scuola penso che  questa dovrebbe avere un esercito di professori motivati. Si pensi alla Scuola Giovanni Falcone allo Zen, ragazzi senza cibo, libri, energia. A che serve fare antimafia, soprattutto quella autoreferenziale, da spilletta, se poi questa scuola è così?!

Sempre parlando di cultura, le librerie va detto che diventano luoghi di incontro e ritrovo per tutti coloro che non si rassegnano.

Perché in terra di mafia anche un libro, perfino un libro, può diventare simbolo di ribellione alla subalternità e alla rassegnazione.

 

E parlando della Chiesa in rapporto al territorio ed ai fatti che lì accadono.

 

Scrivo delle feste patronali, delle presenze di potere, del controllo del territorio anche con l’espediente delle processioni e del Santo e storie positive come quella avvenuta nella chiesa del Santissimo Crocifisso di Siculiana, ad Agrigento: era già  tutto pronto per i funerali di Giuseppe Lo Mascolo, ultrasettantenne deceduto due giorni prima a causa di un ictus.

Il parroco don Leopoldo Argento però fermò la funzione: niente esequie per Lo Mascolo, ma soltanto una preghiera e la benedizione della salma.

Il motivo? Lo Mascolo era considerato il nuovo boss mafioso di Siculiana. La storica scelta fu di monsignor Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento e presidente della commissione episcopale della Cei, che vietando le esequie religiose per un boss mafioso ha di fatto creato un importante precedente.

 

Sulle  responsabilità gli ordini professionali

 

Invito alla riflessione. Emblematico il caso dell’avvocato milanese Paolo Sciumé, coinvolto in un’inchiesta per riciclaggio.

Gli ordini professionali possono fare molto, ma se ne fregano.

La sfida a fare chiarezza viene esclusa, ma la coscienza ha un peso nella vita di ognuno di noi.

 

La magistratura ne I Sovversivi

 

Mi colpì tempo fa la macchina del fango addosso a Fabio Regolo, giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Vibo Valentia. Roberto Lucisano, presidente dello stesso Tribunale, ne evidenziò in un comunicato lo straordinario spirito di sacrificio e totale dedizione al lavoro.

Assolto pienamente dal Consiglio superiore della magistratura  ma calunniato.

Qualcuno fece trapelare la notizia di incarichi affidati dal magistrato allo stesso fratello.

Regolo è finito nel tritacarne di un sistema professionistico marcio. Pochi sanno che proprio il settore fallimentare genera uno dei mercati più ricchi, quello delle vendite e non solo.

 

L’attualità de  I Sovversivi

 

Le organizzazioni sono presenti dappertutto. Voglio raccontare in controluce, attraverso le storie di persone che si battono per una vita normale, le difficoltà che si incontrano.

Ci troviamo di fronte ad un paradigma di regole infrante, ad una destrutturazione di norme che si interpretano e si rompono, non avendo così più un senso.

Bisogna combattere una cultura deviata, quella secondo cui non vale la pena di battersi per qualcosa.

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