La personale “Nell’ora violetta…” di Sara Teresano, per il ciclo “R-esistenza d’artista” a cura di Saverio Pugliatti, si articola in due diverse sedi, la sala mostre del Teatro Vittorio Emanuele e la galleria d’arte Kalòs, che dal 6 al 17 aprile ospiteranno un’imponente raccolta di opere, fra statue e busti di terracotta, sculture in alabastro e marmo, pannelli di sale. Questa polifonia tecnica, stilistica e tematica che seduce subito lo spettatore si esplica in passaggi lievissimi, dove tutti gli elementi si ricompongono dentro una trama simbolica comune. Così, ad esempio, le terrecotte raffiguranti sirene, nereidi, donne-farfalla, se da un lato mostrano all’interno della propria finzione mitica, un carattere giocoso e spensierato, dall’altro accennano nei volti minuti e superbi, una consapevolezza intima, di donna, una fierezza conquistata e compiacente. Consapevolezza che si declina anche nelle altre opere e vi assume accezioni filosofiche più generali, come risultato di uno complesso cammino di osservazione e ricerca. Nelle sculture di alabastro e marmo, la riproduzione di spore, fiori, porzioni di organismi, evidenzia un continuo dialogo fra le numerose concavità e la resilienza della matrice, il valore compositivo e semantico del vuoto, la necessità dell’assenza iscritta nella presenza. Il buco serve. Serve ad accettare nutrimento, estromettere vita, estinguersi. L’artista studia questo microscopico transito in natura, dall’organico all’inorganico e viceversa, come una goccia d’acqua in bilico su una corolla o un seme che evangelicamente muore nel terreno. Ne trae una fotografia delicata, dove si scruta -forse coglie- il mistero della vita e si indugia sull’interdipendenza dell’essere dal non-essere, come negli scabrosi ed aerei bassorilievi dei pannelli di sale, equilibri tangibili di struttura e vacuità. Non di meno, questo tema si interpola con l’inevitabile riflessione sulla caducità del tempo, nelle statue e nei busti, tenere figure di bimbi che incarnano le “Cinque Stagioni” o i quattro piccoli ‘sogni’ d’infanzia. Qui, alla plasticità dei corpi di terracotta è stata associata la fragilità poetica di interventi in carta e cera, traduzione materica di una struggente evanescenza, che basta una fiammella a dileguare. Al centro dell’esposizione, come somma sintesi e cifra interpretativa, si erge infine, l’affascinante“Quinta Stagione”, statua di sale offrente una farfalla-anima di cera: di fronte a questo gesto di generosità e liberazione spirituale, non si può non esclamare insieme al poeta greco Ghiannis Ritsos: “Tu sei l’oblio assoluto; tu sei il ricordo assoluto. Tu sei la non incrinata fragilità”.
Che ancora risplende nell’ora violetta…
Sefora Adamovic