Cronaca

RADIOGRAFIE CRIMINALI – Il territorio messinese e la mafia

LA MAFIA NELLA PROVINCIA DI MESSINA

Dall’ultima relazione della Dia

La provincia di Messina, in ragione della sua particolare posizione geografica, rappresenta lo spartiacque tra varie organizzazioni di tipo mafioso.

Posta al centro delle aree di interesse di Cosa nostra palermitana e catanese, nonché della ‘ndrangheta, la mafia messinese acquisisce a secondo della contiguità territoriale l’influenza dell’una o dell’altra organizzazione criminale. Ne consegue che i gruppi mafiosi “Barcellonesi” e quelli dell’area nebroidea attivi nella zona al confine con la provincia di Palermo hanno strutture organizzative e modus operandi analoghi a quelli di Cosa nostra palermitana. In tale ottica appaiono plausibili le ingerenze delle consorterie catanesi nelle aree di confine tra le province nonché nel capoluogo.

Riscontrati da pregresse attività investigative i rapporti delle organizzazioni criminali messinesi con le vicine cosche calabresi sono finalizzati per lo più alla gestione del traffico di stupefacenti pur senza escludere che tali rapporti possano evolversi anche verso l’adozione di una strategia diretta al reimpiego degli ingenti capitali provenienti dai traffici illeciti verso attività imprenditoriali più remunerative presenti nella provincia quali quelle del settore turistico in una fase economica in cui molte attività imprenditoriali, nel tentativo di risollevarsi dalle difficoltà provocate dalla recente pandemia, sono in evidente difficoltà e tendenzialmente disposte a cedere asset aziendali a valori anche inferiori a quelli di mercato. In tale contesto criminale in cui si manifestano continue interazioni tra sodalizi vige una sorta di tacita tolleranza finalizzata alla vicendevole convenienza, alla soluzione di problematiche comuni e alla riduzione o alla completa rinuncia a cruenti azioni criminali che polarizzerebbero inevitabilmente l’interesse istituzionale e mediatico. Inoltre si evidenzia la capacità di alcune organizzazioni mafiose messinesi di espandersi in altre province confinanti dove hanno esportato una specifica competenza nell’acquisizione illecita di finanziamenti pubblici destinati al settore agro-pastorale.

Tale aspetto, unitamente alla gestione del gioco d’azzardo, sottolinea l’evoluzione di alcune consorterie messinesi capaci di affiancare ai reati tipici dell’associazione mafiosa abilità imprenditoriali nella gestione di attività criminali più remunerative e meno esposte al rischio di contrasto da parte delle forze di polizia. Nel semestre la ripartizione delle aree di influenza dei gruppi messinesi risulta sostanzialmente invariata.

Nella parte settentrionale della provincia di Messina opera la cosiddetta “famiglia barcellonese” comprendente i gruppi dei “Barcellonesi”, dei “Mazzarroti”, di “Milazzo” e di “Terme Vigliatore” che nel periodo di riferimento è stata interessata dalla confisca di beni per oltre 8 milioni di euro. Nel territorio dei Monti Nebrodi risultano attivi i sodalizi dei “Tortoriciani”, dei “Batanesi” e dei “Brontesi” nei confronti dei quali talune investigazioni hanno evidenziato l’accaparramento dei terreni agrari e pascolivi per beneficiare di fondi comunitari destinati allo sviluppo delle zone rurali.

a Messina

Nel capoluogo Messina si registra l’operatività di una “cellula” di Cosa nostra catanese riconducibile ai Romeo-Santapaola capace di coesistere con altri clan orientanti prevalentemente nel traffico di stupefacenti e nella gestione di scommesse clandestine.

Nella zona nebroidea

Nella zona nebroidea risulta presente anche la famiglia di Mistretta ritenuta legata al mandamento palermitano di San Mauro Castelverde la quale influenza l’area confinante con la provincia di Palermo ed Enna. La fascia jonica che si estende dalla periferia sud di Messina fino al confine con la provincia di Catania costituirebbe area di influenza delle organizzazioni mafiose etnee in quanto fondamentale area di spaccio e potenziale bacino di reinvestimento di capitali di provenienza illecita.

nel barcellonese

Nella fascia tirrenica della provincia, ove egemone è la famiglia dei “Barcellonesi”, il business principale per le organizzazioni criminali risulta essere il traffico e spaccio di stupefacenti. Nel semestre l’indagine “Drug Express” ha consentito di disarticolare un gruppo criminale capeggiato da un tunisino con base a Milazzo ma con ramificazioni anche a Roma dedito alla gestione del traffico e dello spaccio di cocaina e crack. Una peculiarità dell’attività illecita era la consegna a domicilio della sostanza stupefacente. L’approvvigionamento avveniva anche attraverso un canale romano che trasferiva la droga ai messinesi mediante il sistema delle spedizioni.

“Drug Express”

L’indagine, a conferma della caratura criminale dell’associazione, ha disvelato anche l’esistenza di un progetto criminoso volto ad attuare un attentato contro la caserma e gli automezzi della Guardia di Finanza del Gruppo di Milazzo e finanche a progettare una vendetta ai danni di un militare che aveva sottoposto taluni degli indagati ad un controllo su strada.

“Lock Drugs”

L’indagine “Lock Drugs”, conclusa dai carabinieri il 22 luglio 2021, ha invece riguardato una fiorente attività di spaccio di marijuana e cocaina nell’area di Barcellona Pozzo di Gotto realizzata da soggetti giovanissimi attraverso l’utilizzo di social network, ritenuti meno vulnerabili sotto il profilo del monitoraggio investigativo.

i catanesi Romeo-Santapaola

Nel capoluogo si registra l’operatività di una “cellula” di cosa nostra catanese riconducibile ai Romeo-Santapaola capace di coesistere con altri clan orientanti prevalentemente nel traffico di stupefacenti e nella gestione di scommesse clandestine. Nella zona sud di Messina, in particolare nel quartiere Santa Lucia sopra Contesse, risulta egemone il clan Spartà.

i gruppi criminali nei villaggi

Si tratta di un gruppo criminale di indole sanguinaria come dimostrano gli esiti di un’attività investigativa che nello scorso semestre ha consentito di disarticolare una consorteria criminale contigua al citato clan operante nel capoluogo peloritano, in quello etneo e con propaggini a Roma e a Pescara dedita alla commercializzazione di elevati quantitativi di sostanze stupefacenti. L’indagine, oltre ad aver represso un lucroso traffico di droga sull’asse Roma-Pescara-Messina, ha evidenziato la capacità del clan di interagire con altri sodalizi criminali mantenendo un consolidato e stabile collegamento criminale con un clan pescarese ed esponenti contigui al clan Santapaola-Ercolano di Catania. In tale contesto criminale, inoltre, il 2 luglio 2021 nell’ambito dell’indagine denominata “Know Down” scaturita a seguito di un’aggressione originata da debiti pregressi legati al traffico di droga, è stato eseguito un provvedimento restrittivo nei confronti di 11 soggetti ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, rapina, estorsione, lesioni personali aggravate e furto aggravato.

L’inchiesta ha rivelato l’esistenza di un’associazione criminale operante nel rione di Santa Lucia sopra Contesse dedita e specializzata nella gestione di un traffico di droga (per lo più cocaina, marijuana) destinata ad essere immessa sul mercato messinese. Il traffico di stupefacenti appare dunque il comune denominatore per la convivenza tra gruppi criminali peloritani e quelli di altre province. Riguardo alla capacità di intrattenere rapporti con altre consorterie l’attività investigativa denominata “Provinciale”, conclusa nell’aprile 2021, nel ricostruire le dinamiche mafiose insistenti nel centro città ha evidenziato come un esponente del clan Spartà avesse fornito in passato un sostegno economico al capo clan del quartiere Provinciale una volta scarcerato.

Nel centro di Messina, infatti, il quartiere Provinciale è appannaggio del clan Lo Duca attivo nel cosiddetto fenomeno della “messa a posto” e nel traffico di sostanze stupefacenti. La predetta operazione “Provinciale” ha disvelato l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso composta da “…tre gruppi associativi stanziati in diverse parti centrali della città che cooperano tra loro, invece di fronteggiarsi, secondo un patto tacito di pace reciproca: un gruppo, facente capo a…omissis…, è stanziato nel territorio di Provinciale, un altro gruppo, facente capo a…omissis…, coesiste nel territorio di Provinciale (e, in particolare, nel rione Fondo Pugliatti ndr) e un terzo gruppo, facente capo a…omissis…, opera nella zona di Maregrosso”.

L’inchiesta che ha coinvolto numerosi affiliati se da un lato ha confermato la presenza dominante del clan Lo Duca nel quartiere Provinciale grazie al controllo del traffico di sostanze stupefacenti proveniente da Reggio Calabria e delle estorsioni, dall’altro ha appurato la presenza nella zona delle altre consorterie precedentemente citate. Quella operante nel rione Maregrosso nel tempo ha gestito, mediante una rete di accoliti, il controllo della sicurezza nei locali notturni e il traffico di sostanze stupefacenti. L’altra egemone nella zona denominata Fondo Pugliatti, attraverso un’impresa operante nel settore dei giochi e delle scommesse fittiziamente intestata ma di fatto riconducibile al sodalizio in parola, ha rimpinguato le proprie “casse” grazie ai rilevanti introiti derivanti dalla criminale “gestione aziendale”. Inoltre il capo di quest’ultimo clan si era reso responsabile del reato di scambio elettorale politico-mafioso fornendo sostegno a un politico locale nel corso delle elezioni amministrative di Messina svoltesi il 10 giugno 2018.

Gli sviluppi investigativi della descritta attività hanno portato nel semestre all’esecuzione di una misura cautelare personale e reale nei confronti della figlia del predetto boss, ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 512 bis c.p. nonché al sequestro di due attività commerciali operanti nel settore della ristorazione, ubicate nel centro cittadino, formalmente intestate alla predetta ma di fatto gestite dal capo clan.

Sempre nel centro cittadino, nel rione Camaro pur in assenza di evidenze investigative opererebbe il clan Ventura-Ferrante nel rione Mangialupi risulterebbe operativo l’omonimo clan rappresentato da storiche famiglie e attivo come emerso da pregresse attività investigative soprattutto nel traffico di stupefacenti per l’approvvigionamento dei quali si relaziona con i vicini clan calabresi. L’operazione “Dominio” del 2017 ha acclarato l’interesse del citato clan anche per il settore delle scommesse clandestine e del gioco d’azzardo. Altro clan attivo nella zona centrale in particolare nel rione Gravitelli sarebbe quello riconducibile ai Mancuso sebbene nel semestre non sono registrati coinvolgimenti di propri affiliati in attività investigative.

Nel quadrante settentrionale della città, segnatamente nel rione Giostra, risulta radicato il clan Galli-Tibia avvezzo all’illecita organizzazione di corse clandestine di cavalli nonché al narcotraffico perpetrato in collaborazione con consorterie catanesi e calabresi come dimostrato dalle operazioni “Festa in maschera” e “Scipione”. Quello di Giostra è un contesto criminale particolarmente delicato in cui in passato si sono registrati violenti episodi delittuosi ed in continua evoluzione. Permane costante la volontà delle consorterie mafiose di infiltrare o condizionare l’attività politico-amministrativa degli Enti territoriali del messinese.

Intorno al maxiprocesso

Attività delittuose queste che spesso conducono allo scioglimento degli Enti amministrativi per accertate infiltrazioni mafiose, come del resto avvenuto per il Comune di Tortorici in virtù degli esiti dell’operazione “Nebrodi” scattata il 15 gennaio 2020 ed il cui maxi-processo è in via di conclusione davanti al collegio giudicante del Tribunale di Patti (a Messina).

“Chair”

L’indagine “Chair”, conclusa nel giugno 2021 dalla DIA di Messina, ha fatto emergere ripetuti episodi di corruzione elettorale e di estorsione aggravata dal metodo mafioso registrati nel corso delle elezioni del 2017 per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana che ha coinvolto anche alcuni messinesi. Altro fenomeno endemico, sebbene non sempre riconducibile alle affermate compagini criminali, risulta quello degli episodi corruttivi posti in essere da spregiudicati imprenditori e pubblici funzionari che perseguono il facile arricchimento derivante dall’aggiudicazione di pubblici appalti.

Ulteriori misure di contrasto alle organizzazioni criminali sono i provvedimenti ablativi che colpiscono i patrimoni criminali illecitamente accumulati nel tempo.

“Gotha7”

A tal riguardo nel semestre oltre ai provvedimenti effettuati dalle forze di polizia nell’ambito di indagini giudiziarie la DIA di Messina ha eseguito due decreti di confisca e due sequestri beni. In data 11 ottobre 2021 è stato confiscato il patrimonio, pari a circa 8 milioni di euro, di un imprenditore ritenuto contiguo al gruppo dei “Barcellonesi” e condannato nell’ambito del procedimento “Gotha7” per estorsione aggravata dall’aver agevolato l’attività della predetta associazione mafiosa. Il 12 novembre 2021 sono stati sottoposti a sequestro compendi aziendali e quote sociali di tre imprese operanti nel settore edile e della commercializzazione di vetture, immobili, beni mobili registrati e rapporti finanziari per un valore complessivo stimato in circa 2 milioni di euro, riconducibili ad un imprenditore già attinto da un pregresso procedimento di prevenzione personale e patrimoniale poiché ritenuto contiguo alla famiglia mafiosa di Mistretta.

Il successivo 25 novembre è stata eseguita la confisca di due unità immobiliari nella disponibilità di un partecipe della consorteria operante nel rione Giostra.

Le organizzazioni criminali straniere sul territorio peloritano

Infine la presenza di organizzazioni criminali straniere sul territorio peloritano non sarebbe in generale significativa. Tali consorterie risultano tuttavia attive in dinamiche attinenti l’immigrazione illegale e la tratta di esseri umani, laddove non si evidenziano cointeressenze delle mafie autoctone. Si registra peraltro un’interazione funzionale al traffico di stupefacenti tra soggetti riconducibili alla criminalità messinese e cittadini stranieri come accertato per ultimo dall’operazione “Drug express”.

da leggere

La relazione della Dia “più affari meno violenza”

La nota di ieri dell’Ansa fa il punto sul II^ semestre 2021

 

Le indagini confermano ancora una volta che il modello ispiratore delle mafie è “sempre meno legato a eclatanti manifestazioni di violenza ed è, invece, rivolto verso l’infiltrazione economico-finanziaria”: una ulteriore conferma della “strategicità dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale”. Lo segnala la Dia nella relazione al Parlamento per il secondo semestre 2021. Le attività sono quindi orientate a proteggere il tessuto economico del Paese, nel semestre sono stati effettuati sequestri per 165 milioni di euro, confische per 108 milioni; e ancora 373 interdittive antimafia, 69.000 segnalazioni per operazioni sospette.

“Le risultanze di analisi sui fenomeni criminali di tipo mafioso – sottolinea la Direzione investigativa Antimafia nella sua relazione – continuano a presentare il rischio che i sodalizi di varia matrice, senza peraltro a rinunciare a porre in atto tutte le azioni necessarie a consolidare il controllo del territorio, possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al Pnrr”. L’inquinamento dell’economia sana è aspetto fondamentale per la sopravvivenza delle consorterie che aumentano la propria ricchezza “invadendo il campo dell’imprenditoria legale, specie quella maggiormente colpita dalle conseguenze dell’attuale crisi economica”.

Le organizzazioni per altro non si limitano più al “saccheggio parassitario” della rete produttiva “ma si fanno impresa sfruttando rapporti di collaborazione con professionisti collusi la cui opera viene finalizzata a massimizzare la capacità di reinvestimento dei proventi illeciti con transazioni economiche a volte concluse anche oltre confine”. Le operazioni, spiega la Dia, sono tese quindi ad aggredire le organizzazioni sotto il profilo patrimoniale per “arginare il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’ordine pubblico economico”. Una conferma di quanto oltre 30 anni fa avevano previsto i giudici Falcone e Borsellino “che avevano fortemente voluto ed avviato quell’architettura antimafia di cui la Dia è parte integrante finalizzata a colpire i sodalizi anche sotto il profilo patrimoniale arginandone il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati nell’ambito dei mercati economici per evitarne l’inquinamento”.

Le inchieste concluse nel secondo semestre del 2021 restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta “silente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico-imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico”, scrive la Dia nella sua relazione segnalando “la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità”, con l’obiettivo “di subentrarne negli asset proprietari e nelle governance”. La Dia torna a segnalare come l’impermeabilità al fenomeno del pentitismo, dovuta dalla “forte connotazione familiare”, si stia cominciando a incrinare per il “numero sempre crescente” di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia”. I maggiori proventi restano legati narcotraffico: i sodalizi calabresi si confermano “interlocutori privilegiati con le più qualificate organizzazioni sudamericane garantendo una sempre più solida affidabilità” e il settore non ha fatto registrare flessioni significative, neanche nell’ultimo periodo e nonostante le limitazioni alla mobilità per la pandemia. Non solo traffici ma anche interessi nella produzione, con “il rinvenimento di numerose piantagioni di cannabis coltivate in varie aree della regione”: si tratta – secondo la Dia – di una circostanza che allo stato non permette di escludere “il coinvolgimento della criminalità organizzata nel fenomeno della produzione e lavorazione in loco di sostanza illecita destinata alla commercializzazione”.

In Sicilia si conferma “minimale” il ricorso alla violenza mentre si continua registrare la convivenza sullo stesso territorio delle organizzazioni mafiose per la spartizione degli “affari”. La Dia segnala come in uno scenario di stagnazione economico-produttiva, “trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del Pnrr destinati all’Isola”. La criminalità organizzata siciliana si presenta con caratteristiche diverse nelle varie aree della regione e la relazione ricostruisce la geografia mafiosa. In Sicilia occidentale Cosa nostra resta strutturata in mandamenti e famiglie: nella provincia di Agrigento si continua a registrare una “zona” permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta “stidda”, “che è riuscita con gli anni a elevare la propria statura criminale fino a stabilire con le altre famiglie patti di reciproca convenienza”; mentre a Trapani non può prescindere dal ruolo di Matteo Messina Denaro, che nonostante la latitanza dal 1993 resterebbe la “figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse”. Resta inoperativa la “Commissione provinciale di Palermo” e “la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà”; a questi personaggi mafiosi si affiancano poi giovani criminali “forti di un cognome o parentela “di spessore””. In Sicilia occidentale, e in particolare nella città di Catania, alle storiche famiglie si affiancano altri sodalizi, più fluidi e non organici a Cosa nostra (ANSA).

Redazione Scomunicando.it

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