Ora è a Brolo, qui grazie alla collaborazione con Antonio Traviglia e l’Ufficio Turistico Comunale, ha allestito i suoi particolari ed unici set.
Così sotto le sue impietose domande, a tratti irriverenti, ma rassicuranti, avvolgenti, i “vecchi” si mettono a nudo, si aprono, parlano, come adolescenti, non del passato, né di com’erano, ma di ciò che vogliono, dei sogni che coltivano, che hanno perso, di nuove consapevolezze, di Dio e nipoti, di fede e razionalità, di amore e di sesso anche quando non lo fanno più.
Interviste che poi saranno “tagliate” assemblate, che uniranno concetti e pensieri, emozioni e sogni, dove appunto il montaggio farà la differenza, in un mix che al momento in pochi riescono ad immaginare.
Interviste che vedo i nostri vecchi parlare di un futuro a volte sereno, in alcuni casi, un futuro e basta.
Un’indagine che superato l’aspetto artistico, diventa quasi sociologica; che appunto, fuori dai luoghi comuni, stereotipati, regala pillole di ottimismo, e le rughe si aprono al sorriso, ma a tratti fanno riemerge dolori, vengono fuori parole come con-passione, perdono.. speranza.
Ed il bacio che la regista, ma tutta la troupe (Giulia Gerosa – aiuto regia; Cristian P. Nicola – operatore di macchina; Serena Romano – costumista), alla fine cerca e trova e che si scioglie in un abbraccio con l’intervistato è liberatorio, di cuore, come le lacrine che a volte è difficile trattenere.
Un transfer compiuto, quasi come nelle sedute di psicoterapia.
Il lavoro a Brolo raccoglie l’esperienza maurata quando la Rizzo ha “abitato” i luoghi girando con Daniele Ciprì (direttore di fotografia) “Un tango prima di tornare” in veste di aiuto regista di Italo Zeus.
Un rapporto sedimentato, naturalmente, con le gente, i luoghi e appunto Antonio Traviglia che ora ha ottimizzato e voluto Brolo ed i suoi “anta” tra i protagonisti del lavoro.
Mirian Rizzo ha “girato” con una troupe ridotta all’essenziale, che è “entrata” nelle case, cogliendo le intimità fatte anche di odori, umidità e rumori di un quotidiano che poi proverà a rappresentare.
Sarà una Sicilia fatte di riflessioni, dove c’è anima e famiglia, amori e passioni sopite, che spesso e volentieri, fa emergere i dubbi per il lavoro che manca ai nipoti, le solitudini di un domestico fatto di noie esistenziali, in attesa di Godot, o nell’attesa di una sorpresa.
Così Miriam continua a girare, bit su bit di pellicola digitale, cura la luce, sta attenta alle sfumature, i suoi collaboratori sospostano una tenda allontanano un vaso zeppo di girasoli, per far sì che la luce inondi un “tinello”, illumini un poltrona dal plaid scacchettato che accoglie disabilità non accettate.
E’ la Sicilia dei “nonni” quella che Miriam ricerca, quelli che nutrono speranze e coltivano ancora certezze, nonostante tutto, soddisfatti – nel loro a volte triste sbarcare il lunario – consapevoli che c’è l’hanno fatta.
Il lavoro cinematografico è arrivato al capolinea.
Ormai restano solo poche interviste da fare, giù ancora verso Siracusa, dalle parti di Solarino.
Poi si assembla tutto.
Sul futuro del film nessuna parola.
“Omertosa” nello svelare le ambizioni che coltiva – lei – per questo lavoro, dove c’ha messo l’anima.
Ma certamente sarà un film da Festival, da Concorso.
MSM
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