Guardare attraverso un obiettivo, premere un bottone, sentire un “clac” e poi, quando si estraeva la piccola pellicola o si impressionava la lastra, passavano ore, giorni, ci voleva tecnica, maestria, sentir sui polpastrelli gli acidi, mentre tutto sfocava nei rossi inatticini.
Era un’arte la fotografia, fatta da tempi d’esposizione, da sensibilità innate, da tecniche ed esperienze che poi diventano un tutt’uno col colpo d’occhio del fotografo come gli obbiettivi, i cavalletti, le borse e molto altro ancora.
Tindaro Pidonti, ha una collezione di vecchie macchine fotografiche, proveniente principalmente dal padre Giuseppe, l’antesignano tra i fotografi dei Nebrodi, ma poi sapientemente arricchita nel tempo, da regali, ricerche che ne hanno alimentato la passione per il collezionismo. Le cura, le pulisce, le riprende, le usa.
Per lui la fotografia è “scrittura di luce”, rammenta bene come si usavano i sali d’argento, a cosa servivano e i consigli del padre sul “negativo-positivo”.
Sa che la luce è madre della fotografia.
E quindi in un momento felice, l’unione di una coppia, il punto di ri-partenza di una storia d’amore che dal fidanzamento li porta a costituir famiglia, ha voluto fare un “servizio” speciale al figlio ed a Michelle.
Chiamando amici, professionisti di quest’arte, ha fatto una squadra di fotografi che hanno scattato con vecchie metodi ma con innovati entusiasmi.
E così un , anzi “il, matrimonio è diventato anche un occasione di nuove, anzi vecchie, sperimentazioni dell’arte di far fotografia.
Il matrimonio, già magico per gli interventi di Vittoria, la sorella, maestra nell’arte di arredar eventi, diventa improvvisamente vintage, festival dell’arte fotografica, fenomeno che è un misto di nostalgia e moda e che è riuscito nella miracolosa impresa di resuscitare ciò che sembrava estinto.
Ecco quindi tornare come il vinile nella musica il concetto di pellicole e lastre nella fotografia.
A scattar queste foto c’erano Santino Mangano, Pippo Costa, Michele Segreto, Marco Magale, Enrico Rinaldo,Franco Costa e ovviamente Tindaro Pidonti, e qualche scatto se l’è permesso anche lo sposo.
Loro hanno usato macchine che coprono un ampio di segmento storia della fotografia.
Macchine che sono state le vere protagoniste con tutto il loro fascino della storia della fotografia.
Gli sposi sono stati bersagliati dai “click” di una Goerz a lastre degli anni ’30, da quelli dell’Agfa a soffietto del ’50, impressionati sulle pellicole della Momenh 24 a soffietto, da quelli di una Kodak Junior, forse la macchina più giovane di quelle utilizzate, di fine anni cinquanta.
Ed ancora scatti dalla Pontina compur a soffietto (1950), da quelli della Penguino england (1940) e dalla Zeiss Ikon, anche questa a lastre degli anni 40.
Tutte macchine appartenenti alla collezione di Tindaro Pidonti.
Ovviamente soddisfazioni per Tindaro…
Ovviamente anche un attimo di riflessione su quegli scatti, bellessimi, pieni di nostalgie, alcuni sembrano davvero essere usciti da una serie di ritocchi dal computer, tanto sono fermi nel tempo.
Oggi chiunque di noi ha in tasca un cellulare dotato di una fotocamera con il potenziale di una macchina professionale. Uno strumento ultra-compatto che permette di scattare foto a volontà, di modificarle all’istante, di inserire filtri e di pubblicare il risultato in Rete.
Il tutto in una manciata di secondi.
È l’hi-tech con la sua bellezza tecnologia che ci rende tutti fotografi.
Ad ognuno il suo mestiere.