Non solo immagini a corredo, ma immagini che raccontano. Che prendono parola. Che incidono, emozionano, interrogano. A maggio, Scomunicando continua il suo percorso narrativo attraverso l’obiettivo fotografico, trasformando ogni scatto in una forma autonoma di scrittura.
La fotografia, nel nostro progetto, non è più ancella della parola scritta. Non la segue, non la illustra. La fotografia diventa racconto, opinione, visione. Una forma d’arte che pensa. E lo fa in modo potente.
Le copertine di Scomunicando, pubblicate nel mese di aprile, rappresentano perfettamente questa filosofia editoriale: non semplici “foto di cronaca”, ma veri e propri editoriali visivi. Immagini che non si limitano a mostrare, ma che suggeriscono, evocano, parlano con la luce. Un gesto, un’inquadratura, un dettaglio rubato alla realtà diventano materia narrativa, aprono spazi di riflessione, generano interpretazioni.
In questo processo, anche chi guarda è chiamato a un ruolo attivo: il lettore diventa interprete, co-autore. Ogni fotografia è un’opera aperta che invita a fermarsi, a guardare con attenzione, a leggere ciò che sfugge alle parole.
Come ci ricorda la citazione che accompagna il nostro percorso – “Si tratta di catturare l’attimo e includere tutto ciò che ha intorno” – la fotografia è sguardo profondo sul presente, ma anche memoria e intuizione. È cronaca e poesia. È denuncia silenziosa e speranza visiva.
Per questo, anche nel mese di maggio, continueremo a lasciare spazio alle immagini. Non per decorare, ma per raccontare. Perché ogni scatto è un frammento di mondo che chiede di essere ascoltato. E il nostro compito, come narratori, è semplicemente questo: far parlare le immagini. Dare loro voce. Lasciare che siano loro a scrivere il tempo in cui viviamo.
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