– di Corrado Speziale –
Il “Danish trio” composto da Stefano Bollani, dal contrabbassista Jesper Bodilsen e dal batterista Morten Lund, a 10 anni dalla sua formazione, ha avviato un super tour che, passando per Francia e Danimarca, si concluderà a San Francisco dopo due serate al mitico Birdland di New York.
L‘unica tappa siciliana è stata quella di sabato sera a Messina, con un gran concerto tenuto al Palacultura Antonello.
L’evento, organizzato dall’Accademia Filarmonica, era naturalmente il più atteso della stagione, perché lo straordinario trio si è fatto conoscere di recente dal grande pubblico, tra l’altro, attraverso la trasmissione televisiva “Sostiene Bollani”, unica nel suo genere per le alte qualità musicali espresse e per il tipo di conduzione adottata dal talentuoso pianista, nonché uomo di spettacolo, divenuto ormai una star di prima grandezza nel panorama musicale mondiale.
L’avvio del concerto è un’autentica novità jazzistica: un brano appena composto ed ancora non inciso da Bollani, di cui abbiamo cercato di carpirne il titolo dal chiaro senso ludico e allusivo: “No port, no party” (o qualcosa di simile, visto che non ne abbiamo ancora il riscontro…)
Un sensazionale assolo di contrabbasso introduce “Come prima”, super classico della canzone italiana, con il quale i tre regalano emozioni alla platea.
“Brigas nunca mais”, brano di Jobim e De Moraes, rivisto in versione jazz, contenuto in “Stone in the water” ma completamente trasformato, specialmente nella sezione ritmica, è stato il primo dei pezzi brasiliani proposti.
A seguire, “Asuda”, pezzo composto da Bollani, compreso anch’esso in “Stone in the water”, come il precedente di Jobim, viene anch’esso variato in versione live rispetto all’originale, ma non per questo è meno apprezzabile.
Con “Storta va”, brano del pianista, tratto da “Big band!”, inciso dal vivo ad Amburgo con la NDR Big Band nel 2011, si è chiuso il concerto sull’impronta di uno straordinario jazz rock acustico, scorrevole, ben colorato ed articolato, in linea con le peculiarità del trio.
Nonostante questo, non ci siamo arresi all’idea di poter comunque portare a casa un piccolo risultato. Per questo abbiamo atteso che alla fine del concerto, il pianista, assieme ai due musicisti danesi, incontrasse i suoi ammiratori nel salone d’ingresso del palacultura.
Alla fine, seppur sotto l’occhio vigile e pressante del suo agente, egli ci ha concesso una breve intervista.
Dieci anni di “Danish trio” cosa ti hanno lasciato?
Ancora non mi hanno lasciato nulla perché non abbiamo smesso…Vabbè, soprattutto mi hanno re-insegnato a fidarmi molto delle persone con cui mi piace suonare, non sulla carta, ma nella pratica.
Come affrontate i concerti?
Saliamo sul palco e non decidiamo nulla, ci fidiamo semplicemente l’uno dell’altro. Può succedere che Jesper prenda una via inconsueta, che Morten cambi il tempo o che io prenda un’altra tonalità. Capita, pure, come stasera, che facciamo un pezzo che non avevamo mai fatto prima. L’importante è fidarsi a vicenda, come guidare tutti e tre la stessa macchina.
Tu lavori con la stessa abilità con musicisti brasiliani, così come del nord Europa. Come fai a coniugare entrambi, visto che hanno caratteri così differenti?
In realtà i musicisti sono uguali in tutto il mondo. Certo, poi hanno le loro caratteristiche, ma soprattutto sono i caratteri somatici che li differenziano. Jesper e Morten, ad esempio, hanno il mio stesso spirito perché siamo coetanei, idem riguardo Hamilton de Holanda, anche lui ha la mia stessa età. Se non fosse per la lingua non ci sarebbero grandi differenze. In più, grazie alla musica, non abbiamo continuo bisogno di parlare, ma possiamo intenderci attraverso un linguaggio universale.
La Groenlandia. Vabbè, questa me l’hai chiamata…Giusto: dobbiamo arrivare in Groenlandia!
Sei l’unico, oltre Antonio Carlos Jobim, ad aver suonato nelle favelas di Rio De Janeiro. Che emozione hai provato?
Era come suonare qua, perché quando suoni…suoni. In realtà, però, sono stato tutto un giorno là e sono riuscito ad arrivare in cima alle favelas insieme ai ragazzi. Questo, devo dire, è abbastanza atipico, perché non credo che di solito la gente torni indietro quando sale su quella collina…
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