Dentro il fatto… guidati dall’indagine introspettiva di luoghi e storie, dall’ampio spettro sociologico-letterario di Salvatore Bucolo.
Grazie al Rettore Magnifico dell’Alma Università degli Studi di Messina Prof. Salvatore Cuzzocrea, Lorena avrà la sua laurea in medicina, tanto desiderata e soprattutto meritata. Lorena Quaranta è la giovane ragazza di 27 anni di Favara in provincia di Agrigento, laureanda in medicina presso la città di Zancle e che il suo convivente e coetaneo Antonio Pace di Vibo Valantia ha ucciso a coltellate e per mezzo dello strangolamento e ciò nella ridente cittadina di Furci Siculo, ove è sindaco il giovane Matteo Francilia, il quale ha da subito manifestato il proprio sconvolgimento e quello dell’intera comunità per il violento e inaudito femminicidio in un comune famoso per la sua tranquillità e per la sua incantevole caratteristica paesaggistica.
«Tutta la comunità accademica – ha affermato il Rettore Cuzzocrea- in silenzio e con grande commozione sta piangendo una nostra brava studentessa che ricorderemo come merita non appena sarà possibile con la riservatezza che ci ha sempre contraddistinto».
Antonio De Pace, calabrese e reo confesso dell’omicidio della brillante Lorena Quaranta, nel lungo interrogatorio a cui è stato sottoposto dopo il delitto aveva detto ai carabinieri di essere positivo al Coronavirus. Il dato è stato smentito dal tampone effettuato ieri e anche Lorena è risultata negativa. Ciò fa saltare la sua futile e ingiustificata motivazione di averla uccisa perché lei gli avrebbe trasmesso il corona-virus: «Abbiamo eseguito il tampone sia sul ragazzo che sulla vittima – ha spiegato ieri il procuratore di Messina Maurizio de Lucia -. Entrambi hanno dato esito negativo». De Pace, oltre a studiare alla facoltà di Odontoiatria all’Università di Messina, faceva l’infermiere a domicilio in diversi comuni ionici, circostanza che ha indotto gli inquirenti a verificare immediatamente se fosse ammalato.
Le fasi del femminicidio avvenuto a Furci Siculo in via Delle Mimose, a quanto pare sono scandite da alcune ore di distanza rispetto alla scoperta. Come epilogo di una violenta lite, che probabilmente era iniziata la sera e si era trascinata per ore, intorno alle 4 del mattino il ragazzo avrebbe prima ferito all’addome con un lungo coltello da cucina la sua fidanzata, che forse ha perso i sensi, e poi l’avrebbe strangolata a mani nude. Ciò fa pensare alla conseguenza di una forte rabbia, odio scaturito da una grave rivelazione… quale? Saranno gli inquirenti a breve a rivelarci tutta la verità in quanto stanno vagliando sms, chat, social e non solo e ciò allo scopo di capire la causa scatenante di questo efferato femminicidio. L’assassino, secondo gli inquirenti sarebbe rimasto a vagare per alcune ore in casa, procurandosi una serie di ferite ai polsi nel tentativo non riuscito di suicidarsi. La sua telefonata ai carabinieri di Santa Teresa di Riva è arrivata intorno alle 8 del mattino.
Telefonata nella quale ha denunziato la sua persona per l’omicidio di Lorena. “Venite perché ho ucciso la mia compagna”! Adesso sarà l’autopsia a dare risposte importanti sulla morte di Lorena. Intanto Antonio è stato immediatamente trasferito in carcere, con l’accusa di omicidio volontario. Il dolore dei genitori che non riescono a darsi pace e i dubbi degli investigatori sul raptus e il tentativo di suicidio sono troppi. Il ragazzo, dopo essere stato medicato per le ferite riportate dalla lama del coltello sui suoi polsi e sul suo collo, è stato trasferito nella caserma dei carabinieri di Santa Teresa, diretta dal maresciallo Maurizio La Monica, dove è stato interrogato e dove ha ammesso di aver ucciso la ragazza ma sul perché e sulle modalità, quando e come sarebbe successo tutto, è stato più reticente e vago. L’omicidio di Lorena è una tragedia che ha scioccato la comunità di Furci, dove soprattutto i vicini avevano imparato a conoscerli e ad apprezzarli, e il Policlinico di Messina, dove lui studiava odontoiatria su stimolo di Lorena e dove lei stava per specializzarsi. Da Favara, centro d’origine della ventisettenne, ieri sono arrivati a Furci i genitori di Lorena e i due fratelli. Si sono recati dai carabinieri, poi fuori dalla villetta dove la giovane viveva e dove è stata uccisa. Sgomenti, hanno forse cercato risposte in quella cittadina che ha viso dipartire la propria congiunta. Poi hanno deciso di tornare a casa, in attesa di sviluppi, anche perché il corpo di Lorena è in obitorio, in attesa dell’esame medico legale, e loro non possono neppure darle l’ultimo saluto, nella stanza asettica del Policlinico di Messina, per via delle disposizioni anti coronavirus.
A Favara la notizia ha fatto presto il giro della cittadina, e il sindaco Anna Alba ha annunciato che sarà proclamato il lutto cittadino. Antonio De Pace, invece, è nel carcere di Gazzi con l’accusa di omicidio volontario. Il ragazzo é andato in cella in nottata senza passare dall’infermeria, perché le ferite che si è procurato sarebbero superficiali e non avrebbero influito sulle sue condizioni generali che risultano buone. Il suo profilo pubblico su facebook è stato inondato di commenti e insulti non appena è venuto fuori il suo nome e la notizia del delitto, un commento in special modo desta sospetti ed è quello di un suo collega che scrive cose negative sul carattere di Antonio… “l’ho dicevo sempre che eri strano, che non mi piacevano i tuoi occhi, che eri un arrogante…”.
Il confronto tra lui e il Pubblico Ministero Dottor Roberto Conte, titolare del caso, è quindi rimandato all’interrogatorio di garanzia. Massimo riserbo sulle piste seguite per chiarire il “movente”, anche per la vaghezza del racconto del giovane: è stato un raptus di follia mascherato dalla gelosia o c’è altro? Lo sapremo a breve! Intanto i carabinieri della Compagnia di Taormina, guidati dal Capitano Arcangelo Maiello, e del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando provinciale, sono a lavoro per chiarire tutti gli aspetti di questa tragedia. Il lavoro all’interno dell’appartamento in via Delle Mimose è affidato agli esperti scientifici del Ris, mentre gli investigatori scaveranno nella vita di Antonio e di Lorena. Saranno passati al setaccio soprattutto i telefoni cellulari della coppia, rinvenuti dai militari. L’infermiere è incensurato e le prime testimonianze raccolte non indicano dubbi sulla loro relazione – convivevano da 3 anni. Non sembra emergere neppure il coinvolgimento di altre persone nel delitto e nei momenti successivi. Il primo esame eseguito dal medico legale Daniela Sapienza lascia pochi dubbi che Lorena sia morta strangolata da Antonio, ma il consulente non è riuscita a indicare l’orario della morte, così il magistrato disporrà forse già oggi l’autopsia, sia per precisare questo dato che per capire se ci sono segni di altre violenze sul corpo della ragazza. Sarà poi importante stabilire quanto tempo è passato dalla morte di Lorena a quando il ragazzo ha chiamato il 112.
Le false accuse di Antonio in merito al contagio da corana-virus hanno una verità ed è quella che il ritiro sociale forzato e nel caso specifico la loro convivenza forzata ha palesato alcune patologie: depressione, apatia, clinomania o cosiddetta sindrome di Hikikomori. Il fatto di non poter uscire di casa per troppo tempo potrebbe causare l’isolamento da qualsiasi responsabilità o relazione sociale, inoltre anche forme di apatia a causa della mancanza delle motivazioni perse.
Molti in questo gravoso periodo di disagio si stanno immergendo nel mondo del web, di internet, delle chat, ecc… che spesso diventa motivo di estrema gelosia nelle coppie, soprattutto se esposte a stress come nel caso di Lorena e Antonio. Avete mai sentito parlare dei cosiddetti Hikikomori?
Si tratta di un fenomeno nato in Giappone per cui soprattutto gli adolescenti decidono di chiudersi, per mesi se non per anni, nella propria stanza, senza avere contatto con l’esterno, se non attraverso la “finestra” che offre internet.
Gli Hikikomori ormai non sono solo ragazzi giapponesi ma anche europei e americani. Senza bisogno di arrivare al caso estremo degli Hikikomori, stare a casa tutto il giorno per un lungo periodo può causare i seguenti effetti psicologici: bassa autostima, paura del fallimento e timore delle relazioni sociali. Dietro questa auto-reclusione, inoltre, ci possono essere anche fobie o la cosiddetta “clinomania”. Si tratta della voglia irrefrenabile non alzarsi dal letto, per potersi sentire al sicuro. È un modo per non dover affrontare ciò che si trova al di fuori della propria stanza e nel mondo esterno (fobia del coronavirus). Un altro disturbo potrebbe essere l’aorafobia, rappresentata dalla paura di uscire di casa. Questo fobia si caratterizza non tanto dalla paura di uscire di casa in sé, ma per la paura di sentirsi male in situazioni dove essere soccorsi potrebbe essere difficile o imbarazzante, ossia fuori casa. Questa paura è pertanto connessa all’agorafobia (che è la paura degli spazi aperti), e ne rappresenta comunque un possibile sintomo (ossia la paura ad uscire di casa). Questa paura è caratterizzata da un “evitamento” della situazione che può portare fobia e da un’ansia anticipatoria su quello che potrebbe accadere, vivendo così la paura di un attacco di panico e negandosi la possibilità di uscire di casa.
Un altro caso in cui l’isolamento sociale è sintomo di una patologia maggiore è il caso della depressione. Questa può manifestarsi con il fatto di non riuscire a uscire più di casa, ma anche con l’incapacità di alzarsi dal letto, quindi con la clinomania. La depressione di questo tipo deriva probabilmente da problematiche profonde, come l’ansia sociale, senso di solitudine o bassa autostima. La depressione può portare a conseguenze molto serie. Se stare in casa tutto il giorno diventa un’abitudine è imprescindibile chiedere aiuto e supporto medico o psicologico. L’auto-reclusione e il ritiro sociale, inoltre, hanno effetti negativi anche sulle nostre capacità sociali. Utilizzare i social network e in generale internet per parlare con familiari e amici, infatti, mette a rischio i nostri rapporti con gli altri e ci impedisce di godere dei piaceri della vita. Un vero dolore fisico, molto più di un malessere. Infatti, l’ultima ricerca sugli effetti della solitudine, pubblicata da psichiatri e cardiologhi tedeschi che hanno studiato oltre 15mila persone tra i 35 e i 74 anni, conferma una lunga sequenza di studi sugli effetti collaterali del sentirsi soli.
Aumentano i rischi cardiovascolari, salgono lo stress e l’ansia, e perfino i livelli della pressione possono risentirne. Dunque, la solitudine è una vera patologia, che il boom della rivoluzione tecnologica ha perfino aggravato. Viviamo tutti più connessi, ma più soli. Non dimentichiamoci che l’uomo è un animale sociale e in quanto tale ha bisogno d’interagire e di trovare il proprio posto all’interno della comunità. Per questo quando non ci riesce entra in crisi, mettendo in discussione tutto il proprio mondo. Eppure la solitudine non viene ancora considerata come dovrebbe: ossia un male pericoloso.
Ci sforziamo di combattere il fumo, l’alcol e la droga, per i mali fisici e mentali che ci producono. Giusto. Ma trascuriamo i rimedi contro il male oscuro della solitudine che in realtà non colpisce solo le persone più anziane, ma sta esplodendo anche tra i giovani. È il destino dell’uomo contemporaneo: la tecnologia dovrebbe avvicinarci, grazie ai suoi effetti moltiplicatori in termini di “Rete”, ma in realtà tutte le statistiche ci segnalano sempre più soli. Da piccoli, con i ragazzi chiusi nelle loro tribù, e da grandi con gli anziani che sentono la vita allungarsi ma i rapporti umani rarefarsi.
Davanti a questa riflessione la politica non può sottovalutare tale disagio e per tanto dovrebbe intervenire quanto meno con la creazione di un numero verde di supporto psicologico-, e con l’assistenza psicologica gratuita come si fa col proprio medico di famiglia (Bisognerebbe introdurre accanto a quest’ultimo la figura professionale di uno psicologo, che possa intervenire immediatamente in alcuni casi specifici) -, in quanto questo arresto forzato della libertà personale ha generato una iperproduzione di ansia e l’ansia può diventare un vero e proprio disturbo mentale. Oggi nel mondo ne soffrono 27 milioni di persone e ancor più se si contano disordini ad essa legati, come le fobie. Le persone con disturbi d’ansia passano la vita a preoccuparsi troppo, il che abbatte in modo più o meno importante la qualità della loro esistenza quotidiana. L’ansia spesso si somatizza, e si manifesta dunque con sintomi fisici, che vanno dalla sensazione di stanchezza perenne alle difficoltà respiratorie, dalle tensioni muscolari ai mal di testa. Inoltre, ciò di cui prima genera frustrazione e di conseguenza aggressività verso se medesimi e verso gli altri e da qui le manifestazioni di violenza iniziano ad aumentare, a crescere per numero e intensità.
Di fondamentale importanza sono il supporto che gli specialisti in questo momento possono darci chiamandoli ai seguenti numeri: 1522 (telefono rosa per la violenza sulle donne); 114 (emergenza infanzia – numero verde per i minori); 1500 (numero verde nazionale per il coronavirus) e ciò allo scopo di chiedere aiuto, supporto psicologico, oppure sanitario nei casi di presunto contagio di coronavirus, o anche per segnalare violenze su minori, in quanto non è facile tenerli reclusi in casa e da qui la diatriba con i genitori che magari presi dallo stress potrebbero inveire contro i piccoli.
Diffusi risultano per adesso i casi di violenza sulle donne, che per mezzo dello stress scaturito dal coronavirus sono in crescita. Lorena è l’ennesima vittima di un fenomeno che cresce. La causa? “Modelli educativi irresponsabili, maschilisti e vizianti, che finiranno per liquidare definitivamente la credibilità dei maschi, aprendo la strada a generazioni di infelici in cerca della mamma”. Queste le parole dello psicoterapeuta messinese Barrilà: “Si cerca un movente che non c’è, l’unico è il vuoto di un maschile che non evolve”. Tutte le volte che un uomo uccide una donna, mi domando che tipo di madre e di padre può avere avuto. Non è un’accusa ma nemmeno una domanda peregrina, perché uno dei problemi più grandi dei maschi italiani sono le madri, spesso vizianti con i figli maschi, ancora più spesso in modo intollerabile, e sono anche i padri, che troppo presto rinunciano al loro ruolo per una malintesa divisione dei compiti.
Pure in questo ennesimo femminicidio l’unica spiegazione è che non c’è spiegazione, c’è solo il vuoto di un maschile che non evolve, anzi più passa il tempo e più si ritrova nudo davanti alla voragine della sua progressiva regressione, un baratro accentuato, per contrasto, dalla vertiginosa ascesa del femminile, che non accenna a fermarsi e travolge ogni resistenza. Sarebbe ingenuo radicalizzare il giudizio, ma le evidenze non sono consolanti per i maschi e per chi li educa. Inoltre, lo psicoterapeuta cita Anja Kampe, cantante lirica tedesca, che qualche anno fa, in attesa della prima di un’opera wagneriana alla Scala, aveva rilasciato una bella intervista ove affermava: “Da sempre gli uomini fanno le guerre e poi tocca alle donne rimediare”. Oggi la situazione si è ulteriormente deteriorata, a causa di modelli educativi irresponsabili, maschilisti e vizianti, che finiranno per liquidare definitivamente la credibilità dei maschi, aprendo la strada a generazioni di infelici in cerca della mamma. Uno spettacolo penoso, già in atto, che all’uomo, privo di una vera struttura in grado di metterlo al livello della donna, lascia solo la risorsa della forza bruta, ma non è abbassando la donna che potranno elevarsi. Adesso, specialmente dopo l’omicidio di Lorena, parlare dell’amore e dell’odio e come analizzare l’evanescente confine tra l’eros e il thanatos e cioè tra l’istinto di vita e di morte del padre della psicoanalisi, l’ebreo Sigmund Freud, è assai difficile.
Il confine che divide l’amore dall’odio è così sottile e spesso impercettibile, che facilmente questi due sentimenti possono coesistere, anche nella stessa persona. C’è chi dice che anche l’odio è, in qualche modo, una forma di amore. Un sentimento forte che indica un interesse. La passione diventa una forma quasi estrema di amore. E per questo può diventare malsana: una persona può essere travolta dalla passione fino a estreme conseguenze.
Come si vede nella novella di Verga, “La Lupa”, dove il protagonista è accecato dalla passione che sente nei confronti della madre di sua moglie. Non vorrebbe lasciarsi travolgere, ma questo sentimento risulta troppo travolgente e difficile da allontanare. In questo senso la passione può diventare pericolosa e trascinare chiunque anche fino alla morte. La passione travolge anche Gertrude, la Monaca di Monza, che è costretta a vivere in una realtà che non ha scelto, in un destino che le è stato imposto e che vive come una privazione. Privazione dell’amore che vorrebbe essere libera di vivere. E l’unico modo per sopravvivere all’isolamento è proprio quello di cercare di affidarsi a qualcun’altro, che possa allontanarla da quel destino non voluto. E una parola, rivolta da uno sconosciuto, che rompe il silenzio, diventa difficile da rifiutare. E porterà Gertrude in un turbinio di eventi fino al dramma finale.
Nell’opera di D’Annunzio diventa una passione violenta. Ippolita arriva a lasciare il marito per Giorgio, l’amante. Ma questo rapporto si concluderà tragicamente con un omicidio-suicidio!!! Prova del fatto che la passione incarnata dalla donna non è così invincibile come può sembrare, ma è destinata a scontrarsi con la realtà del mondo circostante. In Senilità, invece, l’amore diventa un qualcosa di incorporeo e idealizzato. Angiolina, la donna amata da Emilio, è oggetto di un amore puro, quasi etereo. Si sfocia quindi nell’incapacità di vivere l’amore nella sua totalità.
Ma l’amore non è soltanto passione. Può trasformarsi anche in odio e degenerare come avviene nella passione più travolgente e malsana. Odio che porta spesso alla morte. Come nei Promessi Sposi, con l’omicidio della suora che aveva scoperto la relazione clandestina di Gertrude e aveva minacciato di rivelare a tutti la verità. O come nella novella di Verga, dove la morte diventa l’unico modo per porre fine alla passione malata. E se questi esempi, tratti dai meravigliosi brani di Dante, Verga e D’annunzio, non dovessero bastare a rappresentare le mille sfaccettature dell’amore e dell’odio, si può far ricorso alle immagini di alcuni importanti artisti, dagli amanti di Picasso, che tramite un tocco leggero delle mani, rappresentano tutta l’intensità del sentimento che li unisce; all’ultimo abbraccio tra Ettore e Andromaca, che viene rappresentato in un’atmosfera quasi sospesa nel tempo; fino ad arrivare al bacio rappresentato da Klimt, che rappresenta l’unione totale tra l’uomo e la donna.
Il grande Dante Alighieri nell’Inferno descrive Paolo e Francesca travolti da un violento sentimento amoroso (“amor ch’a nullo amato amor perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona” – V Canto). Amare, invece, significa certamente infatuarsi di una persona ma implica, inoltre, accettarla con i suoi pregi e i suoi difetti, volerle bene incondizionatamente, “Sentire nel proprio silenzio il suo silenzio” (come afferma Cardarelli nel “Distacco”). In questo mondo industrializzato, ormai non si crede più nell’amore vero. Molte persone pensano che l’amore sia solo una malattia dell’anima e assistiamo a una “devalorizzazione” dei sentimenti. Sono in tanti a pensare che l’amore sia solo piacere fisico, effimero per la sua durata. Schopenhauer riteneva che l’amore fosse soltanto un’illusione. Lentamente muore chi non ama, vivere senza amare è morire.
L’amore non è istinto proprio degli animali, ma è sentimento. In una società in cui la tecnologia avanza velocemente, in cui la ragione è dominatrice dell’uomo, dimenticare e cancellare l’amore è una follia. L’amore è un quid di diverso dalla bellezza fisica, esteriore, ormai divenuta un trauma tra gli adolescenti. Una specie di imperativo. Se non sei bello sei da buttare. Ma sentirsi orrendi è la condizione più ricorrente nell’adolescenza. Proprio perché è una condizione di trasformazione. E gli adolescenti non sanno come cambierà il corpo e se sarà uguale all’immagine stabilita dai giornali di moda, dalle riviste, dalle trasmissioni televisive, social, ecc. Domina la bellezza di superficie in questa società dei sacerdoti della dieta e della palestra.
Questa società sta ossessionando l’adolescenza. Ma la bellezza è un’altra cosa. C’è la bellezza del modo di fare, del sorriso, dello sguardo… La bellezza interiore! Quindi per evitare che i ragazzi cadano nel circolo delle dipendenze, la prima cosa, è aiutarli parlando con loro della bellezza interiore. Discutere con loro su che cos’è essere belli. Altrimenti si corre il rischio di buttarsi via, e ci sono tanti modi per farlo: usando le sostanze per non sentirsi più brutti, ubriacarsi per sballarsi e così non sentirsi più preoccupati per il naso, altezza, ecc… Il secondo tema è il denaro, che è un vero problema per l’adolescente. Perché se non hai quei pochi spiccioli in tasca diventa una questione di vita o di morte, di morte sociale. Poi se non hai denaro e avverti la bruttezza è difficile andare in giro, uscire con gli amici… Ci sono persone brutte che vogliono morire e la droga s’inserisce in questo malessere per essere la maschera. Le droghe sono le maschere che gli adolescenti usano perché non si piacciono, con le droghe l’adolescente si percepisce diverso. Attenua il dolore. La terza parola è la morte. Non si parla mai di morte, la morte è un tabù. Eppure se parliamo di morte possiamo spiegare ai ragazzi che cosa significa essere in questo mondo, e che la vita è un’esperienza straordinaria, basta superare delle difficoltà e non credere che tutto sia legato al denaro. Dobbiamo dire della bellezza di vivere, raccontare la gioia di vivere. L’amore è una grande cosa e anche il corpo è una cosa meravigliosa, dobbiamo insegnare ai giovani ad amarsi con il corpo e con lo spirito. Il corpo l’ha dato Dio e anche lo spirito, dunque basta con questi tabù.
Basta vederlo come qualcosa di osceno. Il corpo è un’espressione straordinaria, i genitori, gli educatori, i religiosi, gli opinionisti televisivi, i giornalisti, devono insegnare, ai loro ragazzi, la bellezza del corpo e il valore impagabile della persona in quanto tale e ciò a prescindere dall’essere figo o poco intelligente, sano o malato, nero o bianco, alto o basso, gay o etero, ecc…
Perché non dire dell’umanità della straordinaria e bellissima storia d’essere amati e che se perdiamo – attraverso le sostanze – la sensazione della nostra fragilità queste cose non possiamo più ricordarcele?
L’amore ci ricorda che non siamo solo persone fredde e calcolatrici ma caratterizzate da una tensione interiore che ci fa grandi. Occorre perciò credere fervidamente nell’amore. Esso è un sentimento naturale; un filosofo affermava che è un’erba spontanea e non una pianta da giardino. Viva l’amore… quello vero, quello maturo e non morboso… quello del donarsi e non del possedere l’altro, del ritenerlo un proprio oggetto!
Gli esseri umani appartengono solo a Dio, che ci dona la vita e che se la riprende quando “solo Lui” deciderà l’ora e il momento!
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