«Per curare il racket e l’usura bisogna prima ammettere di esserne gravemente malati. Altrimenti in questo territorio non si va da nessuna parte». È il monito del presidente onorario della Fondazione antiracket Tano Grasso, rivolto a imprenditori e associazioni durante il convegno “Conoscere e prevenire i fenomeni dell’usura e del racket per costruire insieme la legalità”, tenutosi ieri pomeriggio presso la sala Pitagora della Camera di Commercio.
L’incontro è stato organizzato dall’ente camerale all’interno del progetto “Io denuncio” siglato nel 2010 insieme alla Prefettura di Crotone.
Ma come spiegato dal prefetto Vincenzo Panico i dati parlano chiaro: dal 2009 al 2011 infatti sono state solo 51 le denunce effettuate contro il reato dell’estorsione. Ancora più preoccupanti quelle per usura: solo 2 dal 2009 ad oggi.
Troppo poco.
La spiegazione per Tano Grasso è semplice: «La maggior parte degli imprenditori locali convivono con la ndrangheta, e pur non essendo collusi pagano il pizzo per di non subire ritorsioni». Grasso ha tirato le orecchie ai rappresentanti delle associazioni, definendo assurde le spiegazioni delle mancate denunce.
Nei loro interventi il presidente provinciale di Ance, Luigi D’ Alessandro, quello di Confcommercio Alfio Pugliese, Roberto Torchia per la Coldiretti, e il presidente regionale di Confcooperative Santo Vazzano hanno ricondotto tali ragioni alla crisi economica, al difficile accesso al credito, alla certezza della pena di chi viene denunciato.
«Sono spiegazioni gravi ed inaccettabili – ha tuonato Grasso – perché è come dire che i cartelli mafiosi a Crotone esistono perché c’è la crisi economica». «Non serve fare i patti di denuncia – ha ribadito Grasso – se poi non si ha il coraggio di fare nomi e cognomi».
La formula per affrontare il racket secondo Tano Grasso è una sola: la denuncia collettiva, quella di strada, di quartiere, che destabilizza i criminali che non incontrano più la paura del singolo.
È giunta anche la testimonianza di chi ha avuto il coraggio di denunciare. La signora Silvana Fucito, ha raccontato le sue denunce contro 15 esponenti della camorra napoletana che dopo varie estorsioni e minacce le avevano distrutto il negozio. Esperienza da cui è nata la prima associazione antiracket e un modello oggi seguito da 14 associazioni antiracket solo i Campania.
«I colpevoli sono ancora in carcere, ed è questo il segnale più forte per chi dice che lo Stato non è presente. Bisogna avere il coraggio di fare denunce precise per avere risposte concrete», ha affermato Silvana Fucito, che per il suo coraggio nel 2009 ha ricevuto anche il riconoscimento del “Times”.
Il modello dell’associazione antiracket prevede la costituzione di piccoli gruppi di lavoro composti da operatori commerciali, che in prima persona valutano le strategie per affrontare il problema usura. Sinergia, che come sottolineato dal presidente dei giovani di Confindustria Sabrina Gentile, deve passare anche dal supporto che le associazioni di categoria devono garantire agli associati.
A chiusura del convegno è stata dunque espressa da tutti la volontà di affiancare l’esperienza dell’associazione antiracket agli strumenti già varati dal patto “Io denuncio” e di istituire presso la Prefettura un nucleo ristretto (sul modello di quanto già fatto a Napoli) che segua gli operatori commerciali vittime di attentati a sfondo di usura e racket in tutte le fasi di contatti con istituti bancari e assicurativi.
«L’obiettivo è quello di dimostrare che gli strumenti per denunciare ci sono», ha insistito il prefetto Vincenzo Panico.
«Non chiediamo ai cittadini gesti eroici – ha concluso il procuratore della Repubblica Raffale Mazzotta – ma di avere il coraggio di affidarsi allo Stato, che deve garantire risposte immediate, collaborazione e protezione».
Al convegno sono intervenuti Luigi Albo per la Cia e Antonio Paolino per Casartigiani. Presenti anche le artiste Francesca Prestia (cantautrice) e la pittrice Berenice.
scritto da Salvatore Ventura per gazzettadelsud.it
fonte: http://www.calabrianotizie.it
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