Settimana conclusiva per i Teatri di Pietra
Settimana conclusiva per i Teatri di Pietra tra la passione de “La Lupa”, che ci restituisce un mondo arcaico, scabro, dalle emozioni primigenie, in cui eros ed
Tre appuntamenti con “La Lupa”, (MDA Produzioni Danza) da Giovanni Verga, con Lucia Cinquegrana, Paola Saribas, Matteo Gentiluomo, la coreografia di Carlotta Bruni, la musica di Marco Schiavoni e la narrazione Sebastiano Tringali: lunedì 21 agosto al Parco Archeologico Palmintelli di Caltanissetta, mercoledì 23 agosto al Castello di Milazzo (Messina) e giovedì 24 agosto a Eraclea Minoa, Cattolica Eraclea (Ag).
“Il Filo D’oro”, ispirato ai romanzi di Andrea Camilleri e alle Metamorfosi di Ovidio, scritto e diretto da Gaia Vitanza e interpretato da Rosanna Mercurio con le musiche dal vivo Jonathan Raneri (piano) in scena giovedì 24 agosto al Castello Beccadelli Bologna di Marineo (Palermo).
Chiusura al Castello di Milazzo (Messina), venerdì 25 agosto, con “Clitennestra, il processo” (Mda Danza) dal testo di Alma Daddario, per la regia Sebastiano Tringali, con Carlotta Bruni, Matteo Gentiluomo, Rosa Merlino, Luca Piomponi, Paola Saribas e Valeria Contadino.
I Teatri di Pietra, quest’anno, hanno offerto un programma ricco di danza, musica, teatro e scritture drammaturgiche inedite, con il grande ritorno degli spettacoli tra i templi di Selinunte, ritorno che ha registrato grande
Ragione e religione sono le grandi alleate e le grandi assenti dall’orizzonte della Lupa. Un racconto che incuriosisce perché parla di libertà, ma al contempo disorienta per la condizione antropologica così estrema, che spinge a interrogarsi sulla potenza e sull’impotenza degli schemi e delle convenzioni sociali. E non è bastante neanche l’approccio etico che rischia di ridurre la portata esistenziale del lavoro verghiano. La lupa sembra proprio al di là del bene e del male, e non si fa fatica ad avere un occhio benevolo verso di lei proprio perché nel suo orizzonte non è presente la cattiveria, la strategia o la premeditazione.
“Il Filo d’oro”: Moira è una giovane sarta, narratrice di una storia che ne apre infinite altre, attraversando i confini del tempo, dello spazio e persino della veridicità. Racconti che parlano soprattutto di amore, quell’amore a cui la protagonista non crede fino in fondo, a cui attribuisce caratteristiche fantastiche, come fosse un’invenzione tramandata di bocca in bocca.
Clitennestra è passata alla storia, grazie alle descrizioni di Omero (Odissea), di Eschilo (Orestea), di Euripide (Ifigenia in Aulide), tutte figure maschili, come il prototipo della donna infame, il mostro che ha commesso l’orrendo delitto di uccidere lo sposo appena tornato dalla guerra. La donna che dà libero sfogo alle proprie passioni, un modello di donna opposto a quello di Penelope, sposa di Ulisse, che aspetta il ritorno del marito mantenendosi a lui fedele. Questa lettura, tutta al maschile, delinea solo una parte del profilo di questa figura “inquietante” della mitologia greca. Nella ri-scrittura di Alma Daddario la vicenda viene tradotta in una polifonia di condanna: tutte le voci del mito, Cassandra, Agamennone, Oreste ed Elettra intervengono – ora carnefici,
Clitemnestra è una donna infelice, il suo non è un matrimonio d’amore ma l’imposizione della legge del più forte. Subisce la violenza più atroce che si possa sopportare, l’uccisione dei figli sotto i propri occhi, partecipando, da madre, ai loro gemiti di morte. Non c’è nessuno che la difenda o prenda le sue parti. È sola con la propria disperazione. Così si fa giustizia da sola.
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