– di Corrado Speziale –
Nell’ambito degli eventi del Teatro a domicilio di Messina, il cuntastorie Nino Pracanica con “Le Favole di Nino” si è esibito dinanzi a un pubblico di appassionati,
Nino Pracanica si è dedicato da sempre alla conoscenza e alla pratica delle arti figurative teatrali ed artigianali, in particolare ha approfondito la ricerca nel teatro con le maschere. L’artista opera giornalmente al Castello di Milazzo ed è tra i protagonisti delle stagioni al Borgo Pantano di Rometta.
“La favola non solo è qualcosa di inventato, ma possiede tanti significati. Entra nel mito, nella leggenda, ma alla fine può essere pure una bugia. Un teatro-verità lascia scorrere tutto, senza scherzi. Invece, se noi riusciamo a far riflettere, facciamo qualcosa di interessante. Se io gioco non ho verità, non vi porto cose serie…”
Così, Nino Pracanica, introducendo il suo spettacolo, raccomanda al pubblico di non prenderlo troppo sul serio. In fondo, la fantasia e l’estemporaneità, dentro certi soggetti, sono il sale per riscrivere storie e leggende, per coinvolgere e far assaporare un mondo in cui il racconto incontra l’immaginazione tra passato e presente, in ogni area geografica, tra mille vicissitudini. Ricostruire il mito per interfacciarlo con la realtà, arricchendolo di contenuti su “fonti” storiche, è un’operazione di ricerca e passione, cui si aggiunge l’arte della narrazione attraverso la suggestione dei suoni e delle figure in maschera, che egli definisce “persone”. Non ci si schiera verso un genere preordinato e stereotipato, quantunque sia ovvio scorgere tratti e fondamenti di un monologo da commedia dell’arte. Il teatro a domicilio vale all’artista come stimolo nella condivisione del cunto: “Queste atmosfere così, ti fanno avvertire un respiro amico…” Mentre rispetto ai suoi viaggi su geografie immaginarie, così si rivolge al pubblico: “Se qualcuno di voi c’era, lo dica…”
Pracanica è un artista-artigiano che ha lavorato, plasmato qualunque materia. Ha realizzato oltre 3000 maschere, adesso sparse per il mondo, tutte rigorosamente differenti l’una dall’altra, non avendo uno stampo. Qui, adesso, ne mantiene “giusto” un migliaio per i suoi spettacoli, adattandoli all’evento e al pubblico che ha di fronte. “Le mie opere qui non son potute restare, non le hanno volute”, dice con un pizzico di amarezza, ma senza alcun rancore.
La serata di Teatro a domicilio da Francesco Coglitore, cultore appassionato della materia, è stata vissuta tra racconti, figure e suoni di terra e di mare, in luoghi e spazi variegati. L’inizio è una sfida a Bacco e Dioniso: perché il primo vino, 2200 anni fa, non poteva essere siciliano? Dunque, la prima maschera: “Sugnu u baruni da vigna du re, fazzu lu vinu lu megghiu chi c’è”. Il Mamertino, s’intende. Lo valorizzarono Giulio Cesare, Strabone e Plinio il Vecchio…Ma 3000 anni fa la Sicilia si fece apprezzare anche per il tonno e il sale di montagna. L’orgoglio: “Giochiamo a ricostruire tutto ciò che avevamo in Sicilia…”. Dopodiché, il fatidico incontro, a Lipari, con 1200 maschere greche in ceramica grezza. La circostanza ha qualcosa di eccezionale, tant’è che costerà al cuntastorie 15 anni di silenzio! Dunque, il protagonista si sposta alle fonti del Nilo, dove incontra Michelangelo in cerca di ispirazione per la Cappella Sistina. In tale contesto incontra anche Tiresia. Anche in questo caso, il “nostro” dovrà scontare un silenzio di tre lustri. Poi, lo spostamento a Ercolano, dove viene colto dal disastro. L’eruzione del Vesuvio gli costa diventare cenere. Si salvano Botticelli e la sua Primavera. Andando avanti, il ritorno in Sicilia, su ciò che ha provocato la proverbiale sfiducia dei siciliani verso le istituzioni: Cicerone, nonostante le Verrine, non riesce a mandare in galera Gaio Verre per le sue malefatte. Nulla può neppure un illustre penalista contemporaneo. Siamo nella storia: è il primo caso di una legge ad personam.
Sicilia, terra di mare e dunque di pirati, antesignani portatori di mafia, quella dei pascoli. Vittime, le Isole Eolie. Il tesoro era l’ossidiana. Similitudini e assonanze: colpi di mortaio come i fuochi di San Bartolo; il rullante del tamburo a cornice ne rende l’idea. Ma la Sicilia non è sola. Nel Mediterraneo ci sono flotte amiche: “Di Malta si parteru sei galeri…” ed è piena recitazione dal finale drammatico: “U mari russu di mattanza…”
A seguire, il cuntastorie passa da casa: “Sugnu u geniu di Milazzu, tuttu dicu e nenti fazzu”.
La riflessione: “Perché ci siamo ridotti così quando invece abbiamo un passato glorioso?”. Poi, la ricerca. L’attenzione è su Messina e il suo storico, glorioso Teatro della Munizione, 1650 – 1908: la Tubaiana, maschera famosa in tutta Italia e in Europa, rappresentava i venditori di interiora di animali. A Messina è sconosciuta. Pracanica la ricostruisce, facendola riconoscere dall’ente competente e l’espone al carnevale di Acireale.
Pracanica parla e recita con passione e sentimento. Le sue narrazioni fanno ritornare ad altri tempi, quando il cunto era un patrimonio comune e popolare, mezzo di conoscenza e intrattenimento. Quando le leggende assumevano i connotati della storia reale, della verità. Situazioni che l’artista costruisce, elabora e trasforma in rapporto ai luoghi e ai personaggi oggetto della narrazione, spesso in relazione tra loro in maniera estemporanea e in contesti imprevedibili e improvvisati.
Il finale è l’incontro, struggente, con sua “Madre terra”:
“(…)Tu si’ figghiu miu picchì nta ‘sta terra ogni petra è un cuntu, ogni cuntu è un cantu, ogni cantu è un duluri, ogni duluri è un sonu, ogni sonu è un sentimentu, e ogni sentimentu è ‘na petra. E supra ‘na petra iò liggii stu cuntu…”
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