– di Corrado Speziale –
Paolo Fresu, Dino Rubino e Marco Bardoscia, col progetto dedicato all’indimenticabile Chet Baker, nel jazz club catanese hanno regalato un week end indimenticabile di grande musica con emozionanti momenti di relazione e condivisione.
Teatro e musica dal vivo in un unico contesto: l’arte totale, un connubio vincente. E visto che si tratta di jazz, questo è il commento di Paolo Fresu su “Tempo di Chet”, considerando che il trombettista sardo, nonostante la sua grande fama, molto raramente si sbilancia: “Siamo convinti che nel mondo non esista un lavoro così serio e profondo come questo.
Vita controversa, esagerata e sofferta, quella del trombettista bianco di Yale, ma al tempo stesso intensa e misteriosa, piena di incontri e avventure umane e artistiche che vengono riportate in scena in maniera eccellente nell’opera che ha girato con successo i teatri del Nord Italia.
Il senso delle serate al Monk, sei concerti in tre giorni, era ripercorrere solo con la musica le scene e i momenti del teatro. “Lo facciamo con la poesia – dice Paolo Fresu – che ha sempre permeato la musica di Chet e che in qualche modo permea anche la nostra”.
Il concerto inizia nel solco della tradizione: “My Funny Valentine”, è perfetto per scaldare le dita di Dino Rubino e Marco Bardoscia, con Fresu che inizia a far echeggiare il suo flicorno. Con “Basin’ Street Blues”, ripreso ed evoluto dalla versione originale, l’atmosfera prende quota in una coinvolgente esecuzione.
Lucca, stanza n. 15 dell’”Hotel Universo”. Paolo Fresu non se l’aspettava, l’assegnazione di quella camera sobria, anni 50, è stato un omaggio della titolare. All’’interno, una foto di Chet alla finestra. Vi alloggiò una settimana, nel 1960, prima che venisse arrestato. L’emozione portò Paolo Fresu a comporre un brano suggestivo, al tempo stesso leggero e misterioso.
Ancora un omaggio: questo brano di Dino Rubino è un immaginario dialogo contemporaneo, tecnologico con Chet Baker. “Chat with Chet”, veloce e molto ben articolato, è costruito sulla struttura armonica di “There Will Never Be Another You”.
Dopodichè,“The Silence Of You Heart”, sempre opera del pianista di Biancavilla, sarà la splendida ballata, “come Chet avrebbe voluto suonarla”, riferisce in sala Fresu.
Seguirà “Fresing”, brano di Marco Bardoscia, altra ballad emozionante, dove la narrazione scorre lenta e vola via leggera sull’onda del piano di Rubino e in particolare della tromba di Fresu: “Omaggio non solo a Chet, ma anche al sottoscritto, in quanto concepito su una struttura melodica di carattere diatonico circolare”, scrive il trombettista nelle note musicali del progetto.
Intenso, di una fusion delicata e variegata sarà “Catalina” di Fresu, con Bardoscia che ad un certo punto imbraccerà l’archetto che regalerà “visioni” al pubblico in sala.
Altro brano “spazzolato” su base di Stefano Bagnoli e altro farmaco: “Jetrum”, dove il jazz, a dispetto delle indicazioni farmacologiche del medicinale, prende ritmo e velocità.
Prima del saluto degli artisti un brano simbolo della carriera di Chet per un finale sensazionale: “Blue Room”, riproposto in chiave lenta per agganciare la voce in sottofondo di Baker, incisa nel 1979.
Ma non finisce qui, perché ormai Dino Rubino ha preso a sé come titolo di coda “Il Canto dell’addio” cui si affezionò quando frequentava i boy-scout. Naturalmente Fresu e Bardoscia gli vanno dietro magnificamente.
Paolo Fresu, conclusa la tre giorni catanese: “Grazie per l’ospitalità straordinaria ma non inaspettata. Tre giorni magnifici in una Catania piena di sole, di mare e di musica. Quella delle strade e delle piazze, e quella di un piccolo luogo coraggioso e ospitale, gestito da amici musicisti e da appassionati, il Monk Jazz Club dedicato a Thelonious. Pubblico fantastico e caloroso per un luogo che respira passione e civiltà”.
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