Il Chi Sono di Corradino Mineo
Vengo da una famiglia di intellettuali siciliani. Il nonno, di cui porto il nome, matematico e scienziato, accademico dei Lincei. Mia madre insegnante di matematica al Liceo, mio padre all’Università. E poi mio zio Mario, economista, uomo politico, rivoluzionario. Ricordo, ancora adolescente, lunghe passeggiate in via della Libertà, con lui e i suoi giovani compagni. Poi il circolo Labriola, il Lenin, la costruzione del Centro d’iniziativa comunista del Manifesto, la rivista Praxis.
Fu Mario Mineo a parlarci di borghesia mafiosa. Classe dominante che non crea sviluppo, si appropria di ogni risorsa pubblica e ne distribuisce solo le briciole. Trova nel sicilianismo il suo brodo di cultura, e sa presentarsi come il mediatore necessario tra uno Stato, per definizione lontano, e gli interessi dell’Isola. Era il tempo in cui un Procuratore Generale della Repubblica di Palermo parlava della mafia al passato, come di un retaggio ottocentesco in estinzione.
Laureato in Filosofia, a Palermo, con 110 e lode e una Tesi sul “Modo di produzione asiatico”. Poi Roma, Torino, ancora Roma, per 11 anni tra Parigi e New York e di nuovo a Roma approdato a Rainews24. Ho un figlio di trent’anni e una bambina di 10. In mezzo due gemelli, maschio e
Io, giornalista.
Mi ha scelto Luigi Pintor e il mio primo giornale è stato “il manifesto”. Da Palermo, in redazione a Roma, e, quando già volevo andare via, proprio Pintor, credo con affetto, mi disse : “Tu che ti piacciono gli operai, vai a Torino e racconta la fabbrica!”. Correva l’anno 1974. Da Pintor ho cercato di imparare, a Pintor devo molto.
A Torino, nel febbraio del ’78, sono entrato in Rai. Ero, allora, l’unico giornalista disoccupato del Piemonte e della Valle d’Aosta e in Rai qualcuno aveva fretta di assumere un giornalista democristiano e uno liberale. Il terzo, disoccupato e “comunista”. “Ma non è nostro, ci attacca pure…” sbottò il segretario della Federazione del Pci, ma era un galantuomo, Renzo Gianotti, e non si pose il veto. Ho fatto cronaca e mi sono occupato di ambiente, le inchieste di Guariniello sull’amianto, in strada quando le BR e Prima Linea sparavano e davanti ai cancelli della Fiat durante la lunga vertenza che si concluse con la marcia dei 40mila capi e la sconfitta sindacale.
Fu Sandro Curzi a chiamarmi al Tg3 appena nominato direttore. Credo che sia stata la sua grande amica Miriam Mafai a segnalargli quel giornalista incontrato nelle assemblee sindacali. Ma Sandro non dava deleghe, metteva tutti alla prova. Con lui sono stato Capo servizio, cronista parlamentare, capo della redazione interni e tanto altro. A cavallo delle stragi di Capaci e via D’Amelio mi mandò a Palermo più volte per coordinare il giornale che andava in onda dalla Sicilia. Ma la scommessa più difficile era quotidiana. Tutti i giorni il Direttore voleva alle 19 tutti i titoli che avremmo letto il giorno dopo sui giornali di carta. Mi toccava cambiare il giornale in corsa, qualche volta tirando a indovinare. Il risultato era un giornale meno ordinato di quanto non si vedesse allora in Tv, sporcato dalla diretta imprevista, con qualche errore ma sempre vitale. Grazie Sandro.
Vice Direttore con Giubilo, al tempo della prima discesa in campo di Berlusconi, nel 95, decisero di sbarazzarsi di una presenza ingombrante e non sempre popolare, la mia. Corrispondente a Parigi! La notizia mi raggiunse mentre ero in viaggio di nozze. “Vieni con me a Parigi?” “Sì”. Che fortuna! E fu fortuna ancora nel 2003. Il mio posto (morto Paolo Frajese, ero diventato Capo dell’ufficio di Parigi) “serviva”. Corrispondente a New York!
Fu ancora Curzi, ora consigliere di amministrazione della Rai, a chiamarmi a Roma. Non so come abbia fatto, ma convinse l’intero Consiglio che sarei stato un buon direttore e mi affidarono la guida di Rainews24, dopo che Roberto Morrione era stata mandato in pensione. In sei anni, svegliandomi tutte le mattine prima dell’alba e non mollando mai, spero di aver meritato quel grande dono.