Padre Enzo Caruso, sacerdote a Brolo, con un testo molto intenso e personale, racconta con voce autentica la sua esperienza…
Il suo testo
L’allora direttore del movimento presso cui ero in servizio – un prete italiano emigrato a Buenos Aires da bambino – fu per me maestro e formatore.
Quando Bergoglio veniva a Roma, i due si incontravano a cena, e io li accompagnavo. Entrambi avevano un carattere forte, tipico dei geni capaci di cogliere la realtà con uno sguardo fulmineo e di sintetizzarla in modo immediato, poco elaborato.
Condividevano la passione – tutta latinoamericana – per il mondo e la sua trasformazione, nella direzione della solidarietà e del riscatto dei poveri.
Avendo entrambi personalità forti e idee ben strutturate, spesso accadeva che, nella passione per il bene comune, litigassero, anche con qualche pugno sul tavolo.
Ogni tanto Bergoglio si girava verso di me e, scherzando, diceva: “Beh, e tu, americano, cosa ne dici? Scommetto che difendi il tuo presidente!”.
Sapeva che non avevo mai reciso i legami con la terra dove sono nato, e lui non nascose mai un senso di insofferenza verso quell’America che considerava corresponsabile delle dittature fasciste che hanno dilaniato il Sud America.
In genere, la mia risposta – non senza un po’ di disagio – era: “Adesso che avete finito di salvare il mondo con i vostri discorsi, non dimenticate di pagare il conto”. E la tensione si scioglieva.
Io stavo in ascolto e assorbivo tutto. Le grandi intuizioni. Ma ciò che più mi conquistava era la loro passione.
Il cardinale portava dentro di sé l’insofferenza per tante contraddizioni irrisolte all’interno della Chiesa, anche se molti degli argomenti riguardavano la sua diocesi e la Chiesa in Argentina.
Provava un senso di irritazione verso il clima dei palazzi; sentiva un bisogno costante di contatto con la piazza, con il popolo.
Quando fu eletto papa e si affacciò dalla loggia di San Pietro, ero all’estero. Conoscendolo, furono poche le cose che mi colsero di sorpresa: i gesti, le prime parole fuori protocollo.
Da un lato, mi identificavo con il pensiero di Benedetto XVI, ma aspettavo un papa che sdoganasse molti argomenti e uno stile nuovo. E così fu.
I media e i social misero brutalmente – e ingiustamente – i due papi in contrapposizione. Erano molto diversi, ma non erano antagonisti.
Benedetto XVI era molto più umano di quanto si volesse far percepire, e Francesco molto meno “di sinistra” di quanto si volle far credere.
Per comprendere la Chiesa e un pontificato bisogna avere il coraggio di fare quel salto che porta fuori dalle categorie di “destra” e “sinistra”.
Ogni papa viene dalla sua storia e cultura, ma un pontificato va valutato con categorie più ampie, più universali.
Cominciò così la lunga scia di parole e gesti:
L’inchino e la richiesta di preghiera al popolo, la sera della sua elezione.
I pastori (e la Chiesa tutta) portatori “dell’odore delle pecore”.
La Chiesa “ospedale da campo”.
La coraggiosa apertura alla possibilità della comunione per i divorziati risposati, che avessero dimostrato fedeltà alla Chiesa e ai sacramenti, prima e dopo.
Il desiderio di una “Chiesa povera e per i poveri”.
Su quest’ultima espressione, se avrò occasione, mi piacerebbe soffermarmi per fare qualche sottolineatura, perché fu una delle affermazioni più abusate e strumentalizzate del suo pontificato.
Certamente sono parole che indicano una traiettoria, presente e futura.
Poi ancora: la scelta di celebrare la Messa del Giovedì Santo fuori da San Pietro, in un carcere minorile, dove compì il clamoroso gesto della lavanda dei piedi sui detenuti.
E la Porta Santa dell’Anno Santo della Misericordia, aperta in un altro carcere.
Una delle scelte più significative nella gestione interna della Chiesa fu la trasformazione della struttura del Sinodo dei Vescovi.
Un’intuizione pienamente fedele al Concilio Vaticano II: la dignità del cristiano si fonda sul battesimo, non sui ruoli di prestigio ricoperti in Vaticano.
Al Sinodo devono arrivare le voci dei senza voce, nella Chiesa e nel mondo, non solo quelle dell’alta borghesia intellettuale sempre piazzata in prima linea. Una rivoluzione.
Certi semi, quando sono piantati, non germogliano subito. Ma resta il fatto che il seme è piantato.
Considerato da alcune frange un usurpatore, un antipapa, un traditore della sana dottrina, il pontificato di Francesco è stato segnato anche dal dolore per la fuoriuscita dalla comunione con Roma di diversi preti e qualche vescovo (don Minutella, mons. Viganò, altri).
Ciò che sento di dire, in questo momento, è che Francesco, nonostante tutto, seppe tenere saldo il timone della Chiesa, e che un giudizio più autentico sul suo pontificato sarà possibile solo con il tempo.
Intanto, è stato il pastore della Chiesa cattolica, il nostro papa, un faro per il mondo.
22/04/2025
Enzo Caruso
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