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TRANSITI E SEGNI – …astralmente Battiato.

Compositore forbito, cantautore-filosofo, nobile ma mai snob, Franco Battiato ha saputo meglio di tutti coniugare l’anima piu’ avanguardistica e quella piu’ popolare della musica italiana. Spaziando dalla classica al pop, dalla world-music all’hard-rock ( così scrive su ondarock Domenico Ruoppolo preludio di una lunga intervista dall’emblematico titolo  Alla ricerca di un oceano di silenzio che pubblichiamo integralmente al termine dell’articolo) , ma oggi scopriamo un Battiato “astrale” diverso, seguendo la traccia di un’analisi elaborata da Grazia Capone.

Battiato danza tra le stelle.

I segni dello Zodiaco sono Modelli Karmici; i pianeti sono i Telai; la Volontà è il Tessitore. (Cayce)

Immergo le mani in questa mappa come fosse materia incandescente. A dispetto della cerebralità del personaggio, dei suoi ironici, lievi o grevi, distacchi, la mappa è materia bruciante.

Gli aspetti subito evidenti sono il fuoco degli elementi e l’estrema primarietà delle reazioni e del carattere. Certo, con gli anni gli angoli taglienti sono stati smussati, ridotti o cancellati. Rimane però un centro di fortissima energia, visto che tutti i punti basici sono in elementi di fuoco: Luna, Sole, Ascendente. Non basta, la mappa ha un fortissimo sigillo, impersonato dal pianeta più profondo, più viscerale, più pericoloso e temibile: Plutone, dio dell’Ade, fortissimo in Leone impresso all’Ascendente, quindi nel centro più vitale, interiore del nostro.
Plutone è inconscio e destino segnato. Fin dalla prenascita, l’essere non nato aveva un piano, un destino, una meta. Non a caso la meta fu la Sicilia, terra veramente centrale di una cultura araba mediterranea, segnata già nei percorsi della mappa. Perfino la fisionomia si piega a questo “sigillo” e la persona, Franco in questo caso, assume anche fisicamente le sembianze tipiche plutoniche, cioè arabe, che il pianeta, riassume in ogni caratteristica, sia evidente, sia nascosta.

Nascosto segreto, riposto….mai sigillo planetario fu più consonante.

Ho conosciuto diverse persone che presentano all’ascendente questo “segno”….mai, neanche dopo anni e anni, si può affermare di conoscerle, neanche se ti vivono accanto; l’imprevedibilità della loro personalità, la loro intelligenza sottile, l’assoluta mancanza di morale conosciuta, le loro esperienze, anche inconsapevoli, ai confini, il loro potere sia seduttivo, sia economico, sia carismatico, le rendono misteriose e inaccessibili anche se la loro vita si svolge fianco a fianco alla tua. Una caratteristica importante di queste persone è anche la loro ironia, una forma di sottile intelligenza che si allea ad una pungente aggressività evoluta.

Sindrome di fuga

Il sigillo è scorpionico dunque, come ereditato probabilmente dalle figure parentali. Una madre incombente, un padre desiderato, lontano.

Una figura paterna distante, che genera un meccanismo ben conosciuto di fragilità e di continua ricerca di sè. Cercarsi lontano, trovarsi bene solo lontano, una sindrome di fuga incoercibile e compulsiva, presente in ogni stato dell’esistenza che diventa carattere, forma d’essere. In questo caso viene vissuto come un necessario nomadismo, un necessario sradicarsi da radici così profonde.

Il Sole, nel settore nono riceve l’opposizione di Nettuno situato in 3°. L’asse 3/9 è proprio l’asse che compete i due emisferi cerebrali. Il nostro è diverso proprio a livello cerebrale, fisiologico, come viene ribadito anche dall’accoppiata Luna Plutone all’ Ascendente, la quale dirige le ghiandole e l’attività ormonale. Per queste persone così strutturate, “le vibrazioni sono una realtà tangibile, percepita sia attraverso la musica, i colori, l’aura” di una persona e così via. La sensibilità, l’ intelligenza, il genio, così come accade nella pittura astratta, assumono forme non consone, ad ampia gamma, a raggio differenziato. La logica, strano a dirsi, prende vie inconsuete. La coscienza è dilatata e diffusa ad ampio spettro. Le dimensioni destra-sinistra-dritto-rovescio-basso-alto, si mescolano e si confondono l’una nell’altra, in tutte le dimensioni, come si nota anche nel costante uso di testi da leggere al contrario nella sua produzione. Lo specchio di Alice diviene cosciente.

Le improvvise intuizioni, la continua riserva di nettuniana ispirazione musicale, derivano da questa particolare disposizione del tema che si allea all’energia creativa del Leone all’ascendente.

Nettuno è la genialità, che, forse non tanto stranamente, viste le particolarità della creatività di Battiato, invia influssi non consonanti al Sole, ma, al contrario, disgreganti, corrosivi, dispersivi. Altre persone, con questi aspetti, pagherebbero con un tessuto nevrotico notevole, fatto di continui stati di ansia, di crisi di panico, di paure irrazionali. L’arte, invece cura, guarisce, fermo restando che la genialità supera gli schemi, ma l’uomo potrebbe più di una volta essere incorso negli abbacinanti abbagli del nulla, o nelle piccole fobie, rovescio inevitabile di una medaglia splendente.

A questo substrato di estrema sensibilità si riallaccia anche la scelta vegetariana di Battiato. Il legame esoterico esistente nella mappa ( Plutone congiunto Luna ) tra il cibo e Battiato. Plutone coglie gli elementi inferi instaurando nel soggetto la fobia della contaminazione sottile derivata dal nutrirsi di essenze inferiori ed impure. Il nutrirsi diviene quindi quasi simbolo, atto magico, e ricerca di purificazione.
L’equilibrio, in questa mappa è importante, viste le delicate disposizioni planetarie, e infatti lo soccorre: le due figure essenziali Sole- Luna- Padre – Madre, parte femminile, parte maschile, conscio-inconscio, ben si amalgamano con un armonioso trigono, a dimostrare un equilibrio notevole, un equilibrio sopra le acque tempestose della sensibilità che frena ed armonizza gli impulsi dispersivi di un genio veramente prepotente.

Molto alta, nonostante le notizie che ci giungono e, le nostre stesse testimonianze, l’aggressività del soggetto, sia pure molto sofisticata. Aggressività rivolta nei confronti sia del partner sia del prossimo in generale. Soprattutto negli anni giovanili ( ricordiamo il famoso episodio in cui Battiato, scontento del pubblico, si esibì per tutto il concerto solo di spalle ) gli impulsi di fuoco Ariete – Leone, che certamente ampliano il senso di sè, e quel battagliero Marte in settima, accoppiato alla crudeltà plutonica, lo facevano giocare abilmente di fioretto, con pronta, sagace diplomazia, che poteva far molto male.

Crescendo, e considerando l’asse 1/7 che ospita Marte e Plutone, riteniamo che la possibile aggressività sia oltremodo cresciuta ed affinata. Le potenzialità sono cresciute in maniera esponenziale. Molte volte abbiamo descritto Franco, guardandolo ed osservandolo come un Ariete rovesciato, divenuto opposto: Bilancia quindi, come Bilancia, sarà un caso, sono tutti i suoi più stretti collaboratori : Alice, vero doppio astrale, Filippo Destrieri, Angelo Privitera, crediamo lo stesso Giusto Pio. Nel suo rapporto con gli altri, oggi gentilissimo e pieno di stile, entra, prepotente, la fascinazione, e non di rado, soprattutto in rapporto con le donne, ancestrali richiami sessuali.

Il rapporto con le donne lo ritengo veramente molto interessante. Qui abbiamo il vero pigmalione, il vero creatore che, rivolto alla sua “creatura” sussurra :”vivi”.

Franco, soprattutto con la sensibile e ricettiva, duttile, psiche femminile dà il meglio di sè. Nessun segreto può essere nascosto all’abile indagine osservativa del suo Plutone che lo rende anche un ottimo profondo psicologo. Le donne, non solo rimangono affascinate, ma l’ interesse rimane durevole nel tempo, perchè legato agli strati più profondi dell’io. Il rapporto può essere intenso, profondo, viscerale, indimenticabile per il soggetto ricevente. E’ un vero rapporto di sottile potere. Dal punto di vista artistico il rapporto con le donne è per Franco una notevole forma di gratificazione e di successo.

La Maschera e il Volto

Dall’altro lato, dalla parte di Franco, le donne hanno avuto un’ influenza notevole. Il mistero, la complessità, la drammaticità e il carisma avvolgono la figura materna. Sono elementi, aggiungendo quello sessuale, molto prepotenti, che Franco ha recepito e cercato nell’altro sesso.

Le donne preferite hanno un carisma sessuale primitivo, e possono essere loro stesse sacerdotesse delle magie dell’amore. A volte sono donne che assumono un’ identità segreta. La mappa presenta però, da parte di Franco, e nonostante la grande istintualità di base, e la grande passionalità, una forte tendenza a dirigere gli istinti, a padroneggiarli, a sperimentarli, e, sicuramente ( Marte in Aquario ed Eros congiunto a Saturno) a sottometterli alla mente con pragmatica freddezza.

A 31 anni circa la direzione Sole/Venere, indica un grande amore. I rapporti amorosi sono vissuti però sempre con grande libertà interiore e con dicotomica visuale. Una sola donna non riesce ad avere tutte le caratteristiche desiderate e richieste dal soggetto. Ciò nonostante, il senso di gelosia e di possesso ( che potrebbe essere solo unilaterale, dalla parte femminile ) è molto forte. Una donna la si amerà per la sua carica sessuale, l’altra per la sua dolcezza, o magari per la sua voce, (Venere in Toro rende i soggetti molto suscettibili alle sollecitazioni vocali) e così via, amandone una e desiderandone un’altra, trovando forse soltanto di rado, o mai, la donna che incarna tutti i desideri. Del resto lo stesso Urano, in 11^, presagisce amori nati all’improvviso e finiti altrettanto improvvisamente. Piccole, intense, voraci fiammate. Lo stesso Urano in 11^ implica amicizie elettive per via vibrazionale, improvvise come colpi di fulmine, che, improvvisamente, come gli amori, possono finire. Molto alto il rischio di amicizie opportuniste sia dal lato ricevente che attivo.

Fisicamente, con Giove e Chirone in seconda casa, abbiamo una vecchia ferita, poi rimarginata. Una timidezza congenita, dovuta ad una insicurezza fisica di sè che proviene da un vecchio, forse prenatale, senso di rifiuto, che l’essere ingloba e deve poi metabolizzare per riuscire a cancellare. Questo implica anche quel non darsi, quel ritenere sè stessi che è fonte di una speciale forma di avarizia di sè, che si può manifestare in vari modi: dall’economico al sentimentale e così via simbolizzando.

Economicamente, soccorso com’è da un benefico Giove in seconda, tra l’altro isolato, non ci sono mai stati grossi problemi, anche se un Marte tra la settima e l’ottava, potrebbe ben significare improvvisi abbattimenti del patrimonio, dovuti a non felici accordi societari, subito, del resto, ridimensionati.

Due parole sulla sua voce che la mappa simbolizza e descrive con abilità particolare.

Giove in Vergine in seconda dà alla voce una potenzialità modesta, soccorsa però da un continuo e minuzioso lavoro, come di un giardiniere che, giorno dopo giorno, coltivi il suo giardino fino a renderlo un angolo lussureggiante: Plutone congiunto alla Luna all’Ascendente, dà il colore ormonale, arabizzante, non solo nelle tonalità , ma finanche nel timbro vocale, Venere in Toro in decima, oltre ad essere posizione da manuale per un cantante, esprime il fine dicitore, l’armonioso vocalista.

Come altri famosi artisti (uno tra tanti Lucio Dalla ) che presentano una Luna in 12^ che indica un grande amore per la solitudine, e forte riservatezza, ( nel caso di Battiato è tra la 12^ e l’ Ascendente ) la folla, rappresentata da questa solitaria Luna, accorda il successo di massa.

Questa Luna, poi, così misteriosa, segreta, riposta, drammatica, è anche il chiavistello di quest’anima votata devotamente al mistero, alle più occulte dimensioni, e a tutto ciò che permane inconoscibile. Una materia incandescente non a tutti comprensibile. La stessa sensibilità, certo fortissima, è sottomessa a questo colore arabo: una sensibilità araba: patriarcale, maschia, sotterranea, esplosiva, e certo a volte sottilmente mistificata. “L’essere ha sperimentato una profonda insoddisfazione di sè, e la necessità di trasmutare sè stesso. Non sono stati rari i periodi di odio verso sè stesso e di intensa inquietudine senza nome. I misteri della vita vengono imperiosamente indagati, i tabù dovuti al suo mondo e alla sua specifica educazione ambientale, inesorabilmente spezzati. Esiste un inesorabile impegno verso un obiettivo prefissato, ambìto con tutto il cuore”. Il senso di drammaticità delle scoperte fatte è così forte che solo il sarcasmo può rifletterlo.

La risonanza che attualmente lo stesso Battiato prova per i testi del grande vecchio Sgalambro, definiti da lui stesso ” grotteschi”, sono in rapporto a questa sua tendenza planetaria a velarsi di una forma di pesante ironia che possa sconfiggere tutto, perfino la ridicola morte.
E’, probabilmente, anche questo, che lega i due così durevolmente e, a prova di ogni critica come anche i vent’anni generazionali che li separano, che danno al loro rapporto un’ inconsueta traccia di rapporto padre -figlio; questo beffardo cinismo che li accomuna, come unico baluardo verso una vita, che non può essere dominata e compresa. Non dimentichiamo che Franco non è mai definitivamente cresciuto – congiunzione Sole-Mercurio – , rimanendo per sempre una mente fresca, evergreen, adolescenziale, e che, in più, i valori Leone immobilizzano il tempo, fermando l’individuo in una specie di limbo temporale.

Molto ci sarebbe ancora da dire, mi limito ad osservare il prossimo passaggio di Urano sul Sole, segno di cambiamenti drastici ed improvvisi di dimensioni e situazioni che l’essere sperimenta.

Grazia Capone

Operatrice Culturale con un interesse spiccato verso tutte le arti e vanta collaborazione con il musicista Salvatore Nigro ex Taberna Mylaensis per alcuni anni con la realizzazione di alcuni pregevoli cd. Attualmente membro del gruppo popolare Alkamar sound. Ama la filosofia e si spinge nelle praterie del mondo esoterico e spirituale. La sua citazione preferita: Ti auguro ciò che neanche osi sognare.

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Alla ricerca di un oceano di silenzio
di Domenico Ruoppolo

discografia completa di Franco Battiato

Fetus (Bla Bla, 1971)     

Pollution (Bla Bla ,1972)     

Sulle corde di Aries (Bla Bla, 1973)     

Clic (Bla Bla, 1974)     

M. Elle Le “Gladiator” Bla Bla (1975)     

Feedback (Bla Bla, 1976) ant     

Battiato (Ricordi 1976)     

Juke box (Ricordi 1977)     

L’Egitto prima delle sabbie (Ricordi 1978)     

L’era del cinghiale bianco (Emi 1979)     

Patriots (Emi 1980)     

La voce del padrone (Emi 1981)     

L’arca di Noè (Emi 1982)     

Orizzonti perduti (Emi 1983)     

Mondi lontanissimi (Emi 1985)     

Echoes of sufi dance (Emi 1985)     

Genesi – opera classica (Fonit Cetra 1987)     

Fisiognomica (Emi 1988)     

Giubbe rosse (live, Emi 1989)     

Come un cammello in una grondaia (Emi 1991)     

Gilgamesh – opera classica (Emi 1992)     

Caffè De La Paix (Emi 1993)     

Unprotected (1994)     

L’ombrello e la macchina da cucire (Emi 1995)     

Shadow, light (1996)     

Battiato studio collection (Emi, 1996)     

Battiato live collection (Emi 1996)     

L’imboscata (Polygram 1996)     

Gommalacca (Mercury 1998)     

Fleurs (Universal 1999)     

Campi magnetici (Sony 2000)     

Ferro battuto (Columbia Sony 2001)     

Fleurs 3 (Sony, 2002)    

Dieci Stratagemmi (Sony 2004)     

Un soffio al cuore di natura elettrica (cd+dvd, Sony 2005)    

Il Vuoto (Mercury 2007)    

Fleurs 2 (Universal, 2008)    

Basandosi su poche ma importanti costanti generali, quali la ricerca colta e la sperimentazione del tutto personale, negli ultimi tre decenni Franco Battiato ha pubblicato un gran numero di album divaganti nei più disparati campi, dal progressive rock all’avanguardia, dalla musica classica e sacra all’elettronica, passando soprattutto per un anomalo tipo di composizione pop sospesa fra divagazioni intellettuali e tendenze commerciali.

Nato a Jonia (provincia di Catania, Sicilia) nel 1945, attorno ai diciannove anni Battiato si trasferisce a Milano. Dopo qualche anno di gavetta ottiene i primi contratti discografici; fra il 1965 e il 1969 pubblica cinque o sei 45 giri di non considerevole successo. Si tratta di semplicissime e commercialissime canzonette d’amore o d’influenza beat (tra l’altro neanche scritte da lui), secondo il filone seguito dalla quasi totalità della musica italiana del periodo. La molla del cambiamento scatta durante l’edizione del 1968 di “Un Disco per l’estate”, celebre manifestazione canora radiofonica dell’epoca: Battiato si accorge di essere del tutto estraneo al contesto che lo circonda e, con ammirabile coraggio, rompe senza esitazione ogni contratto che lo lega a quel mondo discografico falso e deplorevole. Segue un breve periodo di profonda crisi personale, superato solo con l’aiuto di due nuovi fortissimi interessi che da lì in poi caratterizzeranno il suo modo di essere e di concepire l’arte musicale: il sufismo dei mistici mediorientali (non a caso la cultura araba sarà il centro degli studi universitari del compositore nel decennio successivo) e la musica elettronica. Alla fine dei 60 si avvia infatti all’esplorazione dei sintetizzatori (fu dunque il primo in Italia e tra i primi nel vecchio continente, almeno per ciò che riguarda il semplice ambito rock) e della musica concreta contemporanea. Compiuta la prima delle sue innumerevoli trasformazioni, quella cioè da giovane e mediocre cantante a sperimentatore e leader radicale della nascente seppur povera scena underground italiana, Battiato dà vita fra il 1971 e il 1972 al suo primo 33 giri, il rivoluzionario Fetus, pubblicato tra l’altro per una piccola casa discografica alternativa. Atmosfere elettro-acustiche, uso talvolta violento e sconsiderato del synth VCS3 e piccoli movimenti d’avanguardia caratterizzano questo oscuro album; dovette di certo trattarsi d’un vero e proprio shock per la vergognosamente arretrata scena leggera nazionale, già a partire dall’immagine di copertina (impressionante foto di un feto). Fra tristi melodie dal sapore mediterraneo arrangiate con strumenti elettroni analogici (“Una Cellula”, “Energia, Mutazione”), pezzi surreali (la meravigliosa “Fetus” e la spietata “Cariocinesi”) e scontri chitarra-sintetizzatore con contaminazioni campionate (“Fenomenologia”, “Anafase” e l’ottima “Meccanica”), il disco risulta essere un viaggio psichedelico con balzi dal microscopico della cellula all’infinito dello spazio, ispirato tra l’altro da “Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley (a cui è dedicato). Battiato delinea così un concept album in forma ibrida, sospeso fra canzone e acerba “kosmische musik”.

La distruzione del formato canzone ha seguito nel secondo Pollution (1973), un vero e proprio lavoro di “progressive rock d’avanguardia”, sospeso fra interrogativi esistenziali e la questione dell’inquinamento, che si riflette musicalmente con la “contaminazione” di matrice elettronica. L’album si apre con il valzer campionato de “Il Silenzio Del Rumore” su cui si stende la voce recitante del nostro, confluente poi nel breve ed emblematico “31 Dicembre 1999 – Ore 9”, con la batteria ad accompagnare squarci di chitarra elettrica distorta e ascesa di organo, fino alle esplosioni belliche finali. I tre brani che seguono rappresentano forse uno degli apici più originali della musica rock sudeuropea: “Areknames”, con partitura e testo distorto rispettivamente suonato e cantato al contrario, si stende fra dure melodie per VCS3; in “Beta” frasi apparentemente demenziali e brevi effetti vibranti circondano il vuoto (non quello “cosmico” di Schulze o Froese, ma quello “mentale” di Battiato), presto però colmato da cinque sublimi minuti in cui basso, batteria e piano (filtrati attraverso il VCS2) incrociano eterei effetti vocali; in “Plancton” l’antitetica lotta chitarra acustica vs. sintetizzatore raggiunge il suo apice formale, prima di essere spezzata da un finale elettro-etnico. I principi di fisica cantati nella title-track e il pianto di “Ti Sei Mai Chiesto Quale Funzione Hai?” chiudono questo gioiello indiscusso del rock sperimentale.

Forte delle nuove esperienze internazionali che sta accumulando in questo periodo, come i concerti in supporto di Brian Eno, Magma, Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, John Cale e Nico ed altri, e soprattutto in base alle lezioni fattegli privatamente dal maestro e amico Karlheinz Stockhausen, già dallo stesso 1973 Battiato si converte a una forma d’avanguardia persino più intellettuale e intimista. Verso il finire dell’anno pubblica uno dei suoi massimi lavori, Sulle Corde Di Aries.Convergono incredibilmente in questo nuovo, serissimo lavoro la sperimentazione ripetitiva, un’elettronica alquanto sofisticata e soprattutto una particolare forma di musica acustica che si rifà notevolmente alla tradizione araba. E’ giunto il tempo di “costruire qualcosa di nuovo”, e Battiato lo fa eliminando chitarre, bassi e batteria in favore di fiati, oboe, violoncello, mandola, calimba e piano preparato.I sedici minuti della suite “Sequenze E Frequenze” dettano i parametri del nuovo stile (mai più ripreso in alcun altro album): due linee di sintetizzatore rapiscono i sensi dell’ascoltatore avvolgendosi magistralmente fra loro, fino alla sovrapposizione della voce dell’autore a delineare immagini d’indescrivibile bellezza. Il pezzo continua poi con tredici (lunghissimi!) minuti di estasi musicale, durante i quali i ritmi colorati ma ipnoticamente ripetitivi degli strumenti più tradizionali e delle percussioni si uniscono a un continuo background di programmazione elettronica. Il suono sembra più volte sfumare e concludersi, ma in realtà la sua marcia non ha fine; la musica diventa strumento di dissoluzione dell’ego e di esplorazione di nuove dimensione mentali. Completano il disco lo strumentale “Aries” e le due meravigliose “Aria Di Rivoluzione” e “Da Oriente Ad Occidente”, riproponenti in piccolo la struttura di base del primo pezzo.

A seguire, con una nuova inversione di tendenza, Battiato dà vita al quarto e probabilmente ultimo capolavoro della sua prima discografia sperimentale, l’inquietante Clic (1974), totalmente dedicato alla persona e all’opera di Karlheinz Stockhausen. Abbandonate definitivamente le istanze da puro musicista di art rock, Battiato sforna sette brevi e inusuali composizioni quasi tutte strumentali di elettronica sperimentale. Atmosfere sospese fra il tetro e l’ultraterreno (“I Cancelli Della Memoria”, “Il Mercato Degli Dei”, “Nel Cantiere Di Un’Infanzia”), movimenti elettronici (“No U Turn”, “Propiedad Prohibida”) e collage rumoristico-sonori in stile John Cage (“Rien Ne Va Plus: Andante”, “Ethika Fon Ethica”) caratterizzano questa piccola opera curata in ogni particolare dal suo autore, che si alterna al piano, all’organo, agli strumenti elettronici e all’effettistica. Nessun pezzo si eleva più degli altri, ma da citare sono soprattutto la tristissima “No u turn”, unico brano anche cantato, in cui una parte incisa al contrario e una normale sono fra loro incastrate, e “Propiedad Prohibida”, dove una piccola orchestra di strumenti elettronici in stile “musica cosmica” è sfruttata per creare un andamento straordinariamente incalzante fino a convergere in un coinvolgente assolo finale di violino.

Da trasformista quale è, Battiato si avvia comunque ad abbandonare quasi del tutto l’elettronica. Compie un breve tour per l’Italia meridionale come tastierista dei Telaio Magnetico (gruppo formato per l’occasione con alcuni amici della scena alternativa della penisola) dalle cui registrazioni verrà pubblicato venti anni dopo (1995) un album live (si tratta di improvvisazioni dal sapore vagamente cosmico). Dello stesso periodo è il disco M.elle Le “Gladiator” (1975), inferiore comunque agli standard del compositore. Circa dieci minuti di campionamenti e sovraincisioni (ma molto piu’ duri e disarmonici di quelli di “Clic”), che fanno poi luogo a circa venti discontinui minuti di suoni d’organo, registrati nella cattedrale di Monreale. Non si comprende a pieno se M.lle le Gladiator rappresenti una grossa e pretenziosa idea mal riuscita, o se al contrario sia semplicemente un disco fatto di “riempimenti sperimentali” volti a mascherare, se non la mancanza di idee, quanto meno la fase transitoria dell’autore.

Passato poi dalla piccola etichetta d’avanguardia Bla Bla alla grande Ricordi (che paradossalmente sembra dargli persino maggiore libertà musicale!), questo misterioso artista conosciuto da appena un migliaio di persone si dedica, almeno per due o tre anni, alla composizione classico-avanguardista colta. Trascorre le giornate chiuso in casa davanti al pianoforte nel tentativo di dar vita a nuove forme sonore e frequenta musicisti di classica (soprattutto il pianista Antonio Ballista, esecutore delle registrazioni su disco delle composizioni di Battiato di questo periodo, e Giusto Pio, suo maestro di violino e futuro collaboratore agli arrangiamenti degli album di musica pop dal 1979 fino al 1991).I risultati di tale ricerca musicale sono documentati nell’album Battiato (1977). Il brano “Za” regala diciannove minuti di ossessiva e durissima musica per solo pianoforte, con effetti di amplificazione acustica e variazioni lentissime. E’ l’autore stesso a fornire una breve descrizione del pezzo nella copertina del Lp: “Apparentemente povero.Quasi completamente formato da un accordo. Volutamente percussivo (non vi viene mai usato il pedale di destra). Divide e sottrae risonanze con una tecnica di rilascio. Necessita di un ascolto che definirei meta-analitico, a favore di una non-spazialità a-temporale.” Il lato B del disco presenta il raffinatissimo collage di “Cafe’-Table-Musik” (nome tratto dai “Coffee-table-books”, espressione con cui Proust definiva i suoi libri). Il canto del soprano Maria Salvetta e alcune brevi parti recitate si intervallano a soavi frammenti pianistici.

Di minore importanza l’album Juke Box (1978), concepito come colonna sonora di un film tv italiano del periodo ma poi rifiutato dagli autori dello stesso. Si tratta di sei brani per piano, violini, soprano e coro. Niente di straordinario, ma molto divertente è il pezzo di chiusura “Telegrafi”, nel quale il violino solo di Giusto Pio viene “sbattuto” in modo più che straziante per oltre sei minuti e mezzo, fino all’esaurimento mentale dello sfortunato ascoltatore.

Le lezioni pianistiche di “Za” sono portate all’apice dalle due lunghe parti che compongono l’ultimo vero album propriamente sperimentale di Battiato, dal titolo L’Egitto Prima Delle Sabbie (1978). Nella title-track (brano vincitore del premio internazionale Karlheinz Stockhausen di quello stesso anno), una stessa veloce “frase” di pianoforte è ripetuta decine e decine di volte all’infinto senza alcuna variazione, tranne che nella lunghezza delle pause; è probabilmente questo il massimo esempio della capacità di Battiato di creare atmosfere ipnotiche e marcatamente meditative. Il secondo lungo pezzo “Sud Afternoon” mette invece in risalto la componente notevolmente percussiva, quasi maniacale, del suono del pianoforte.

Ma improvvisamente Battiato mette in atto forse uno dei più grandi mutamenti di stile e di genere che la storia della musica ricordi. La differenza che passa fra L’Egitto Prima Delle Sabbie e il successivo lavoro è a dir poco sconcertante.Quelle de L’Era Del Cinghiale Bianco (1979), pubblicato per la Emi, sono vere e proprie orecchiabilissime canzoni pop! Ma che pop! Abbandonata del tutto l’avanguardia, Battiato trasferisce la propria sperimentazione colta nell’ambito del formato canzone, scoprendosi così perfetto cantautore intellettuale. Nel bene o nel male il genere coniato dal siciliano – e portato avanti, seppur in continua fase di mutamento, nel decennio successivo – fonde in maniera personalissima musica per molti e musica per pochi; ciò non è però risultato di una mera mediazione: paradossalmente egli sforna canzoni piacevoli all’orecchio come mai se ne erano sentite, ma nel contempo più intellettuali di quanto si fosse mai sentito. Si potrebbe forse trovare nel resto della storia della musica qualcosa che assomigli vagamente a ciò, ma in Italia lo “stile Battiato” era e ancora e’ qualcosa d’inarrivabile (l’esistenza di ben pochi “allievi” sta oggi a dimostrarlo). Composizioni orecchiabili sono proposte con arrangiamenti ricchi nel segno della contaminazione e dell’originalita’. Eppure sono i testi a risultare fortemente impressionanti: evidenziando in sostanza un nuovo approccio con la dura lingua italiana, Battiato delinea una forma di “pseudo-psichedelia” riflessiva; si tratta essenzialmente di pezzi sospesi fra meditazione filosofica ed esoterismo, spesso accompagnati da continue citazioni “fin troppo” elevate e da “bombardamenti” di immagini evocative, talvolta evidentemente disconnesse fra loro.

Il culmine di tale forma canzone si trova proprio nel primo Lp del nuovo corso. L’Era Del Cinghiale Bianco è una scatola pop che dà l’impressione di tendere a più punti, dal jazz-rock alla musica sacra, ma che (è questa la particolarità) resta sempre e solo musica pop. La tittle-track unisce riff di chitarra elettrica e violino a un incessante battito di batteria, anche se a toccare l’ascoltatore è proprio la voce in falsetto dell’autore, che partendo dal vuoto si estende a dipingere un “Oriente virtuale” (come proprio Battiato lo ha poi definito).E’ in effetti lo stesso “Oriente” evocato nel finto-rock di “Strade Dell’Est”, mentre “Magic Shop” è una dura riflessione sulla commercializzazione di arte, cultura e soprattutto religione.Dopo l’andamento classicheggiante dello strumentale “Luna Indiana”, arriva la parte meditativa dell’opera. “Il Re Del Mondo” (titolo da uno scritto di Guénon) è il capolavoro del disco: basso, batteria, tastiere, pianoforte e violino accompagnano magistralmente questo pezzo visionario e malinconico (epocale l’avvio della prima strofa: “Strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo/ stonasse con il ritmo delle piante al sole sui balconi.”). “Pasqua Etiope” è una preghiera pop in latino e greco incentrata su melodia per oboe. Chiude “Stranizza D’Amuri” che, oltre alla particolarità di essere in dialetto siciliano, è forse l’unica semplice canzone d’amore (nel senso stretto e puro del termine) che si può attribuire alla sconfinata opera del musicista.

Il successivo Patriots (1980), pur nella sua originalità, è notevolmente inferiore. La musica diventa più orecchiabile, ai limiti della canzonetta radiofonica; gli arrangiamenti meno soavi ma ugualmente complessi, con un più marcato uso di chitarre elettriche e suoni elettronici. I testi si fanno stranamente più ironici, ma non perdono il loro carattere evocativo. L’unico pezzo di effettivo rilievo è comunque la geniale critica sociale di “Up Patriots To Arms”, dove la voce in falsetto di Battiato canta con tono rassegnato la stupidità dei popoli, sorretta da un accompagnamento perfetto, dalla sezione ritmica fino alle tastiere in sottofondo.

Sebbene già da un paio d’anni abbia abbandonato la pura sperimentazione, è solo nel 1982 che Battiato passa dallo stato di musicista underground a quello di popstar, con l’album La Voce Del Padrone (1981). Sette canzoni praticamente perfette e intelligenti e, cosa non da poco, orecchiabili e persino ballabili. Tutte le carte in regola (qualcuno più colto direbbe “piani di lettura”) per piacere a chiunque, insomma.

Musicalmente il disco si presenta come “pop”, ma riaggiornato con spruzzate di quello che la scena musicale degli anni precedenti aveva prodotto, dal punk all’elettronica, dalla new wave fino alle trovate “classicheggianti” dovute in gran parte alla collaborazione stretta con il maestro Giusto Pio, autore delle musiche insieme allo stesso Battiato.

I testi sono un geniale pastiche di letteratura, musica, pubblicità, politica, filosofia, religione.e non ci è dato sapere fino a che punto si tratti di puro nonsense o di sapienti accostamenti. Certo è che Battiato non ha paura a mischiare citazionismo alto e basso: dai “Minima moralia” di Adorno (che in “Bandiera bianca” diventano “Immoralia”) ai “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti, dal “Cantami o diva” a “Il mondo è grigio/ il mondo è blu”, di Nicola di Bari.

La critica sociale è spietata e alcuni testi, letti oggi, anticipano lucidamente e clamorosamente gli anni 80, cosiddetti del “riflusso”, con il rampantismo, la crisi delle ideologie e la rincorsa al denaro ed al benessere (“Siamo figli delle stelle/ pronipoti di sua maestà il denaro”): d’altronde lo sventolio della bandiera bianca dell’omonima canzone (anch’essa una citazione, dall’ “Ode a Venezia” di Arnaldo Fusinato, del 1849) non è altro che un segno di resa da parte del cantautore nei confronti della società, qualcosa di simile alla metafora del ritorno del “cinghiale bianco” di un paio di album anteriore.

Non mancano nemmeno la denuncia sociale, seppur velata d’ironia (“.quei programmi demenziali/ con tribune elettorali”, “Quante squallide figure che attraversano il paese/ Com’è misera la vita degli abusi di potere”) e le punzecchiature, anche in questo caso più sarcastiche che convinte, verso la musica (“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata/ A Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie”, “.e sommersi soprattutto da immondizie musicali”, “Non sopporto i cori russi la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese/ neanche la nera africana”).

E’ grazie a questo mix che Battiato scala le classifiche, ma convince anche la critica, anche se nell’album, oltre ai tre brani più celebri e tuttora indimenticati (“Bandiera bianca”, “Cuccurucucù” e “Cerco un centro di gravità permanente”), sono presenti alcune canzoni più raffinate e meno giocose, come “Gli uccelli”, elegante e poetica descrizione del volo, “Segnali di vita”, riflessione sul tempo e lo spazio che anticipa molto del Battiato che verrà, e “Sentimiento nuevo”, pezzo atipico del suo repertorio, praticamente un inno all’amore fisico, seppur disseminato di citazioni classiche.

Meglio andrà successivamente (ad esempio con Caffè De La Paix e L’imboscata), con dischi però più cervellotici che piaceranno più alla critica che al pubblico: La Voce Del Padrone resta un esempio quasi unico, nella discografia italiana, di album che è riuscito a mettere d’accordo tutti.

Più che pop tendente a essere colto, quella della trilogia “Cinghiale/Patriots/Padrone” assomiglia a musica colta che si traveste perfettamente da musichetta pop. Battiato ha stravinto la sua più grande sfida: fare “volutamente” musica commercialissima senza però perdere la dignità culturale del proprio operato, anzi semmai rafforzandola. In tal senso, proprio La Voce Del Padrone può essere considerato l’esperimento meglio riuscito del compositore siciliano, un’opera quasi inimitabile. Non a caso nei lavori successivi egli farà le cose migliori solo quando cercherà vie alquanto diverse.

Infatti, gli album immediatamente successivi, che tentano di mantenere una parte della formula, presentano risultati più mediocri. L’Arca Di Noè (1982) è una sorta di breve concept album pessimistico, in alcuni punti apocalittico, dove persistono le melodie facili, ma gli arrangiamenti variegati del precedente disco sono sostituiti da un’uniformita’ sonora tendente a un’elettronica ritmica ma pacata. “Radio Varsavia”, “L’Esodo”, “New Frontiers” e soprattutto “Voglio Vederti Danzare” rappresentano il culmine di un album poco brillante, ma quantomeno piacevole.

“La Stagione Dell’Amore” è invece la canzone che porta al successo il disco Orizzonti Perduti (1983), forse più “cantautorale” e, seppur nella sua invettiva intellettuale, commerciale. I meriti di questo periodo della carriera di Battiato vanno probabilmente ricercati solamente nell’introduzione di computer e tecnologie nascenti nella creazione di canzoni di consumo di massa, nell’opposizione all’oppressione musicale del mercato anglosassone, oltre che a poche altre trovate più bizzarre, come ad esempio l’uso di un coro di madrigalisti in ambito pop (vedi ad esempio La Voce Del Padrone e L’Arca Di Noè).

Pregi e soprattutto limiti del genere tornano definitivamente in Mondi Lontanissimi (1985). Sospeso fra spunti fantascientifici (“NoTime No Space”, “Via Lattea”), momenti d’intimismo (“L’Animale”), pezzi da cantautore (“Risveglio Di Primavera”, “I Treni Di Tozeur”), elettro-pop (“Chanson Egocentrique”) e simili, Battiato sforna un album di canzoni che entrano come niente fosse nell’orecchio degli ascoltatori, anche di quelli che non ne comprendono le sempre elevate divagazioni culturali.

Con gli album in lingua spagnola Ecos De Danza Sufies (1985) e Nomadas (1987), Battiato inizia intanto a farsi conoscere anche in Sud America e nella penisola iberica (tanto che negli anni Novanta sarà costretto a riproporre in castigliano gran parte dei suoi dischi), mentre il corrispondente in inglese Echoes Of Sufi Dances (1985) avrà minore successo.

Il maestro Stockhausen gli aveva fatto notare qualche anno prima che non poteva continuare a fare il cantante oltre i 40 anni. Non a caso proprio a quell’età Battiato dà inizio a una carriera parallela di compositore colto (non che da artista pop non lo sia, la differenza è che adesso egli cerca talvolta di fuggire dal formato canzone). L’occasione per inaugurarla è l’originale opera classica in tre atti Genesi (1986), in realtà caratterizzata in gran parte da sonorità sintetiche ed elettroniche.

Il ritorno alla canzone è ora tutt’altro che commerciale: Fisiognomica (1988) apre una serie di dischi del cantautore siciliano influenzati dalla musica classica e sorretti da un nuovo crescente desiderio di spiritualità, tanto che il musicista sarà destinato a evolversi nei primi anni 90 in cantautore-filosofo avverso al consenso di massa.L’album ha tanti spunti notevoli (tipo le ballate “E Ti Vengo A Cercare” e “Secondo Imbrunire”, che fondono canzone d’amore e tematica filosofico-esistenziale, o l’arrangiamento variopinto de “Il Mito Dell’Amore”, che parte da sequenze per tastiera per sprofondare in passaggi pianistici, possenti cori lirici e finale con assolo di chitarra elettrica e organo da chiesa), ma il culmine è nel brano finale “Oceano Di Silenzio”, che unisce tastiere e orchestra in un andamento calmissimo e ipnotico, e che già anticipa le magiche sonorità del successivo albumCome Un Cammello In Una Grondaia. Prima andrebbero però citate altre due uscite discografiche: il doppio live Giubbe Rosse (1989), che sembra chiudere definitivamente il periodo commerciale dell’autore, e Benvenuto Cellini – Una Vita Scellerata (1990), trascurabilissima colonna sonora di un film-tv italiano di quell’anno.

Come Un Cammello In Una Grondaia (1991), registrato agli Abbey Road, è una sorta di rivoluzione stilistica. Abbandonate la varietà di musica e testi che lo aveva reso famoso, Battiato dà ora sfogo alla propria religiosità e all’incessante desiderio intellettuale in modo semplice, elegiaco. Ne risulta però un album difficile, dove il canto è accompagnato dalla malinconia del pianoforte, oltre che da rari e impercettibili accordi di tastiera che confluiscono nel procedere continuo e ipnotico dell’orchestra nazionale di Londra. Ci sono quattro lieder classici (Wagner, Martin, Brahms, Beethoven) che servono appena a far numero, e altrettanti nuovi brani del cantautore. In “Povera Patria” e nella title-track, la tranquillità della musica è in antitesi con le quanto mai esplicite invettive politiche e sociali espresse. I pezzi più degni di nota sono però i due sublimi brani mistici e religiosi: la riflessione de “Le Sacre Sinfonie Del Tempo” e la preghiera direttamente rivolta a Dio de “L’Ombra Della Luce”.

Intervallando canzoni colte e lavori più classici, Battiato giunge alla seconda esoterica opera Gilgamesh (1992), meno elettronicamente filtrata della precedente “Genesi”, ma sicuramente alquanto pretenziosa.

Dopo l’ormai storico “concerto di Baghdad” con l’orchestra nazionale irachena (trasmesso in mondovisione e ancora reperibile in Vhs), l’autore torna in Italia sorprendendo di nuovo tutti con uno dei migliori lavori della sua carriera: Caffè De La Paix (1993), che riprende ottimamente le innovazioni del Battiato pop degli anni 80, filtrandole però con i vortici di misticismo che lo assalgono in questo periodo.Batteria, basso, chitarre, tastiere e computer, definitivamente reintegrati, vanno a incrociare gli strumenti classici e talvolta persino quelli tradizionali arabi, formando così uno straordinario esempio di world music in formato canzone. Alle ormai solite quasi a-ritmiche espansioni tastieristico-orchestrali con testo mistico (“Sui Giardini Della Preesistenza”, “Ricerca Sul Terzo”, “Haiku”) si intervallano una serie di efficacissime ballate variamente arrangiate, fra tradizione e modernità. Oltre al classico arabo “Fogh in Nakhal”, ci sono la colorata “Caffè De La Paix”, che tratta della reincarnazione (vero credo del cantautore) e il nuovo slancio religioso di “Lode All’Inviolato”, con andamento incalzante.I capolavori del disco sono però la quasi magniloquente “Atlantide”, forte di ritmiche incalzanti e rigurgiti d’elettronica, e l’apparentemente più quieta “Delenda Carthago”.

Dell’anno successivo sono il poco importante live Unprotected (1994), la cui mediocrità è risanata solo dall’ottima scelta dei brani presenti, e il nuovo classico Messa Arcaica (1994), composizione religiosa per soli, coro e orchestra, portata in giro per le chiese (non solo cattoliche) d’Italia, e di non trascurabile successo.Nello stesso anno, in occasione dell’ennesima opera “Il Cavaliere dell’Intelletto” (mai pubblicata), nasce la collaborazione con l’anziano filosofo siciliano Manlio Sgalambro, che da quel momento in poi sarà autore di quasi tutti i testi di Battiato. Comincia così una nuova eclettica fase del cantautore siciliano, piena di veri e propri “voli pindarici” per quanto riguarda i generi intrapresi.

La bizzarra collaborazione ha inizio quasi per caso con l’album L’Ombrello E La Macchina Da Cucire (1995).In esso i testi filosofico-deliranti di Sgalambro – che nel comporre riprende gli stilemi intellettualistici collaudati da Battiato, talvolta in modo persino più enfatico – si associano alle pesantissime atmosfere elaborate dal musicista, venendo a formare un disco omogeneamente noioso. I pezzi migliori sono comunque le apocalittiche “Piccolo Pub”, “Breve Invito A rinviare Il Suicidio” e la title-track. Sorprende invece l’incedere elettronico di “Tao” e soprattutto il modo poetico e aulico di descrivere il desiderio sessuale in “Fornicazione”.

Passato alla Polygram dopo 16 anni presso la Emi, Battiato riprende in mano la chitarra elettrica e a partire da essa delinea l’album che definitivamente gli ridona il contemporaneo appoggio non solo di critica, ma anche di pubblico: L’Imboscata (1996) incrocia la migliore tradizione di cantautore intellettuale di Battiato con l’uso delle chitarre elettriche. Notevole anche l’appoggio di Sgalambro, con i suoi testi in italiano elevato che sfiorano però il plurilinguismo (inglese, francese, portoghese, tedesco.). Comunque gran parte delle canzoni fanno a stento da semplice cornice ai pochi pezzi realmente ben riusciti. “Di Passaggio” è una riflessione sul “panta rei” di Eraclito che si stende su lunghi riff di chitarra elettrica.”La Cura”, un altro dei grandi successi commerciali, è una meravigliosa e aulica confessione d’amore sospesa fra utopia intellettuale e ricerca della propria essenza; ma è anche il pezzo meglio orchestrato fra tutti. Il rock di “Strani Giorni” unisce le aspre fughe chitarristiche di Battiato e di David Rhodes (gia’ al servizio di Peter Gabriel) a due diverse linee di canto, l’una in italiano, l’altra in inglese. Per il resto ci sono solo sofisticate ballate, ma con qualche spunto improvviso un po’ più originale (tipo l’andamento alterno di “Serial Killer” e le digressioni pianistiche e vocali in “Ein Tag Aus Dem Leben Des Kleinen Johannes”).

Intanto Battiato continua l’esplorazione delle chitarre elettriche e, adottandone la componente più aspra, delinea un altro notevolissimo album, Gommalacca (1998), che ne rappresenta uno dei massimi successi di vendita, ma nel contempo paradossalmente uno dei più arditi esperimenti.Ricco di suoni duri incentrati sulla magniloquenza della chitarra elettrica, di contaminazioni elettroniche, di distorsioni e sovraincisioni, ma pur sempre nei comunissimi limiti della canzone, Battiato conia una sorta di “techno hard-rock intellettuale”, certamente di notevole impatto, seppur forse leggermente manieristico. Nel complesso il disco non è unitariamente bello, e diversi pezzi potevano essere del tutto scartati (magari a favore dei tre buoni inediti contenuti nel singolo “Il Ballo Del Potere” dello stesso anno). Ma, prese singolarmente, diverse composizioni impressionano in più punti. Ad esempio la riflessione con accompagnamento “metallaro” de “Il Mantello E La Spiga”, o l’apparentemente soave “Casta Diva”, in cui “acuti” di chitarra elettrica accompagnano gli acuti campionati di Maria Callas, senza dimenticare “Auto Da Fe'”, incentrata sull’interazione fra la stessa chitarra elettrica e il sintetizzatore. I veri gioielli del disco, però,sono “Il Ballo Del Potere” e “Shock In My Town”. La prima unisce percussioni d’andamento tribale con impressionanti cori campionati, melodie nascoste, e evocazione più forti del solito, calando però il tutto in un’atmosfera fra il futuristico e il lievemente ridondante. L’altra è invece il massimo esempio delle enormi capacità d’arrangiamento del cantautore italiano: a un riff di chitarra in sottofondo si sovrappongono una valanga di suoni e distorsioni, dall’orchestra ai cori spettrali, dall’ottima linea di basso agli spunti elettronici; il testo, invece, è un vero e proprio “viaggio con la mescalina”, fra oscure visioni e valanghe di immagini; è lo snervante ma raffinato caos urbano di Battiato, sintetizzato nella falsa rima distorta che attraversa e percuote periodicamente l’intero brano: “shock in my town… Velvet Underground”.

A testimoniare la varietà di stili che l’autore – ormai ultra cinquantenne – sa intraprendere in modo disinvolto c’è il passaggio dai synth e chitarre elettriche di Gommalacca ai soli pianoforte e quartetto d’archi che lo accompagnano in Fleurs (1999), raffinato “concept cover album” composto (oltre che da due inediti) da dieci canzoni d’amore altrui, soprattutto risalenti agli anni 50 e 60, e appunto arrangiate per ensemble da camera. Questo curioso disco è quindi musicalmente molto unitario, sebbene contenga brani non sempre vicinissimi fra loro, come il classico “Era De Maggio” del poeta napoletano Salvatore Di Giacomo e “Ruby Tuesday” dei Rolling Stones (in realtà, il fine di Battiato sembra proprio quello di farci scoprire le vicinanze fra tali canzoni). Per la maggior parte si tratta comunque di un tributo a un paio di autori italiani del passato (l’appena defunto Fabrizio De André e Sergio Endrigo) e ad alcuni corrispondenti francesi (Charles Aznavour, Jacques Brel etc.).

Ma le sorprese non sembrano finire, dato che con un nuovo colpo di coda Battiato fugge ancora una volta il formato canzone e su commissione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino incide per la Sony i sette movimenti sperimentali che compongono il durissimo Campi Magnetici (2000).E’ un momentaneo ritorno alle tendenze avanguardiste dei primi 70, ora però filtrate dall’esperienza di 25 anni di scorrazzamenti musicali e dall’uso della moderna tecnologia analogica. In un periodo di alto successo popolare, Battiato dà vita sottovoce al suo lavoro più inascoltabile. Si incontrano in esso continui flussi elettronici, campionamenti impazziti, centinaia di note “sparate” in pochi secondi, improvvisi attacchi di percussioni, languidi incisi lirici e pianistici, parti recitate che trattano di scienza, melodie celate, e così via in uno scontro fra “suoni primordiali” e andamenti da bizzarra ma serissima musica computerizzata.Comunque, il migliore dei sette movimenti è “The Age Of Ermafrodites”, quello che in effetti maggiormente evidenzia il contrasto fra parvenze di orecchiabilità e musica inascoltabile. L’album è in fin dei conti solo un esempio dell’ecletticità dell’autore più che una nuova totale adesione all’avanguardia, dato che le pubblicazioni immediatamente successive sono più tendenti alla normale canzone leggera.

Ferro Battuto (2001), che vede ospiti Natacha Atlas in un paio di brani e Jim Kerr dei Simple Minds ai cori del pezzo di apertura, sembra convergere a più punti senza però trattarne nessuno come si deve, risultando quindi alquanto deludente.C’e’ il solito pop elevato (“Bist Du Bei Mir” e “Il Cammino Interminabile” le più accettabili), le solite riflessioni intimiste (“La Quiete Dopo Un Addio” o “Lontananze D’Azzurro” da una poesia di Schopenhauer) e qualche “scherzo musicale”, tipo la cover rallentata di “Hey Joe” (omaggio però a Jimi Hendrix e non alla canzone) o le atmosfere jazzate di “Scherzo In Minore” e quelle elettroniche della lunga ghost-track.

Fleurs 3 (2002) rappresenta il seguito poco ispirato dell’omonimo di tre anni prima (si tratta di una anomala “trilogia forzata”, dato che il secondo capitolo non è mai stato progettato). Rispetto a esso, il nuovo disco è volutamente meno raffinato, sia nella scelta delle canzoni d’amore (per lo più pop italiano dei decenni passati come Sorrenti, Lauzi, Paoli e Adamo, rivisitato col solito piglio intellettuale), sia negli arrangiamenti (al quartetto d’archi si affianca la sezione ritmica e l’elettronica, in un contesto complessivamente commerciale).

Nel 2003 Franco Battiato ha anche esordito nel cinema, firmando la regia del film “Perduto Amor”.
Un anno dopo, esce il suo nuovo album, Dieci Stratagemmi, album conciso e senza fronzoli, e tra le righe ricco anche di una vena di rabbia caustica verso l’attualità internazionale.
Ad aprire l’album è il singolo “Tra sesso e castità”, canzone con la quale Battiato sembra voler riflettere sul tempo passato e sull’approssimarsi della vecchiaia, ma soprattutto canzone superbamente arrangiata, elegante e raffinata. Ma non gli sono da meno altri episodi come “Conforto alla Vita”, pezzo adagiato su un tappeto di archi ed elettronica, e “Apparenze e Realtà” (collaborazione con Maurizio Arcieri, mente dei mitici Krisma), che potrebbe essere la canzone che gruppi giovani e “cool” come i Subsonica hanno sempre cercato di realizzare. E che dire della magica “Fortezza Bastiani”, che richiama i “Secrets Of The Beehive” di David Sylvian… La vetta dell’album è però “Le Aquile non volano a stormi”, brano poetico e fascinoso, carico di fascinazioni orientali (il testo è tratto da versi del poeta cinese Qu Yan).
Ma, come si diceva, cifra caratteristica di questo disco è soprattutto una corrente di malcelata tensione e sotterranea insofferenza, che trova sfogo prima in un brano come “Ermeneutica” (“eiacula precocemente l’impero/ tornano i vecchi testamenti/ gli stati mostri si avventano sui regimi fascisti”… “mostruosa creatura, il suo nome è fanatismo”… “gli stati servi si inchinano a quella scimmia di presidente… si inventano democrazie…”), che peraltro si segnala come una delle partiture più folli e spiazzanti della sua carriera, e poi nella fantasia visionaria di “23 coppie di cromosomi”, autentico incubo metropolitano, memore delle “allucinazioni” di “Shock In My Town”.
Assistito in diversi episodi dalla voce della brava – e bella – Cristina Scabbia (cantante del gruppo goth-metal dei Lacuna Coil) e con i testi scritti come di consueto in collaborazione con Manlio Sgalambro, Battiato appare in gran forma, febbrilmente ansioso di esprimere la sua visione delle cose. Una visione che trova la sua espressione più lirica nella conclusiva “La porta dello spavento supremo”, dimessa nenia per piano e archi (tutto rigorosamente “synth”), con Battiato e Sgalambro a scambiarsi il posto di voce recitante di versi brevi e dolcemente fatalisti.

Un Soffio Al Cuore Di Natura Elettrica (2005) è un trascurabile cd+dvd, contenente la registrazione di un concerto tenuto da Battiato al “Nelson Mandela forum” di Firenze il 17 febbraio 2005, nell’ambito del nell’ambito del “X Stratagemmi tour”.

Giunto ormai, al ventinovesimo lavoro, nel 2007 Battiato pubblica Il Vuoto. Il Battiato che t’aspetti verrebbe da dire. Le patologie del quotidiano vengono sezionate fin nei più intimi aspetti dello spirito. Uno spirito malato, che annaspa fra le pieghe del vuoto, e che cerca precario conforto in un sconfinato consumo e nel logoramento trascendentale. Chi ha rifiutato la recente deriva elettro-pop, vedrà confortate, quantomeno parzialmente, le aspettative di un Battiato vecchio stile (sì certo, ma quale vecchio stile?). E fermarsi all’ascolto del singolo che dà il titolo all’album sarebbe veramente delittuoso. Sulla falsariga di “Tra sesso e castità”, la prima traccia, che, diciamolo, può anche sembrare pacchiana e banale, percorre le vie di un pop sapientemente mischiato all’elettronica. I synth giocano con l’austerità classica del canto, creando un gioco di rimandi a quel sottovalutato “Gommalacca”. E se siete veramente rimasti disgustati dal singolo, come chi scrive, rifugiatevi nel lirismo di “Tiepido Aprile”. La maestosa traccia pastorale che si svolge fra gli archi della Royal Philarmonic Orchestra porta idealmente l’ascoltatore tra le note di Come un Cammello In Una Grondaia. E i rimandi al Battiato del periodo dei lieder ottocenteschi paiono sempre dietro l’angolo. Basti ascoltare la seppur piatta “Era l’inizio Della Primavera” per rendersene conto.
Ma, lo sappiamo, il siculo è autore vario e istrionico. Ecco allora il funk-pop, condito in salsa electro-noise orientale di bluvertighiano slancio, di “The Game Is Over” o le nostalgiche trombe di “Aspettando l’Estate”. Che il padre nobile della canzone italiana abbia strizzato l’occhio alle filosofie e alle religioni orientali non è certo mistero. E “Niente è come sembra”, ispirato a una frase del Buddha, testo programmatico del Battiato-pensiero, sebbene decisamente monocorde nello sviluppo della melodia, avvalora la tesi dell’autore-filosofo, coadiuvato non a caso dall’ormai fedelissimo Manlio Sgalambro. La world-music della conclusiva “Stati di Gioia” chiude idealmente il cerchio.
Il Vuoto è un album che sa rincuorare, al quale non si deve chiedere nulla più di quello che si propone, che si ripromette di dare una lezione più che di farsi apprezzare musicalmente. “La mia droga è un cielo terso con una nuvola che lo attraversa. Per qualcuno sarà noioso, per me è come farmi d’eroina”. Ecco l’essenza de “Il Vuoto” dalle stesse parole di Battiato. Come dargli torto?

A nove anni di distanza dal primo esperimento Fleurs e a sette dal suo successore, Fleurs 3, Battiato ripropone una formula che aveva ottenuto un discreto successo ma che, al di là dell’eleganza delle composizioni, mostrava una stanchezza di fondo.
Proprio come allora, in Fleurs 2, il cantautore di Jonia si dedica alla rilettura di brani del passato, passando in rassegna dodici canzoni italiane e non, coadiuvato da ospiti di un certo prestigio. Si passa allora dall’inglese leggermente compassato di “It’s Five O’Clock” (traccia degli Aphrodite’s Child) agli avvolgenti archi di “Bridge Over Troubled Water” (di Simon & Garfunkel). Fra gli episodi più riusciti, la settima traccia, “Il venait d’avoir 18 ans” di una Dalida in gran forma, la prestigiosa collaborazione con Antony (“Del suo veloce volo”) o l’ispirato e nervoso pop-noise-jazz di “La musica muore”.
Un album un po’ così, fine a se stesso e che non riesce né a colpire musicalemente né a catturare emotivamente.

Contributi di Davide Bassi (“La Voce Del Padrone”), Mauro Roma (“Dieci Stratagemmi”), Alberto Asquini (“Il Vuoto”, “Fleurs 2”)

fonte e foto http://www.ondarock.it/italia/francobattiato.htm

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