Nessuna invettiva da comizio, nessuna voce rotta dall’ira. A Messina, il generale Roberto Vannacci ha fatto il suo ingresso con tono misurato, quasi sommesso. Eppure, ciò che ha detto ha fatto molto rumore. Perché se c’è una cifra che distingue l’europarlamentare leghista è proprio questa: parlare piano, ma colpire duro.
Alla manifestazione organizzata dalla Lega per celebrare la memoria del comandante messinese Salvatore Todaro, medaglia d’oro al valor militare, Vannacci ha presenziato come ospite d’onore.
Un evento commemorativo che si è trasformato inevitabilmente in passerella politica. Accanto a lui, il senatore Nino Germanà – leader regionale del partito – e vari esponenti della Lega e di tutto il centrodestra siciliano, compatti nel promuovere la figura di Vannacci come simbolo di una Lega “nazionale”, ben lontana dalle origini nordiste.
Il ponte «infrastruttura strategica» anche in ottica NATO (?)
Nel suo intervento, il generale ha spaziato dall’elogio dei valori militari alla difesa del Ponte sullo Stretto, da lui definito «infrastruttura strategica» anche in ottica NATO e “mobilità militare”.
Un argomento controverso, usato però con abile retorica: «Abbiamo dato le prime picconate», ha ironizzato, strappando applausi. Ma le sue parole, come sempre, non si fermano alla superficie tecnica. Vannacci propone un’idea precisa di Italia: forte, identitaria, impermeabile a ogni forma di modernità che non rispecchi i suoi valori tradizionali.
Il generale è diventato, di fatto, il volto visibile di una destra muscolare e spesso divisiva.
Celebre – o famigerato – per il suo libro Il mondo al contrario, in cui ha espresso posizioni su disabilità, omosessualità e multiculturalismo che hanno fatto discutere l’intero Paese, Vannacci oggi catalizza consensi nella parte più inquieta dell’elettorato: quella impaurita dal cambiamento, nostalgica di un ordine perduto.
«Non urla, ma urla dentro», ha dichiarato Ninni Petrella, leader del movimento civico “Partiamo da Qui”, sintetizzando bene l’impatto del personaggio.
Vannacci rappresenta un populismo nuovo nella forma ma antico nei contenuti. Un populismo che non alza la voce, ma abbassa la soglia del confronto, parlando alla pancia più che alla testa.
Eppure, il successo, per i suoi, è evidente.
Lo testimoniano le parole di Giuseppe Amodeo, vicecommissario della Lega a Palermo: «Ci stiamo radicando. La nostra è una politica tra la gente, non nei palazzi». Un mantra ribadito da molti dei presenti all’iniziativa, convinti che il “modello Vannacci” sia vincente anche al Sud, dove la Lega cerca da anni un’identità stabile.
Ma mentre il partito festeggia la crescita nei numeri e nei territori, resta una domanda aperta: dove porterà questa traiettoria politica?
Il rischio – evidente – è che la personalità di Vannacci finisca per travolgere la stessa Lega, trasformandola in un megafono delle sue battaglie personali più che in un progetto collettivo.
Nel suo intervento finale, il generale ha reso omaggio all’eroe Todaro, definendolo «simbolo di coraggio e disobbedienza alla mediocrità».
Ma proprio qui si annida la contraddizione: può una politica davvero coraggiosa limitarsi a dire “ciò che nessuno ha il coraggio di dire”, se poi ciò che dice divide, ferisce, esclude?
Messina lo ha ascoltato con attenzione.
Ma il futuro dirà se a prevalere sarà la voce calma di chi vuole ricucire, o quella – altrettanto calma – di chi sa solo strappare.
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