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VERGOGNE ITALIANE – Ustica, 45 anni dopo: una ferita aperta nella coscienza nazionale

Ci sono verità che non si lasciano trovare.

 La strage di Ustica, accaduta il 27 giugno 1980

Si nascondono sotto cumuli di silenzi, omissioni, documenti secretati, scarti politici e morali. La strage di Ustica, accaduta il 27 giugno 1980, è una di queste: un punto oscuro della nostra storia recente che, a 45 anni di distanza, ancora grida giustizia e pretende verità.

Quella sera, 81 vite furono cancellate nel giro di pochi istanti, precipitando nel buio del Tirreno tra Ponza e Ustica.

Il volo Itavia IH870, decollato da Bologna e diretto a Palermo, non arrivò mai a destinazione. Le vittime, uomini, donne, bambini, oggi sono voci flebili e luci perenni custodite nel Museo per la Memoria di Bologna, che ci ricordano che dietro ogni “mistero di Stato” ci sono vite spezzate e famiglie in attesa.

Negli anni, le ipotesi si sono sovrapposte, come onde che continuano a frangersi sul relitto della giustizia: bomba a bordo, cedimento strutturale, missile, collisione con un caccia militare.

Ma la sentenza civile del 2011 ha stabilito con chiarezza: il Dc9 fu abbattuto.

È stato un atto di guerra in tempo di pace, consumato in un cielo affollato di aerei militari stranieri, in un Mediterraneo trasformato in campo di battaglia da potenze che ancora oggi negano, insabbiano, tacciono.

Le ultime inchieste, ormai prossime all’archiviazione, non aggiungono verità. Ma ci consegnano frammenti inquietanti: un serbatoio di aereo Usa sui fondali, un casco e un salvagente della portaerei Saratoga, testimonianze mai smentite di un teatro di guerra nei cieli italiani. L’Espresso, con rigore investigativo, ha osato dire ciò che in molti sospettano: un caccia americano avrebbe urtato il Dc9. Non un missile dunque, ma una collisione, un tragico errore di manovra tra guerra elettronica e scudi umani.

Eppure, a oggi, nessun colpevole. Nessun processo penale. Solo archiviazioni e mezze verità.

Il tempo ha coperto di polvere i dossier, ma non le coscienze. Lo Stato ha riconosciuto la sua responsabilità solo in sede civile, pagando risarcimenti, ma senza mai chiamare per nome chi ha premuto il grilletto o sbagliato rotta. La collusione tra silenzi istituzionali e diplomazie alleate continua a impedire che giustizia e verità si incontrino.

Ustica è la nostra ferita fondante: una tragedia che ha cambiato per sempre il rapporto tra cittadini e Stato, tra verità e potere.

È un esempio tragico di come, in nome di equilibri geopolitici, si possa sacrificare la giustizia. Il disonore non sta solo nell’atto criminale, ma nella viltà del suo insabbiamento.

E allora, oggi come ieri, continuiamo a domandare: chi ha abbattuto il Dc9? E perché?

Lo dobbiamo non solo alle vittime, ma a noi stessi. Perché un Paese che rinuncia alla verità, rinuncia anche alla propria dignità.

Max Scaffidi

Redazione Scomunicando.it

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