scritto da Candeloro Rina Nania
Vi sono occasioni imperdibili.
Quelle che coniugano evento, arte, personalità dell’uomo ed avvincono al punto da far fare la fila per procacciarmi il biglietto, malgrado la giustificata riluttanza per lo scirocco che rende l’estate romana insostenibile ed appiccicosa.
In una bellissima serata nel memorabile parco di villa Borghese ho assistito ad una interpretazione che passerà alla storia sia per il luogo dove è stata inscenata, vale a dire al Globe Theatre, quello realizzato per rendere più vicino il nostro sguardo all’esperienza shakespeariana, sia per l’interpretazione di Gigi Proietti.
L’altra sera la figura di Edmund Kean si coniugava con l’arte di Gigi Proietti. Qualcosa di magico si percepiva nell’imbastitura della trama di una vita quella di Edmund Kean, fiabesco personaggio inventato dalla scrittura di Raymond FitzSimmons, nel quale, sotto l’ispirazione del più eminente drammaturgo e poeta inglese vengono raffigurate, sinteticamente, le più importanti opere e figure del bardo.
Nella rappresentata summa si intravvede in controluce e si coglie anche la grande biografia dell’attore romano che si congiunge e sovrappone al protagonista della storia. Il mattatore della scena, forse l’unico rimasto nell’attuale panorama teatrale italiano, oltre ad Umberto Orsini e Gabriele Lavia, tinge i connotati al personaggio con significativa precisione al punto da rendere tangibile il percorso di un primattore (Kean), facendolo avviare dalle difficoltà dell’inizio carriera, tra digiuno ed insuccesso, fino a giungere alla morte del figlio Howard, che porta all’urlo disperato e lancinante di un padre che subisce una perdita incolmabile.
Kean diviene poi quello che è, pur partendo dall’impersonare Arlecchino. Tutti nei suoi grami inizi lo snobbano e il suo aulico interpretare, lo rende sine nobilitate e lo fa invidiare dai più, lasciandolo per anni lontano dai personaggi miliari del Bardo, quali Amleto, Shilock, Otello, Macbeth, Re Lear etc e senza un suo pubblico. Quando recita la poesia di Lord Byron si esalta e si ritrae in quel cenno l’attore di rango.
Certo il pubblico abituato alla sua caratteristica interpretazione lo riempie di applausi. Così l’incedere sulla scena di Gigi Proietti, che semina ironia a piene mani, raffigura l’uomo che, nel trascorrere del tempo, cresce e messo in competizione con gli altri attori si impone fino ad affermare il suo valore per come meritava.
Diviene così quell’attore che riesce, come sceneggiato dall’autore, ad avere scritto in fronte il segno di un prodigio divino: il talento incontrava l’occasione, nonostante gli ostacoli frapposti, per mettersi in luce.
La sua vita però procede e dopo l’ascesa, fino alla conquista del consenso nei teatri londinesi, giunge il declino che coincide con la hibrys di chi ormai riteneva, osannato e riconosciuto nel suo merito, di essere giunto al suo stadio definitivo, ove nessuno più aveva l’ardire di rivolgergli una critica. Kean rimane preda, soggiogato, dalla sua dannata ambizione e dalla caducità dei successi.
Così si definiva il suo percorso tra puttane e inquietudine, facendo scomparire quella stella del firmamento scenico.
Far convivere, in questa brillante maniera, in un solo attore le varie interpretazioni e le plurali rappresentazioni è stata iniziativa encomiabile.
Se mettiamo a confronto, però, questo Kean con quello impersonato da Proietti nel 2004 e prima ancora, 27 anni fa, a Taormina, che ancora gli spettatori ricordano, si scorgono differenze, oltre al vello ormai imbiancato.
Oggi la maturità elegante coglie più sfumature, ha tempi più lunghi. Oggi viene un po’ meno il vigore, ma rimane l’audacia del ritmo incalzante da dare alle battute tra ironia e sarcasmo; oggi, però e forse purtroppo, si ripropone il vezzo dell’intercalare ‘romanesco’, ma alla sua tifoseria piace.
Nei suoi 76 anni, ben portati, si trovano tutte le qualità istrioniche di chi riesce, con il proprio carisma, a catturare l’attenzione dello spettatore, conducendolo all’applauso finale da apoteosi.
(Rino nania – scritti audaci/79)
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