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23 maggio – Vent’anni dopo.

Ci sono, poi, date uguali che nello scorrere del tempo si trasformano: ieri giorno di tragedia e sconforto, oggi giorno di ricordo e speranza. Il 23 maggio, naturalmente, rientra in tale categoria di giornate. In realtà, talmente profondo è il significato di una commemorazione come quella della strage di Capaci che forse dovrebbero utilizzarsi troppe parole, al fine di descrivere l’insieme di fatti, emozioni, principi che meritano attenta riflessione.

Fra tutti i termini che si ricollegano alla giornata di oggi, scelgo forse quello più scontato, forse al tempo stesso più importante, forse quello più difficile: antimafia. Lo scelgo anche, perché i tragici accadimenti degli ultimi giorni, impongono una doverosa riflessione sul significato di tale parola. Ponendo a premessa l’importanza delle parole (“Palombella Rossa” docet), antimafia è un termine talmente denso, talmente carico di aspetti diversi ed interdipendenti, che necessita indubbiamente di un’attenta analisi.

Innanzitutto, il contrasto alla mafia, parte anche da questo, e cioè da un corretto utilizzo delle parole, o meglio, dalla riscoperta del significato di ciascun termine della lingua italiana che ha subito la manomissione proprio ad opera della criminalità organizzata di stampo mafioso (si pensi alla parola “rispetto”). La lotta alla mafia parte dalle parole perché, riappropriandocene, le utilizziamo. Utilizzare le parole vuol dire vincere l’omertà, abbattere il muro del silenzio, quel muro che la mafia stessa ha erto a proprio vantaggio.

Negli anni, il significato di antimafia che più facilmente è stato captato dall’opinione pubblica è stato quello di “repressione”. Si tratta, a dire il vero, di un profilo d’indiscutibile rilevanza, che viene portato avanti dalla magistratura e da quanti operano nel settore della giustizia. Esso tuttavia non è da solo sufficiente a soddisfare i presupposti imprescindibili per attuare il contrasto alla mafia in grado di giungere all’esaurimento del fenomeno stesso che, come le parole dello stesso Falcone ci hanno insegnato, è un fenomeno umano ed in quanto tale destinato ad una fine. All’antimafia della repressione è assolutamente indispensabile affiancare altre parole: “antimafia delle opportunità” ed “antimafia della cultura”.

Le stragi del ’92, nel caldo di un’estate quanto mai pesante, hanno reso necessario dar la precedenza ai mezzi repressivi. Ma da allora, in questi vent’anni di incertezze, paure, memoria e desiderio di cambiamento, quelle morti ci hanno onerato di portare avanti l’antimafia che non segue alla situazione emergenziale, ma che nasce dalla presa di coscienza dell’orrore che è stato e dalla consapevolezza di avere gli strumenti per contrastarlo: diritti e cultura. E noi stessi.

La cultura, del resto, ci permette di conoscere a fondo le parole ed il significato così immensamente grande di alcune, quello ambiguo di altre. Ad esempio, Borsellino amava contrapporne due: libertà e compromesso morale. Laddove non ci si libera dal secondo non può esistere la prima, e la debolezza umana deriva dalla prigionia, a partire da quella originata dai retaggi culturali oscuri di una società abituata a non credere nei cambiamenti.Le parole sono importanti, non lo è affatto, invece, l’antimafia “parolaia”.

Una degenerazione tipica del nostro tempo che tralascia sempre più spesso i principi che dell’antimafia costituiscono l’essenza, che si lascia prendere dalle manifestazione esteriori di un’emotività vuota, che rimane prigioniera di luoghi comuni, che si dimentica del grigio che denota certi settori della vita quotidiana e che forse non attribuisce la giusta importanza alla necessità di adempiere al proprio dovere al fine di poter, effettivamente, combattere lo spirito mafioso. In ricordo di Falcone e delle altre vittime della strage di Capaci oggi centinaia di persone si uniranno per marciare, per ritrovarsi e parlare di legalità. L’importanza di giornate come quella di oggi ci impone di dar sostanza ad ogni passo, di non farne neanche uno senza ricordare che antimafia vuol dire soprattutto adempiere al proprio dovere quotidianamente.

Dopo vent’anni, nei giorni scorsi, è sembrato ritornare lo smarrimento tetro dei giorni successivi alle stragi del ’92. Nell’incertezza e nell’attesa di conoscere, ricordare Falcone significa ricordarsi anche di quello che ci ha lasciato, gli strumenti d’indagine e l’esempio. Se i primi sono stati messi spesso in discussione (ed oggi si nega persino l’utilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa), il secondo resta tale, nel suo rigore e nell’immenso spirito di sacrificio.

Le bombe fanno paura, ma nono strappano i sogni, non bruciano le speranze.

Sara Marino Merlo

 

 

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