Attualita

AUTORITRATTI – “Il Profeta si è rotto”… Alfredo Iraci si racconta nel suo ultimo dipinto

Lo scorso sabato,  il 14 luglio, presso la sala “Rita Atria”, la non convenzionale presentazione –  con discussione e meditazione a margine su “le macchie” da parte del maestro Alfredo Iraci –   del suo “Autoritratto” .

Presentato il grande dipinto inedito che indaga nei recessi della mente dell’artista.

Un racconto del quadro, vietato nel sua complessità allo scatto fotografico, approfondito e molto interessante per quanto riguarda la genesi della creazione dell’opera che ha permesso di vivere passo dopo passo gli errori, i dubbi, i tormenti che hanno accompagnato l’artista nella realizzazione del suo capolavoro durata quasi due anni: quasi come immergerci nella mente di Iraci.

Gli indiani d’America, e come loro anche altre civiltà arcaiche, temevano che riprodurre il proprio volto, anche semplicemente riflettersi in uno specchio d’acqua, potesse rubare l’anima, e parlando di ritratto l’affermazione appare assai più credibile di quanto si possa a tutta prima ritenere, e non solo per gli indiani d’America.

Il volto, lo sguardo, l’espressione, le caratteristiche fisiognomiche sono infatti importanti indizi dell’interiorità del soggetto – nel volto e nel corpo -, che viene attraverso di essi rivelata e messa a nudo ed in un certo senso espropriata nella sua componente psicologica più profonda, nella sua anima, appunto.

Da questo spunto possiamo partire per raccontare l’incontro che sabato scorso Alfredo Iraci ha voluto, quasi una conviviale tra amici, che si tenesse, a modo suo, alla sala multimediale di Brolo per presentare il suo ultimo dipinto.

L’artista sant’agatese ha scelto non a caso la data del 14 giugno, nè per i fatti di Francia nè per la Rivolta di Reggio Calabria, ma perchè è una data che per lui significa tanto.

Un’autentica “frattura” che lui evidenzia, magistralmente anche nella sua opera.

Ma tornando al “Profeta si è rotto”.

Qui – al di là del titolo dell’opera che è già tutto un programma – l’anima che è di per sé indefinibile, ancorché immateriale, emerge e diventa un tutt’uno con i boschi, l’ambiente, il mare, la forza “dell’arcano” di quella vallata ben nota all’autore, e costituisce la differenza fondamentale tra la pura rappresentazione documentale di un soggetto ed il suo ritratto, affermando in un certo senso la sua presenza proprio attraverso il suo negativo.

Difficile stabilire quando un ritratto ha un’anima, è invece – di contro – relativamente semplice accorgersi di quando non ce l’ha.

Il dipinto presentato a Brolo, per la prima volta, c’è l’ha.

Iraci parla prima, introducendo la serata artistico-culturale, delle “macchie”, quelle che compaiano sulle mani degli uomini e che ne segnano l’età.

Che non sono degli inestetismi, ma danno il senso della maturità e del tempo… che passa e che produce conoscenza, quasi un talismano di incontrastabile potere seduttivo.

Iraci che ama i drappeggi e i chiaroscuri, quelli di Caravaggio, qui diventa a tratti solare, emerge il “suo” manierismo in alcuni dettagli: le mani, il volto, e troneggia l’uso del verde “colore che odia” che sfuma poi negli azzurri.

L’opera, grandi dimensioni 220×170, accanto alla capacità introspettiva, ha richiesto all’artista il coraggio di guardarsi dentro in quella che Alberto Boatto definisce una “protratta e impietosa inchiesta condotta fin negli strati riposti del proprio essere” (dal “Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol”, 2005).

Un dipinto quello visto sabato scorso che suscita emozioni che vanno oltre il processo cognitivo, che immerge negli stadi emozionali e che nel post presentazione ha permesso ai presenti di relazionarsi con il Maestro in un gioco, che lui ama, tra chi osserva e quelli che vengono osservati, tra l’io soggetto-spettatore e l’io oggetto-rappresentato.

Lui è fatto così.

Poi  la serata, introdotta da Massimo Scaffidi, amico di veccia data di Alfredo Iraci, ha trovato spazio per ricordare che una tra le prime mostre dello stesso pittore, fu presentata al Castello di Brolo, nell’estate di 33 anni fa, e poi replicata – sempre in abbinato con lo stesso Massimo Scaffidi – al “Magazzino” di Capo d’Orlando sotto l’egida di Renato Maria lo Presti, allora giovane consigliere d’opposizione.

Presente a questa presentazione, che godeva del patrocinio dell’amministrazione comunale anche l’assessore al turismo di Brolo, Maurizio Caruso.

Iraci intanto, che ha studio a Sant’Agata di Militello, sta lavorando – e l’ha anticipato proprio a Brolo – ad una grande antologica – programma per il prossimo anno a Palermo.

Il quadro, poi abilmente e sapientemente ricomposto e coperto, ora farà parte della collezione privata dello stesso pittore, difficilmente visionabile da altri a parte l’ambito ristretto della sua cerchia di amici.

Buona vita Maestro.

 

 

Redazione Scomunicando.it

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