Cultura

SCRITTORI SCOMUNICATI – Quando a Naxoslegge si celebrò Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra

Era il Settembre 2012. Oggi ripubblichiamo quell’articolo che ricorda il poeta e fine intellettuale francese a 80anni dalla sua morte. Nella rubrica del Festival “Scomunicati” si parlò anche di Giuseppe Lo Presti – terrorista e scrittore di teatro –

SCRITTORI SCOMUNICATI – a Naxoslegge…. Drieu La Rochelle e la generazione del dopoguerra

Un Festival allora all’esordio che già sapeva osare. Una rubrica curata da Massimo Scaffidi con al suo fianco un indimenticabile Carmelo Causale e i ragazzi dell’Associazione culturale Altaforte che ripercorse le tracce dell’autore siciliano Giuseppe Lo Presti – caso letterario dei primi anni Ottanta, scoperto da Aldo Busi e morto giovanissimo, coinvolto negli anni di piombo dalla parte della galassia dell’estrema destra, i Nar – e Pierre Drieu la Rochelle – un maledetto della letteratura francese, scrittore potentissimo, proprio quell’anno ammesso nella Pleiade, dopo 70 anni di “castigo.

L’articolo di allora

Tra gli altri, si parlerà anche di Drieu La Rochelle, illustrato nel pezzo che segue da Alfredo Cattabiani in un articolo del 2000, che altro non è che la prefazione a Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo, Fascismo, Europa. Scritti politici scelti e presentati da Jean Mabire, Volpe, Roma 1964, pp. 15-19.

Non aveva torto Drieu La Rochelle a scrivere, prima di morire, che le generazioni future si sarebbero chinate incuriosite sui suoi libri per cogliere un suono diverso da quello solito.

Oggi, infatti, i giovani si accostano a lui con interesse e partecipazione, poiché lo sentono, per molti aspetti, attuale. Sono passati vent’anni dal suo suicidio; il fascismo appare alla nostra generazione, che aveva otto anni nel 1945, come un’immagine nebbiosa, colta sui libri, nelle architetture delle città, nei racconti dei padri o dei fratelli più anziani. Appartiene già alla storia, così come Drieu, che, dopo un lungo periodo di oblio, è entrato nella letteratura francese del Novecento.

Eppure, leggendo i suoi scritti politici, ci accorgiamo che sono ancora vivi, legati alla nostra realtà, colmi di interrogativi, speranze e delusioni.

Il motivo è che Drieu non era solo un intellettuale fascista, come qualcuno ha voluto etichettarlo un po’ troppo semplicisticamente. Fu uno scrittore che credette di trovare una risposta alle sue domande e speranze nel fascismo o, meglio, in una certa immagine del fascismo che egli stesso si era costruito. Se non si tiene conto di ciò, si rischia di non comprendere la sua analisi critica e lucida dei regimi di Mussolini e Hitler e l’atteggiamento anticonformista che gli attirò le antipatie sia delle destre che delle sinistre.

Il suo fascismo, malgrado le profonde differenze storiche, affondava le radici in un humus ideologico simile a quello italiano; era, infatti, erede di quel filone politico di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento che, con Drumont, Barrès, Péguy e Sorel, aveva cercato di superare le antinomie “destra-sinistra” e “conservazione-rivoluzione” in una visione sintetica e originale.

Ma l’adesione di Drieu a questa dottrina nasceva da motivazioni ancora più profonde: “Sono diventato fascista – scrisse prima di morire – perché ho misurato i progressi della decadenza. Ho visto nel fascismo il solo mezzo per frenare e arrestare questa decadenza”.

Il nocciolo del suo pensiero è tutto qui. Basterebbe, d’altronde, leggere qualche suo romanzo per cogliere questo sentimento della decadenza vissuto e sentito in tutta la sua tragicità. Gilles e Drieu non sono due personaggi distinti, uno di fantasia e l’altro di carne, ma un unico uomo che, a tentoni, cadendo e rialzandosi, cerca di sfuggire a una civiltà sfatta e priva di vigore, inseguendo una via personale di salvezza, che alla fine crede di trovare in una morte tragica e cosciente.

Ma dove coglieva Drieu questa decadenza? Nella bruttezza della controciviltà contemporanea, nelle sue case, nelle fabbriche, negli abiti, nel grigiore e nell’inumanità delle metropoli, nella spersonalizzazione progressiva degli uomini, nella morte del vero amore e nel moltiplicarsi dei vizi più sordidi, quali l’inversione e l’onanismo. Infine, nell’impotenza spirituale, nell’incapacità di creare.

Dinanzi alle architetture e alle pitture medievali, Drieu percepiva invece il senso di una vita umana, sentiva l’equilibrio fra corpo e anima, vedeva nella forza severa delle chiese gotiche, nello splendore delle sculture e nei colori degli affreschi l’espressione di un mondo in comunione con la natura e l’universo.

Il dramma di Drieu era contenuto in questa semplice domanda: come frenare e arrestare la decadenza?

La risposta maturò lentamente, nel corso di quindici anni di ricerca, di fronte ai nazionalismi suicidi delle nazioni europee e alle contrapposizioni astratte fra socialisti e conservatori. Drieu capiva che quelle ideologie erano vere solo parzialmente, che non coglievano il dramma della nostra epoca. Era attirato, da un lato, dalle istanze di giustizia della sinistra e, dall’altro, dal richiamo all’ordine e alle tradizioni della destra.

Sentiva che tutti i vecchi valori erano caduti, che bisognava ricostruire sulle rovine.

Il moto di rinascita doveva nascere, secondo lui, da un’Europa unita, in cui le nazioni trovassero una concordia spirituale e politica capace di ridare forza al vecchio continente, dilaniato da guerre e rivoluzioni. L’unità significava forza e indipendenza di fronte ai nuovi colossi emergenti in America e in Asia. Era una necessità vitale, la condizione essenziale per respirare e ricominciare. Senza unità, l’Europa sarebbe stata sommersa dai barbari. Per questa ragione, Drieu giunse ad accettare, illudendosi, la collaborazione con i tedeschi invasori: era, a suo parere, l’ultima occasione per l’Europa.

Ma l’unità sarebbe stata una parola vana e senza senso se non fosse stata sostenuta da una tensione spirituale, da una lotta contro la decadenza, contro la follia del mito della produzione e del consumo, contro la speculazione senza freni. Era necessario, insomma, un ritorno all’ordine, a una dimensione umana della civiltà industriale, a un’armonia fra l’uomo e la macchina.

Drieu pensò che lo strumento adatto a realizzare tutto ciò fosse il socialismo, anzi il socialismo fascista. Ma – è bene sottolinearlo per evitare equivoci – il suo socialismo non aveva nulla a che fare con quello marxista. Lui stesso specificò in un brano famoso: “Il fascismo è un socialismo riformista… Sia a Roma che a Berlino si sta risvegliando il socialismo non marxista…”.

Drieu rimase fedele a questa concezione per tutta la vita, cercando di realizzarla nel suo sogno fascista. Fu affascinato per un certo tempo dal totalitarismo tedesco, ma ben presto si rese conto del tragico errore in cui era caduto.

A differenza di molti altri, volle pagare sino in fondo. “Ho perduto, esigo la morte”, sono le ultime parole vergate nervosamente su un pezzo di carta prima di suicidarsi.

(Il presente scritto costituisce la Prefazione a Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo, Fascismo, Europa. Scritti politici scelti e presentati da Jean Mabire, Volpe, Roma 1964, pp. 15-19.)*

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Redazione Scomunicando.it

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