Pietro Di Grusa, Giacomo Russo e Salvo Altadonna sono in sciopero della fame da oltre dieci giorni a Palermo, per rivendicare il loro diritto al lavoro e ad una vita dignitosa e per protestare contro i tagli inferti alla scuola pubblica dal ministro Gelmini, con la supervisione e il placet di Tremonti.
Pietro, Giacomo e Salvo sono solo tre dei 160.000 precari della scuola di tutta Italia che il ministro Gelmini ha deciso di mettere ai margini della società, convinta che il miglior modo per prepararsi al futuro sia quello di tagliare sulla scuola pubblica, sull’educazione e sulla preparazione delle nuove generazioni.
Quando si decide di mettere in gioco la propria vita per protestare, quando si arriva a considerare la possibilità di utilizzare il proprio corpo per avere voce, si tratta sempre di scelte drammatiche, esasperate, condizionate dall’immobilismo e dalla cecità delle istituzioni.
Il ministro Gelmini infatti preferisce guardare altrove, o non rispondere. Sembra preferisca proseguire sulla strada dell’occultamento del corpo moribondo della scuola pubblica, umiliato e martoriato dalla sua controriforma e dai tagli di Tremonti che nell’ultima finanziaria ha pensato bene di infierire e di bloccare gli stipendi e gli scatti di anzianità degli insegnanti e del personale scolastico. Più di 8 miliardi di euro di risorse sottratte alla scuola e al futuro dei nostri giovani, per destinarli alle multe per le quote latte da pagare all’Unione Europea e alla copertura dei debiti dello Stato.
E la situazione è ancora più drammatica nel sud Italia, dove la mannaia del duo Gelmini – Tremonti si è fatta maggiormente sentire, dal momento che il 50% dei tagli si concentra proprio nel Mezzogiorno d’Italia, cui sono anche stati sottratti i fondi Fas. Ancora una volta sembra che l’Italia abbia cittadini di categorie diverse, sulla base della latitudine in cui si vive.
Non si possono fare calcoli ragionieristici su un bene pubblico come l’istruzione, non si possono fare tagli indiscriminati senza considerare gli effetti nefasti e i danni che si producono in un settore cruciale per lo sviluppo, che al contrario, richiederebbe maggiori investimenti e maggiore attenzione, in un momento di crisi economica e sociale come quello che viviamo.
Non posso che sentirmi vicino a Pietro, Salvo e Giacomo e a tutti coloro che all’interno dei sindacati o singolarmente, si stanno battendo per salvare il futuro dei nostri giovani, del nostro paese e della nostra scuola, chiedendo al governo di ritirare la legge 133.