Il bombardamento di Dresda. “…la distruzione di Dresda ha assunto un alto valore simbolico per due motivi: da una parte per la straordinaria bellezza artistica della città, soprannominata la “Firenze dell’Elba”, centro meraviglioso dell’umanesimo barocco e, dall’altra, per la scarsissima valenza strategica dell’operazione. Si trattò cioè di bombardamenti indiscriminati volti quasi esclusivamente a sterminare la popolazione civile (composta peraltro da molti profughi) con lo scopo di creare terrore e arrendevolezza (nonostante la Germania fosse vicinissima alla sconfitta definitiva), senza che la città fosse però dotata di obiettivi militari e industriali di rilievo. Un massacro insensato, quindi, il quale scosse fortemente addirittura l’opinione pubblica delle potenze vincitrici.”
(Valerio Benedetti)

Tra il 13 e il 15 febbraio del 1945 la flotta aerea del comando interalleato scaricò più di 7 mila tonnellate di ordigni esplosivi ed incendiari sulla città di Dresda, realizzando un bombardamento a tappeto che rase al suolo il centro storico della capitale sassone e che provocò un’apocalittica tempesta di fuoco.Sul numero esatto dei morti si è molto discusso e si continua a discutere: le cifre oscillano oggi tra le 25 mila (come sembra emerso da una ricerca commissionata dalla stessa città di Dresda nel 2009) e le 40 mila vittime, come sostenuto dagli storici Jörg Friedrich e Ian Kershaw, il quale ultimo è oggi considerato tra i massimi esperti mondiali della Germania nazionalsocialista, nonché autore di una monumentale e celebre biografia di Adolf Hitler.

Si tratta ad ogni modo, com’è evidente, di numeri da apocalisse. Sebbene l’impatto distruttivo non differisca sensibilmente da quello di altri bombardamenti della seconda guerra mondiale (pensiamo ad esempio a Coventry e Amburgo, per tacere di Hiroshima e Nagasaki), tuttavia la distruzione di Dresda ha assunto un alto valore simbolico per due motivi: da una parte per la straordinaria bellezza artistica della città, soprannominata la “Firenze dell’Elba”, centro meraviglioso dell’umanesimo barocco e, dall’altra, per la scarsissima valenza strategica dell’operazione. Si trattò cioè di bombardamenti indiscriminati volti quasi esclusivamente a sterminare la popolazione civile (composta peraltro da molti profughi) con lo scopo di creare terrore e arrendevolezza (nonostante la Germania fosse vicinissima alla sconfitta definitiva), senza che la città fosse però dotata di obiettivi militari e industriali di rilievo. Un massacro insensato, quindi, il quale scosse fortemente addirittura l’opinione pubblica delle potenze vincitrici.
Eppure in Germania, un paese che intrattiene con il proprio passato un rapporto assai problematico, la ricezione dell’evento è tutt’oggi controversa. Si va, cioè, dal ricordo commosso dei sopravvissuti e degli ambienti patriottici all’apologia sfacciata e francamente idiota di “Bomber” Harris da parte delle Femen, la quale incontra spesso il consenso del nutrito gruppo antinazionale degli stessi tedeschi. In 70 anni di rieducazione antifascista, infatti, si è voluto chiaramente instillare nei giovani un vero e proprio Selbsthass, un odio di sé e della propria identità nazionale. Insomma, tutta la tradizione germanica, da Goethe a Fichte, da Novalis a Wagner, non poteva che condurre ad Auschwitz. Per questo motivo serpeggia sempre l’idea che la distruzione di Dresda, i tedeschi, se la siano in fondo meritata.
Non si spiegherebbe altrimenti la nascita di un discutibile filone storiografico che mira a ridimensionare la tragedia di Dresda e il suo valore simbolico. Thomas Widera, storico dell’Istituto Hannah Arendt presso l’università della capitale sassone, sostiene ad esempio che i bombardamenti su Amburgo, Colonia e Coventry siano stati ben più catastrofici di quello su Dresda. Riemerge così l’auto-apologia di Bomber Harris, il quale giustificò l’apocalisse di Dresda come risposta a quella subita da Coventry (1940). Su questo va fatto chiarezza: Coventry era sì una splendida città medievale, il cui centro storico fu distrutto in larga parte dai bombardieri tedeschi provocando migliaia di morti, ma si trattava pur sempre di un obiettivo strategico assai rilevante, dato che pullulava di industrie nevralgiche per la produzione di armamenti. Senza contare che sembra oramai acclarato che il bombardamento della cittadina britannica abbia rappresentato una risposta agli attacchi aerei su Monaco di Baviera.
Ma al di là del dibattito storiografico, è proprio la memoria in terra germanica di quella tempesta di fuoco che appare sensibilmente distorta. Si formano catene umane per sostenere gli ideali di pacifismo, si esibiscono rose bianche sul petto a significare la resistenza al nazionalsocialismo, si lanciano slogan come “Dresda colorata” e “Dresda per tutti” per ribadire il multiculturalismo e l’apertura della città. Che cosa tutto questo abbia a che fare con il ricordo del massacro deliberato e gratuito di decine di migliaia di tedeschi non è molto chiaro.
O forse lo è, se pensiamo che queste manifestazioni di finto cordoglio pare che siano esplicitamente dirette a contrastare Pegida, la cui presenza a Dresda è molto ben radicata. È appena di ieri infatti la notizia che lo stesso sindaco della città, Helma Orosz (Cdu), ha ammesso candidamente di aver sborsato più di 100 mila euro lordi per l’organizzazione di una manifestazione anti-Pegida svoltasi il 10 gennaio scorso, volta a sostenere gli ideali ormai esangui della tolleranza e del multiculturalismo. E così il doveroso ricordo di una tragedia nazionale, che ha lasciato ferite profonde in larga parte del popolo tedesco, finisce per essere piegato a strumentalizzazioni politiche e a deplorevoli questioni di bottega. Ma una cosa è certa: nonostante siano trascorsi 70 anni esatti da quei drammatici avvenimenti, il popolo tedesco non è ancora riuscito a far pace con sé stesso e con la sua storia.
Valerio Benedetti
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