Tabù per le telecamere dal 1982, l’ultimo segreto concerto in un bar della California nel 1977, inavvicinabile per i giornalisti dal 1978, recalcitrante a ogni apparizione pubblica per oltre un ventennio: Lucio Battisti disallineato non ha mai flirtato col mondo dei media, tanto meno con lo stile star system di molti suoi colleghi.

In tutto e per tutto (e fino alla fine) è stato un bastian contrario, voce ribelle fuori dal coro, riluttante all’avanspettacolo della spettacolarizzazione musicale.

Rilasciava interviste senza mai scadere nel pensiero ‘debole’ dominante.

Schivò la retorica dell’artificioso buonismo imperversante cercando l’originalità elevata, un gradino al di sopra della massa, rincorrendo un’espressione artistica d’avanguardia per emergere dagli strimpellatori improvvisati da fameliche lobby discografiche usa e getta.

ùSi sentiva diverso perché era diverso. E sapeva di esserlo.

Orgoglioso, sfoderava una singolare filosofia anticonformista che, nel tempo, contribuì ad alimentarne mito e mistero.

Che burbero, senza peli sulla lingua ripeteva: “La Tv? Un mostro che divora. Il successo? Un veleno!”

Erano tempi politicamente caldi.

Snobbando mode d’importazione americana e riflessioni impegnate dei vari Guccini, Lolli e De Gregori, – come ha scritto Maurizio Martucci sul Il fatto Quotidiano – in fuga dal complesso d’inferiorità della provincia reatina riuscì a smascherare l’era del nichilismo apolide cantando “in un mondo che, non ci vuole più, il mio canto libero, sei tu (….) cerco gente giusta che rifiuti d’esser preda, di facili entusiasmi e ideologie alla moda!”

Fu l’appiglio tanto atteso per la fioritura di cervellotiche leggende metropolitane, l’immancabile etichetta appiccicatagli da quanti non riuscirono ad imbavagliarlo. Fascista, Sfuggente, Agoràfobico!

Amante (come Pasolini) di Ezra Pound e della controcultura hippy, declinò un invito alla Festa de L’Unità: dalla ‘Canzone del Sole’ al ‘planando sopra un bosco di braccia tese’ si mise in giro l’idea che fosse di destra e finanziasse il Movimento sociale e persino Ordine nuovo.

 Ecco alcuni dei testi che sono stati interpretati come velate apologie del fascismo. 
I versi “incriminati” sarebbero “planando sopra boschi di braccia tese” de “La collina dei ciliegi”, “O mare nero o mare nero” da “La canzone del sole”, entrambi posti a ricordare le grandi adunate fasciste secondo i commentatori, oppure “la fiamma si alza ancora dentro me“, dal brano “Vendo casa”.

Il caso però forse più eclatante è l’interpretazione totalmente mussoliniana data a un brano come “Il mio canto libero”, in cui il “tu” a cui Battisti si rivolge sarebbe addirittura il Duce in persona (mentre come spiega Giammarco Fontana nel suo libro “Mogol Umanamente uomo” lo spunto era totalmente autobiografico, dedicato al nuovo amore del paroliere).

Basta cercare su Google “Il mio canto libero fascismo” per capire quanto sia radicata questa interpretazione del brano, ma basterebbe sostituire la figura del Duce con quella di un qualsiasi leader di sinistra e il gioco funzionerebbe ugualmente. 

A voler mettere i puntini sulle i, ci sarebbe da ricordare anche il ritrovamento dell’intera discografia di Battisti nel covo dove fu trattenuto Aldo Moro dalla Brigate Rosse, non proprio fascisti a partire dal nome.

Quindi da che parte stava Battisti?

Probabilmente “l’appropriazione ideologica” da parte dei gruppi di estrema destra deriva dalla necessità di individuare una voce del movimento, che a differenza della sinistra italiana di tutti i tempi non può vantare grandi cantautori dichiaratamente vicini alla corrente o almeno non noti come per esempio lo stesso Battisti, De André o Guccini.

Con questa mancanza potrebbe spiegarsi il desiderio di avvicinamento a uno dei più grandi cantautori italiani che non si era mai schierato apertamente a sinistra, e che di conseguenza è stato più facilmente ricollocabile a destra. 

Lo stesso trattamento è stato riservato ad altre opere non dichiaratamente politiche, per esempio “Il signore degli anelli” di Tolkien, amatissimo dai sostenitori della destra, tanto che tra il ’77 e l’81 il Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile dell’MSI, organizzò delle manifestazioni chiamate “Campi Hobbit”.

Era comunque un’altra generazione.

Ma non la pensa così Michele De Feudis su Barbadillo che parla di “nessuna appropriazione indebita. Lucio Battisti non è mai stato di sinistra. È sempre stato considerato un uomo libero, fuori dagli schemi dei «cantautori impegnati», amato senza secondi fini soprattutto dai non allineati e dai ragazzi di destra. Mai stato militante, il cantautore ha anche donato una canzone ai giovani del Msi del circolo «Il quadrato» di Ancona, alla fine degli anni sessanta, come ricostruito dallo studioso Marco Valle“.

Lui scrive di Battisti rammentando il caso dell’accostamento del cantante del «Mio canto libero» alla destra che è costato caro ad una studentessa di scuola media a Genova. «Lucio Battisti era fascista», ha detto in classe. La reazione? Un 4 dal docente e un nota di demerito sul registro con la giustificazione che “Accosta il fascismo ai cantautori degli anni 60/70», scrisse il professore, pensando di essere uno storico della musica. Sconcertata la reazione del padre della ragazza: «Un’adolescente pone una questione, dà un’opinione, e invece di creare dibattito le si dice di stare zitta?».

Poi aggiunge che “Negli anni settanta la rivista l’«Italiano» di Pino Romualdi elogiava Lucio così: «Non si è lasciato intruppare fra gli pseudo-artisti di sinistra che si appoggiavano alla macchina propagandistica del partito comunista (…). Chi, come lui – scriveva Daniele Gaudenzi – non va in cerca di una facile popolarità, ma sa di essere autenticamente anticonformista, possiede una personalità propria e non rinuncia ad avere delle idee…

Non esista a frequentare i suoi veri amici della destra e a manifestare concretamente la sua solidarietà anche quando ciò può apparire inopportuno».

Quest’ultimo riferimento sembra incontrare la vulgata che descrive la famiglia Battisti vicina a Soccorso Tricolore, sodalizio che in sinergia con «il Borghese» raccoglieva donazioni per l’assistenza legale ai giovani di destra vittime della violenza antifascista (i dettagli prima o poi emergeranno dagli archivi del tempo conservati al Ministero dell’Interno).

Due intellettuali della destra romana, negli anni novanta, confermavano ancora la vicinanza di Battisti all’area non conformista: Paolo Signorelli lo descrive come un giovane simpatizzante ordinovista; Adalberto Baldoni come «un punto riferimento», anche se mai tesserato, per la Giovane Italia.

Mogol, storico paroliere di Battisti, ogni volta che si discute di «Battisti politico» tende a stemperare i toni, salvo ammettere che «all’epoca, negli anni Sessanta e Settanta, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista».

A sinistra, di sicuro, è stato a lungo ostracizzato. La scrittrice Lidia Ravera ha ricordato che era ligia ai diktat della sinistra extraparlamentare, salvo quando trasgrediva ascoltando l’autore de «La canzone del sole».

Se destra e sinistra contano sempre meno, in tempi di politica liquida, questa dicotomia può apparire surreale se accostata al genio di Battisti, vero cantore dell’amore eterno e della tradizione in note, in cult come «Il mio conto libero» o de «La collina dei ciliegi». Poi c’è un aneddoto storico-famigliare ricostruito da Filippo Angora in «Nel cuore, nell’anima. Omaggio a Lucio Battisti»: «Il padre, ai tempi della guerra, era il capo della milizia di Poggio Bustone e (…) per Lucio fu un grande trauma assistere al pestaggio» del proprio genitore da parte dei partigiani.

Per lo scrittore Gianfranco de Turris, «una larga fascia del mondo di destra si riconosceva nella visione del mondo di Battisti, al di là delle sue vere e ignote idee politiche».

Fermiamoci, fermatevi qui. E alzate il volume: «La veste dei fantasmi del passato/ cadendo lascia il quadro immacolato / e s’alza un vento tiepido d’amore / di vero amore / e riscopro te».

Ma tornando a Battisti.

Bruno Lauzi svelerà nel libro Emozioni – Lucio Battisti vita, mito e note che era liberista in economia e politicamente schierato con i Radicali.

La Luce dell’est’ mandò in bestia i comunisti.

Parlò poi di natura, epica la sua “180 ore da ecologista a cavallo per l’Italia in sella al portoghese Pinto da Milano a Roma”, voltò le spalle al villaggio globale per un ‘passaggio al bosco’ di junghiana memoria, un isolamento eloquente senza eclissi di voce sostenuto in solitaria, forte solo della sua amata moglie Velezia. Scelse la strada dell’indifferenza, approdando nel prezioso limbo della riscoperta dell’Io, felicemente conquistata.

Comunicherà al suo pubblico solo attraverso le canzoni.

Mollò Mogol scegliendo Panella, invertendo alchimie e ritmi di melodie strillate da chiunque accesi di notte i falò d’estate.

Niente più ‘Acqua azzurra’, ‘Dieci ragazze’ e ‘Non è Francesca’, ma sperimentali rotture (Don Giovanni) in salsa dada (Hegel) per avanguardie post-moderne tradotte in suoni incomprensibili al grande pubblico.

Poi la malattia, senza rispetto dei media, compresa la Tv di Stato, e ancora Lucio salutare levando al cielo il dito medio chi lo rincorreva con la telecamera in spalla davanti un supermercato.

L’ultimo sussulto di un progetto ribelle studiato in ogni minimo particolare. Fuori dagli schemi infranti e alla riconquista dell’Io.

Il  9 Settembre 1998, morì.

Rispetto al grande Lucio Battisti, umanamente uomo!