MARITTA NOTO – Una storia di cultura, di intraprendenza e brillante curiosità intellettuale
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MARITTA NOTO – Una storia di cultura, di intraprendenza e brillante curiosità intellettuale

Una storia di amore per la “sua” Patti, che oggi le dedicata la “Biblioteca delle Donne”

Un gesto importante da parte di un’amministrazione comunale attenta. Oggi l’intitolazione, a Patti Marina, alle ore 18,00.

Nel testo di Massimo Scaffidi Militone il tratteggio della “Mellina”.

Maritta Noto: una storia di libertà di pensiero, di cultura, di intraprendenza e brillante curiosità intellettuale, una storia di amore per la “sua” Patti.

Difficile non ricordarla dentro la libreria “Adelasia”, la libreria-cenacolo d’arte che volle fortemente realizzare, insieme col marito Ennio Mellina, per la figlia Bruna, ma che riteneva una sua creatura, viva, palpitante, ricca di storie e uomini, di scrittori e artisti, un faro culturale sui Nebrodi degli anni settanta.

Maritta Noto è stata una Donna, anzi, prima ancora, una ragazza di Patti, ma possiamo forse dire un vero esempio nella Sicilia di quegli anni, in quel profondo sud nel quale emancipò il suo pensiero borghese, a tratti conservatore, in maniera duttile, intelligente, con vivacità, fino a rompere con schemi e pregiudizi, rimanendo sempre, apparentemente immobile e coerentemente di destra come lo era la sua cultura politica, quella che la caratterizzò sempre.

Siamo a Patti ed è il 1927. In una casa a ridosso della cattedrale, nasce Maritta Noto, seconda di tre sorelle e con un cognome che al tempo, aveva un suo preciso profilo.

Infatti, Arturo Noto, il fratello del padre Alfio, era proprietario del Convitto Giovanni Pascoli, unico collegio a quei tempi presente sul territorio. Qui alloggiavano gli studenti che avevano fatto la “non scelta” di entrare in seminario unicamente per potere studiare al Liceo Classico di Patti, e che provenivano da paesi distanti, in anni in cui non era ancora possibile il pendolarismo, per mancanza di mezzi di trasporto.

Da quel collegio passava la giovane borghesia dei Nebrodi.

Giovani che provenivano da Tortorici, da Randazzo, Mistretta e dai numerosi paesi della costa tirrenica fino a Sant’Agata di Militello. Erano figli di commercianti, latifondisti, di gente che non aveva esitato a togliersi il pane di bocca pur di assicurare il tanto agognato “pezzo di carta” ai propri figli, al pari di chi i soldi invece li aveva guadagnati con la borsanera.

Particolare importanza ricoprì quel convitto perché fu proprio in quell’ambiente che si formò quella vivace intellighenzia che negli anni a seguire avrebbe formato i “quadri” dell’economia, dell’istruzione, della politica degli anni cinquanta e sessanta.

Maritta era figlia di Alfio Noto, un professore di calligrafia, oggi diremmo di disegno, che pagò il pegno e lo scotto di aver simpatizzato, come tanti, per il Duce, semplicemente andando, e mandando le figlie, al sabato fascista.

Dopo la guerra, venne mandato al confino, e dovette lasciare a Patti la famiglia. Qui rimasero le figlie con la madre/moglie, Maria La Vena, maestra elementare, che insegnò nella scuola di Tindari e di Patti.

Dal padre, Maritta, oltre le regole morali, imparò ad amare il disegno e la grafica, lasciando che i colori e le loro mille sfumature le impregnassero l’anima e lo spirito.

Essendo il padre un appassionato lettore e un amante della musica e della lirica, Maritta, crebbe in un ambiente che coltivava l’arte e quindi la Bellezza in tutti i suoi aspetti.

Maritta ama leggere, studiare, e dopo avere conseguito la maturità al Liceo Classico di Patti − quello dei Sarri e dei Prestipino − si laurea in lettere classiche all’università di Messina ed inizia da subito ad insegnare, dapprima alle scuole medie e poi alle superiori, imprimendo quel segno tipico di chi insegna con amore e passione, in generazioni di alunni che, nonostante la sua severità alla cattedra, la amavano e la rispettavano tanto riconoscendole quel ruolo di “vero docente”.

E questo per 30 anni. Anni difficili. Correva il ‘68, quando si iniziò a respirare aria di contestazione, di affermazione del “nouvelle pensiero”, di confronto e messa in discussione dei valori. E lei era lì, serena, a dire sempre come la pensava, intellettualmente corretta.

Determinante l’incontro con Ennio Mellina, l’avvocato che sposò nel ’51. Affermato uomo di legge, ma anche cultore di storia locale, e che per Patti si sarebbe immolato, anche lui, sempre con impegno e passione smisurati.

Un amore intenso e solido, il loro, alimentato dai mille interessi condivisi… sino alla fine.

A Patti, ai tempi della professoressa Maritta, non c’erano più né i latifondisti, né i grandi proprietari terrieri.

Nasceva una giovane borghesia imprenditoriale.Tanti professionisti, in una società che nei modi e nei costumi non riusciva comunque a rompere gli schemi del patriarcato. Anche per una forte impronta clericale, nonostante le battaglie socialiste che segnavano i Nebrodi, le donne rimanevano comunque emarginate dai ruoli che contavano, considerate comprimarie nel migliore dei casi, ma difficilmente protagoniste.

I lustrini dell’Italia degli spettacoli e del varietà arrivavano soltanto con la televisione e con i fotoromanzi, da Bolero a Grand Hotel.

Le donne che facevano politica e cultura si vedevano – tranne rarissimi casi – solo ospiti da Jader Jacobelli e nell’Approdo, il settimanale d’approfondimento al femminile della Tv in bianco e nero: echi di una realtà lontana situata oltre lo Stretto.

Realtà che stava stretta a Maritta, spirito passionale, amante della libertà di pensiero e d’azione, idealista e poco avvezza alle imposizioni; ed è qui che si colloca la splendida magia che lei genera.

Donna borghese, di destra − la si può definire una conservatrice illuminata − schietta, senza mezzi termini, dalla sensibilità e dall’ umanità inimmaginabili, dalle considerazioni sagaci e dalle facili risposte che diventavano stilettate sempre pronte, intelligenti e argute, lottò perché questo ingiustificato ruolo subalterno della donna fosse solo un’ombra del passato.

Nei suoi occhi si leggevano l’emozione e la passione delle sue idee concrete ed incisive, idee che riusciva a trasmettere a tutti sia che fossero suoi alunni, o la platea di elettori o semplicemente amici.

Diceva sempre quello che pensava, sempre coerente con il suo pensiero lucido, consapevole e libero, senza sconti per nessuno.

Maritta Noto aveva quindi ideali fortemente consolidati, puntava all’innovazione e non alla rivoluzione anche se poi è stata in grado di avviare una rivoluzione “di sinistra” in un mondo di destra che roteava intorno ad Almirante.

Una rivoluzione tesa a dare spazio alla Donna fuori dalla famiglia, nel lavoro, nell’istruzione, nella società, partendo, in una sorta di giri concentrici, dai “suoi” piccoli ma grandi spazi.

Lo fa in prima persona, e mai per sterile teoria, ma sempre mettendo in pratica il suo pensiero. Traducendo in azione il suo slancio verso la piena espressione delle tante peculiarità di un mondo femminile evoluto.

Diventa protagonista del suo tempo, lasciando agli altri, grandi eredità morali, etiche, culturali.

È artefice, insieme con il marito, con il cugino Alfio Noto, con Mimmo Scaffidi, Francesco Alioto e Michele Stilo, della riapertura al pubblico del teatro greco di Tindari. E’ il 25 agosto 1956 quando si inaugura con l’Aiace di Sofocle (Andrea Bosic) la prima rassegna teatrale al teatro greco.

Un treno in corsa che non conosce ostacoli: così dà vita all’Associazione Amici della Musica di Patti con Carmelo Buttà, Totò Davì, Filippo Irato, alla fine degli anni 60/70: l’associazione promuoveva attività didattica musicale e concerti di musica classica.

Irrompe nella politica nello stesso periodo. È tra le prime donne del centro sud, che tra gli anni 60/70 viene eletta nel comitato centrale del Movimento Sociale Italiano. Viaggia periodicamente verso Roma, s’impegna sulle normative in favore della famiglia, delle pensioni, delle donne che lavorano, dei minori, della cultura, dell’edilizia scolastica. Oggi cosa normalissima, allora, alle nostre latitudini, attività eccezionale per una donna. Intrattiene rapporti trasversali con la politica “rosa” nazionale, all’interno della quale è apprezzata, invitata a dibatti, conosciuta e stimata.

In questa sua difesa al femminile − lei aborriva il termine femminista – diventa, all’interno del Rotary Club, una delle protagoniste che si intestano la battaglia per l’apertura alle donne in seno agli organi societari del Club.

Lei stessa, dopo essersi iscritta, diventa presidente − prima donna per il distretto di Sicilia e Malta− di quel “Rotary Club, Patti terra del Tindari” che aveva fondato assieme al marito.

Ma tra arte, politica, scuola e cultura non si può non citare, in questa poliedricità di interessi, l’aspetto umano e religioso. Il primo caratterizzato dalla solidarietà e dal rispetto per il prossimo, dalla delicatezza e dalla generosità che erano le sue cifre, l’altro dalla fede incondizionata e dalla dedizione verso quel Frate di Pietrelcina, che aveva incontrato e conosciuto personalmente. Fa parte dei gruppi di preghiera di Padre Pio ed è promotrice della realizzazione della statua eretta a Patti il 20 gennaio 1991.

Dal 1974 al 1991 si è occupata della libreria Adelasia e dell’unita galleria “Lo Stacco” (nome tratto da un quadro di Felice Canonico, primo Autore esposto nella Galleria). Una libreria atipica, che non si occupò mai della vendita dei libri di adozione nelle scuole, puntando su altro. Un cenacolo culturale, dove si poteva trovare dalle edizioni Mediterranee alle edizioni Feltrinelli ed Einaudi, passando per tutti i titoli, dai classici alle novità di tutte le case editrici, anche quelle più di nicchia – esoteria, religioni, nouvelle droite, testi di Guènon, Evola e La Rochelle, con un imponente settore riguardante i libri sulla Sicilia, e i più ricercati, come le edizioni di Franco Maria Ricci.

‘L’Adelasia’, come era nota, costituì un importante punto di passaggio per tanti, di lancio e di approdo con i suoi incontri letterari come quello con Melo Freni che vi presentò, fra i primi, “Le calde Stagioni” nel 1975 e poi Mario Pomilio, Franz Maria D’Asaro, Giorgio Saviane con “Eutanasia di un amore” nel 1976; una sfilza di autori pattesi: Riccardo Ferlazzo Ciano, Filippo Irato, Nino Martinez, Nino Falcone ed ancora Bartolo Cattafi, i grandi Leonardo Sciascia − “Dalla parte degli infedeli” nel 1979, Vincenzo Cerami… Poi gli omaggi al poeta Nino Ferraù, esponente della corrente dell’Ascendentismo, e gli incontri con Amalia Ioli Gigante, Michele Prisco, Diego Joppolo, Barbariccia e Draghignazzo, Nicola Ferrara che a Patti venne con Vanni Ronsisvalle e Michele Spadaro, Nino Ioli, Giovanni Giuffrè, Elio Giunta, Enzo Lauretta, Geri Villaroe, Giovanni Davoli e Mariapina Natale, tanto per citare alcuni nomi.

Ricco anche l’elenco degli autori di spicco, che intrisero d’arte di alto livello la Galleria ‘Lo Stacco’: da Canonico a Migneco, da Freiles a Depero, da Tosi a Levi e Cassinari, da Fontana a Guttuso; Giambecchina, Attardi, Sassu e Paulucci, Vespignani e poi Mussolini, Zancanaro, passando per la Bertelli, Zoda, Guccione, Denaro, Spadaro, Napoli e tanti altri…

Di fatto, parlare della professoressa Noto fa altresì rivivere le sue dotte lezioni d’italiano, il suo parlare forbito, la facilità nel recitare versi del sommo poeta, della Divina Commedia, di Manzoni, il suo preferito, de I promessi sposi che conosceva benissimo e amava tanto, e la fa ricordare con la sua immancabile “settimana enigmistica” compagna degli assolati pomeriggi a Villa Maria a Maisale, (dove, appassionata di botanica, amava coltivare tante varietà di rose) o nelle pause che si concedeva a fine serata, magari dopo aver visto, contestandolo di frequente, Maurizio Costanzo in Tv.

Amava la televisione, ne criticava alcune libertà, ma, attenta al mondo che le passava davanti, vi si immergeva per conoscerlo meglio.

Parlare di lei vuol dire rivivere la Sicilia degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, una Sicilia, ed una Patti, marinara e contadina, legata a usanze e segreti che si tramandano di generazione in generazione e retta su valori antichi: l’amicizia, la lealtà, l’ospitalità, la solidarietà tra classi sociali che si fa solidità del corpo sociale. Ricordarla permette anche, infine, di riportare, felicemente alla memoria le tante sfumature culinarie, che lei sapientemente interpretava, di una terra tanto amata, quella buona cucina che apprezzava tanto, gustandola ed elaborandola con fantasia, con un suo secco “a mia l’ha diri?” che tagliava corto, in un tutt’uno con la chiusura di scatto dell’immancabile quanto inseparabile ventaglio, e che sintetizzava, con autoironia l’essere leader, maestra nel campo…

Maritta Noto ha scritto, spesso con il marito Ennio, quel romanzo corale che fu la vita pattese di quegli anni. Protagonista indiscussa, anche nel costruire l’evento per la celebrazione dei cinquant’anni del Liceo Classico che visse con un coinvolgimento “plurale”. Ripristinò, durante la sua presidenza del Rotary, antiche tradizioni pattesi, tra cui le caratteristiche ‘bandierine’ ai balconi, in occasione dei festeggiamenti in onore della Patrona di Patti, Santa Febronia.

La narrazione epica di quel che fu la professoressa Noto, la Mellina, come da tutti era intesa − alla quale, subito dopo la morte venne intitolata la biblioteca dell’Istituto Tecnico “F. Borghese” − si sostanzia nella rievocazione di momenti di vita, ora lieti ora tristi, sempre percorsi con la sua inconfondibile classe e signorilità, con l’innata gentilezza, col suo senso spiccato dell’umorismo e dell’ironia, attraverso poche, precise istantanee: così, ad esempio, i pranzi di Natale in famiglia, i tanti convivi tra amici, le raccolte di beneficenza (in prima persona impegnata da sempre nella raccolta di fondi per il sostegno alla ricerca dell’AIRC), le gite fuori porta, l’amore per i viaggi, per le Dolomiti, i Castelli italiani, la passione per il teatro, per l’opera lirica. Possiamo proprio dire: le buone pratiche.

Fatti, eventi, pezzi di cronaca adesso filtrati attraverso la memoria personale e collettiva, che funzionano come bussola interna al racconto, permettendo l’orientamento nel tempo della narrazione, dove il tessuto romanzesco trova il proprio asse portante nella storia intensa della sua vita, dall’adolescenza all’età adulta, momento che si aggancia alla rivoluzione conservatrice che attuò consapevolmente alla graduale affermazione di nuovi modelli socio-antropologici e culturali che le scorrevano sotto gli occhi e che la videro sempre protagonista attenta e critica.

26 Ottobre 2019

Autore:

redazione


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