Spesso il successo nasconde una storia travagliata
La fame come prima motivazione
Nella biografia di molti calciatori di successo si nasconde molto spesso una storia travagliata, caratterizzata quasi sempre dalla fame, a volte quella patita nel senso letterale del termine, ed altre invece, quella di dimostrare o di emergere da un contesto di inferiorità o marginalità sociale ed economica. La maggior parte delle storie di riscatto riguarda calciatori provenienti da nazioni sudamericane (Argentina e Brasile ) ed africane, ma non mancano anche alcuni casi italiani. Tra l’altro, il calcio nasce come uno sport popolare, il più economico da praticare e dove fino a pochi decenni fa bastava una lingua di terra e qualcosa che rotolasse, per rendere felice un intero gruppo di bambini.
In Italia, a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, fece parlare molto di sé il catanese Anastasi, arrivato in una Torino che in quegli anni non accettava facilmente il corposo numero di immigrati provenienti dal Sud, mentre nei primi anni duemila, sono balzati agli onori della cronaca il barese Antonio Cassano e il ternano Riccardo Zampagna.
Nell’attuale Serie A invece, fanno scuola i casi di Victor Osimhen, della cui forte spinta dal basso ne ha parlato in chiave psicologica il blog di Terrybet.news, Di Maria, campione del mondo con l’Argentina cresciuto nella periferia di Rosario e Mike Maignan, cresciuto in un quartiere povero di Parigi senza aver mai conosciuto il proprio padre.
«Pietro Anastasi finì per essere il simbolo vivente di un’intera classe sociale: quella di chi lasciava a malincuore il Meridione per andare a guadagnarsi da vivere nelle fabbriche del Nord.»
Alessandro Baricco
Le storie italiane di Pietro Anastasi, Antonio Cassano e Riccardo Zampagna
Pietro Anastasi è stato uno dei primi giocatori meridionali ad avere successo nel grande calcio, nonché un motivo di speranza per tanti ragazzi del sud che inseguivano i loro sogni partendo per il Nord. Nato da una famiglia di operai e cresciuto nella periferia di Catania, giocò i suoi primi anni nella Massimiana, prima di passare al Varese grazie ad un colpo di fortuna. Il manager Casati infatti, rimase un giorno di troppo in Sicilia per far spazio sul suo aereo ad una donna incinta e proprio in quel giorno, su consiglio di un barista locale, decise di visionare quel ragazzo prodigio di cui tutti parlavano. Con la maglia del Varese vivrà due stagioni fantastiche, segnando anche una tripletta contro la Juventus, sua futura squadra con cui arriverà a vincere ben 5 scudetti. Nel ‘68 invece, con la maglia della nazionale italiana, segna nella finale trionfale degli europei contro la Jugoslavia.
«Ogni tanto, durante le partite, qualcuno mi insultava a colpi di terrone. Lo facevano più che altro per farmi innervosire. Io lo sapevo e tranquillamente gli rispondevo dicendogli: “Sarò pure terrone, ma guadagno più di te che sei un polentone”.»
Pietro Anastasi
Per alcuni tratti la vita di Anastasi ricorda la storia più recente di Riccardo Zampagna, per tutti il bomber operaio, nato e cresciuto a Terni, terra di acciaierie e lavoro duro. Zampagna ha iniziato la carriera nelle categorie minori, alternando il lavoro agli allenamenti, fin quando non ha dovuto fare una scelta e scommettere tutto sul suo futuro di calciatore.
«Un giorno papà mi disse: “Riccardo non seguire le mie orme. Alle acciaierie nessuno ti darà mai una pacca sulla spalla per un tubo fatto bene…” Quando ho iniziato a giocare a calcio, lavoravo 12 ore al giorno come tappezziere e praticamente giocavo solo la domenica. A 20 anni guadagnavo 800 mila lire al mese come lavorante nella tappezzeria di Giampiero Riciutelli e altrettanti me ne dava il presidente dell’Amerina.»
Riccardo Zampagna
Un po ‘ diversa invece la storia di Antonio Cassano che grazie al calcio è riuscito a non finire preda della criminalità barese e vivere un riscatto socio-economico per nulla indifferente. Anche per il Pibe di Bari Vecchia, come per altri giocatori di successo, è stato fondamentale il legame con sua mamma e il forte desiderio di regalarle una vita migliore.
« Ero povero, ma tengo a precisare che nella mia vita non ho mai lavorato anche perché non so fare nulla. A oggi mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9 da miliardario, me ne mancano ancora 8, prima di pareggiare.»
Antonio Cassano
Le storie di Osimhen, Di Maria e Maignan
Victor Osimhen
Non ci sono parole migliori per descrivere l’infanzia di Osimhen di quelle da lui stesso riportate:
“Durante l’infanzia, vivevo per sopravvivere. Ho venduto acqua per le strade, facevo commissioni per i vicini di casa e nel week end, raccoglievo scarpe alla discarica, era pesante, anche se per noi era un divertimento. Se sono questo, lo devo anche a come sono cresciuto”.
Al di là degli aspetti tecnici e tattici, la vera forza di Osimhen sta nella sua fame di emergere, tipica di chi viene dal basso. Il nigeriano infatti, sembra proprio uno di quegli attaccanti che ha imparato a segnare con lo scopo primario di farsi notare e avere la propria opportunità di riscatto sociale. Tuttavia, se Osimhen vorrà diventare un campione e un leader completo, dovrà imparare a sottrarsi dalla condizione di chi deve sempre dimostrare il proprio valore e iniziare a vestire i panni del predestinato che si erge al di sopra del collettivo con lo scopo di trainarlo verso la meta.
Non più eroe di se stesso, ma eroe per gli altri.
Angel Di Maria
La romantica storia di Angel di Maria è iniziata quando ha lasciato El Torito per passare al Rosario in cambio di 26 palloni. Il suo successo è partito da molto lontano e dai sacrifici di una mamma che lo accompagnava agli allenamenti con una bicicletta, percorrendo ogni giorno 9km con la sua Graciela. Il papà invece, vendeva candeggina e prodotti per la pulizia nel proprio soggiorno, prima di passare alla vendita del carbone.
“Eravamo amici di Aguero, soprattutto io e sua moglie Gianina Maradona, e volavamo spesso a Manchester a trovarli. Non mi è mai piaciuto, il cibo è pessimo, la gente strana, le donne sono tutte perfette, truccate, precise. Eppure dopo un anno ci ritrovammo allo United”.
Mike Maignan
Magic Mike è nato in Guyana francese da madre haitiana e padre francese, ma è cresciuto in una delle periferie più povere di Parigi senza aver mai conosciuto suo padre. Ha un legame molto forte con la madre e le sorelle, a cui ha sempre sognato di regalare un riscatto sociale. Dei suoi fratelli invece, probabilmente fratellastri, si sa poco o nulla. La periferia in cui Maignan è cresciuto è Villiers-le-bel, balzata agli onori della cronaca nel 2007 in quanto teatro di duri scontri tra la polizia e alcune bande di teppisti, dopo che due ragazzi erano morti in seguito ad uno schianto contro due auto della polizia. Anche la carriera calcistica lo vede inanellare una serie di rivincite sportive. Dopo essere cresciuto nel Psg, viene ceduto al Lille dove, sotto la guida del tecnico Gaultier, riesce nell’impresa di soffiare lo scudetto proprio ai suoi ex compagni con una stagione da assoluto protagonista. Passa al Milan con la difficile missione di non far rimpiangere Donnarumma e invece, vince subito lo scudetto. Nel 2023, il suo ex Psg viene eliminato dal Bayern agli ottavi di Champions, mentre il suo Milan raggiunge le semifinali (nel momento in cui sto scrivendo siamo alla vigilia dell’andata Milan-Inter). A 27 anni compiuti ha ancora tutto un futuro da scrivere sui grandi palcoscenici internazionali ed oltre alle grandi doti tecniche, vanta una leadership da generale che difficilmente gli farà abbandonare il campo.
“Vincere quattro Champions non ha valore, il vero trofeo è far felice la mia famiglia e rendere fiera mia mamma”
“In allenamento Ibrahimovic mi prendeva a pallonate. Quando mi faceva gol mi diceva ‘Portiere di m***’, provocandomi, ma quando paravo i suoi tiri gli rispondevo alla stessa maniera, ‘Attaccante di m***’. Questo lui lo apprezzava perché vedeva il mio carattere forte”