COMUNITA’ DI DESTINO – Riflessioni ad alta voce
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COMUNITA’ DI DESTINO – Riflessioni ad alta voce

Gennaio, con il suo freddo e i giorni che sembrano immobili, si conferma un mese del tutto particolare per questa Comunità Ideale. È un periodo in cui il passato torna a intrecciarsi con il presente, richiamato dalle ricorrenze, dai lutti degli anni ’70, dalle celebrazioni e dagli eventi che animano queste giornate. Le bandiere al vento, i tamburi rullanti, i saluti solenni: sono tutti gesti che, anno dopo anno, mantengono viva la memoria dei caduti.

Il tempo sembra riavvolgersi, come i nastri delle vecchie audiocassette, e nella ritualità di ogni celebrazione, i vivi e i morti si incontrano idealmente sulla porta di Giano.

Qui, come in un ciclo eterno, ogni conclusione diventa un nuovo inizio.

È questo il fulcro della riflessione di Francesco Mancinelli, cantautore militante, che ha recentemente pubblicato Generazione ’78. Viaggio storico, critico, introspettivo attraverso una comunità di destino (Settimo Sigillo, pp. 432, euro 45,00).

Sulla sua pagina social, Mancinelli scrive:

“È inutile spiegare questo nesso di ‘ritualità indissolubile’ agli altri… Non hanno gli strumenti per comprenderlo, semplicemente perché ‘non appartengono a niente’ o meglio… appartengono al Nulla.”

Per Mancinelli, il concetto di “indissolubilità rituale” è il vero patrimonio della Comunità. Al di là di divisioni, vedute differenti e contrasti, questa sostanza unica e incorruttibile rappresenta l’essenza stessa di una “Comunità di Destino”. È un legame profondo e radicato, qualcosa di oggettivo e non astratto, che distingue chi ne fa parte rispetto al mondo e al tempo in cui vive.

Mancinelli definisce questa appartenenza come una “Seconda religiosità”, un “Radicamento antropologico” e un’”Adesione al Sacro”.

In un messaggio carico di passione, aggiunge: “Usate i termini che meglio credete, ma tutto questo riempie la vita, le dà una direzione morale, un senso etico, energia, forza e rettitudine. Amate questo retaggio che è unico, un dono prezioso ed esclusivo, senza polemica, senza rancori, senza infiniti odi o perverse isterie. E allora, difficilmente nella vita vi perderete… In marcia, con la forza e il sorriso di sempre.”

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Questa riflessione trova eco nei commenti di altri protagonisti di quel periodo, tra cui Gabriele Adinolfi, punto di riferimento ancora per molti, che offre il suo contributo:

“Potremmo anche chiamarla Norma-lità.

In quanto il sangue, le avversità e una, tutto sommato, sbarazzina tenacia ci hanno preservati dall’ipnosi che rende i più sordi e ciechi. Un notorio compagno, che pure ce l’invidiava, la definì erroneamente tanatofilia. No: è immersione disindividualizzata nell’immortalità. In questo senso possiamo definirlo culto amorevole della morte. Chi, a causa della sfortuna di non aver dovuto fronteggiare una serie di (dis)grazie comunitarie, vive ogni giorno come uno zombie, invece, rifugge la morte e la nasconde sotto il tappeto, cercando di esorcizzarla. Basti pensare alla fretta con cui si seppelliscono i defunti, per timore che ci ricordino la vita.”

Queste parole offrono un punto di riflessione e, al tempo stesso, una possibilità di ripartenza.

Una comunità che riconosce il valore della sua memoria, che vive i propri riti come ancore identitarie, non è una comunità che si perde. È una comunità che guarda avanti, con il passato come bussola e il futuro come orizzonte.

Un bel punto di riflessione e di ri-partenza.

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a proposito di quei”saluti”

“La Verità … è che il cuore resta fermo” … (G. Marconi)
…. Cosa disturba i parabolani dell’antifascismo?
Quel rito non ha nulla a che vedere con l’apologia e con la riproposizione del Fascismo storico, ormai bello che morto e seppellito dal 1943.
Non ha nulla a che vedere con le tentazioni “revanchiste” di un certo neofascismo degli anni ’70 e non è neanche la sublimazione inconscia e nostalgica degli eventi tragici di quei giorni lontani. Quello che disturba e tormenta i tristi sonni dei paladini della democrazia è il silenzio composto, le file compatte, la scansione all’unisono di un grido di migliaia di voci che si scatena e prorompe nel cielo. Lo squarcia. Ciò che profondamente turba è proprio “la potenza evocativa” del Rito che, dopo quasi cinquanta anni, viene ancora meticolosamente celebrato.
Là si percepisce il rivelarsi di qualcosa che va al di là della storia, della ragione e della materialità che la sostiene. L’arcano mistero di una ininterrotta trasmissione rituale ha a che fare con una “antropologia del profondo” e con il tema dell’irruzione del Sacro dentro le maglie di una società morta, di una realtà completamente desacralizzata; la forza mistica dell’irrazionale che ritorna, “estranea” allo spazio-tempo in cui si colloca; con questa dimensione, con questo recondito mistero, i signori apostoli dell’antifascismo fanno da sempre amaramente i conti. Il loro materialismo “percepisce”, ma non accetta che forze esiliate dal mondo possano varcare impunemente la soglia, strappando le trame del conosciuto; non gradiscono il ritorno di queste forze dall’esilio imposto loro dalla razionalità, poiché sconvolge il grigio e banale ordine di una quotidianità secolarizzata.
Il loro nulla in quel momento trema. La loro sicurezza vacilla. La loro mente è assalita da una recondita ed atavica paura …
(Generazione ’78 pag. 93-94)
da leggere

 

10 Gennaio 2025

Autore:

redazione


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