Nato nel 1956 a Mirabella Imbaccari, ha attraversato la seconda metà del Novecento e gli inizi del nuovo millennio come una voce fuori spartito, dissonante e profonda, capace di fondere etica e estetica, pensiero critico e impegno culturale e politico.
Un laboratorio di pensiero
Causale è stato cofondatore della rivista Colophon – laboratorio di Lettere e Arti – e animatore di iniziative culturali che hanno coinvolto accademici, scrittori, filosofi e artisti, italiani e internazionali. Alla rivista affiancò la casa editrice Res in Artibus, con cui pubblicò l’unica silloge poetica, Corale effimera.
Fondatore del gruppo poetico Vertex negli anni Ottanta e poi dell’Officina Metapolitica Hetairia, Causale ha attraversato filosofia, letteratura e storia con uno sguardo lucido, mai compiacente, spesso polemico ma sempre onesto. Amava Heidegger, Nietzsche, Derrida, e dialogava con il decostruzionismo in chiave drammaturgica e filosofica.
La parola come resistenza
Tra le sue opere più significative, tre drammi teatrali: Cavalcanti (sulla relazione fra poesia e politica), Nietzsche. Nascita e morte della tragedia (una riflessione filosofica messa in scena), e Quale libertà (sui fatti di Bronte del 1860). Opere che smontano e ricompongono il canone letterario italiano e la storiografia nazionale, sfidando le narrazioni ufficiali e la retorica dell’unità.
Il suo pensiero era una forma di resistenza culturale: alla banalità, all’omologazione, alla cancel culture, ma anche al nichilismo postmoderno. Per Causale la letteratura non era solo memoria o celebrazione, ma azione poetica e politica, capace di interrogare il presente e mettere in crisi i dogmi del potere culturale.
Un’eredità di dignità
Chi lo ha conosciuto, ricorda la sobrietà, la lucidità, la gentilezza dei gesti. Era un uomo che sapeva ascoltare, riflettere e poi intervenire con misura, precisione e forza. La sua ironia era parte integrante della sua intelligenza: mai cinica, sempre etica. La sua dignità personale era la sua forma di coerenza.
Per Causale, tutto partiva da una certezza: “ciò che si può pretendere da se stessi è conservare la dignità”. È forse in questa frase, riportata da un amico, che si condensa il suo lascito più profondo.
Una memoria da custodire
A Catania, città che conosceva in ogni sua pietra, ha lasciato un vuoto profondo. I suoi amici – da Giuseppe Carbone a Fulvia Toscano, ed ancora da Giuseppe Bonanno Conti, a Mauro Curcuruto ad altri ancora – continuano a custodire il suo pensiero, la sua “traccia” e la sua poesia.
Non era un uomo da palcoscenico mediatico, né da premi e vetrine. Era, come scrive chi l’ha amato, “fuori tempo, fuori mafia, fuori festa”. Un agitatore culturale, uno studioso rigoroso, un poeta nel caos che ha saputo dialogare con la luce. Ora che non c’è più, restano le sue parole, le sue opere, e quel desiderio di un nuovo canto, che solo chi ha attraversato il tragico può ancora pronunciare.
La memoria nei confronti di Carmelo, che è andato via nel novembre del 2023, è d’obbligo, anche per il suo impegno politico, dove questo diventava etico segnando una strada da seguire con rettitudine.
Un poema ho visto grande
cresceva l’oggi
e dalle vene
risaliva tutte
fino al centro le vie.
Lontano io
come un Budda birmano
sotto l’albero.
(Momento propizio, da Corale effimera – ed. Res in Artibus)