Ricorre oggi l’anniversario della morte di Giorgio Almirante, figura centrale e di riferimento della destra italiana del secondo dopoguerra, Nella foto in alto lo storico Segretario del Movimento Sociale Italiano a Brolo.
Almirante non ha mai rinnegato la sua storia ed ha avuto il coraggio, a differenza di altri, di portare avanti le sue idee avendo contro tutto e tanti… .
Due scatti che raffigurano e raccontano di quando, al “Principe”, in una delle sue ultime apparizioni in Sicilia da leader del MSI, Giorgio incontrò i suoi fedelissimi elettori. Resta vivo, tra tanti, il ricordo di un uomo politico che, al di la dei giudizi politici, ha segnato un’epoca facendo parte dei leader politici del grande dibatto politico italiano del tempo. A fare gli onori di casa – in quegli incontri – Antonio Cappello, e poi don Ciccino, Pietro Miraglia, i ragazzi della sala dell’hotel, e il “suo” pubblico di elettori. Nelle foto anche gli onorevoli Ragno e Nania.
E proprio oggi, tra tanti tributi sul web e un certo silenzio che colpisce più delle parole.
Necessitano riflessioni amare ma necessarie. Colpisce, infatti, notare il numero di commenti opachi o addirittura negativi scritti da coloro che, in passato, lo osannavano pubblicamente, da chi un tempo ne faceva oggetto di culto, almeno fino a quando la malattia lo costrinse a passare il testimone – in modo tutt’altro che sereno – a un delfino destinato a cambiare radicalmente le sorti e l’identità del partito.
Le stagioni di una militanza difficile

C’era un tempo in cui, all’interno del MSI, le divisioni erano nette, anche profonde.
Chi si opponeva alla linea almirantiana spesso veniva etichettato come “rautiano” – molti lo erano davvero – appartenente a una corrente con posizioni ideologiche quasi siderali rispetto a quelle del Segretario. Eppure, nonostante le distanze, nessuno osava mancare di rispetto al ruolo che Almirante ricopriva. Per formazione ed educazione, anche il dissenso era incanalato nei binari del confronto interno, non della denigrazione spicciola.
Anche se erano anni di congressi infuocati, comitati centrali incandescenti, scontri fisici da ring pugilistico sia nelle federazioni che nelle sezioni.
Almirante guidava un partito che si dibatteva tra identità e rinnovamento, tra memoria e storia, tra fiamme tradizionali, celtiche e saluti romani. E mentre alcuni militavano con passione, scendevano in piazza, altri rimanevano strategicamente “dietro le poltroncine” in attesa di spiccare il volo verso le “dorate stanze del potere” che sarebbero, da lì a poco, venute.
Con il tempo, attraverso salti mortali, abiure pubbliche, inchini trasformati in inginocchiamenti, nacque prima Alleanza Nazionale, per poi diventare Fratelli d’Italia.
Tutto cambiò.
Ma ciò che stupisce oggi è il processo di rimozione collettiva: tanti protagonisti di quella stagione hanno dimenticato – o scelto di dimenticare – chi li ha formati, ospitati, sostenuti, altri i “loro figli politici” sconoscono le stesse origini.
Perché ricordare oggi?
Questo ricordo non nasce da un’identificazione politica.
Almirante non è mai stato un punto di riferimento personale per chi scrive, per differenze di età e di visione. Ma proprio per questo, colpisce ancora di più la coerenza mancata di tanti che, un tempo, lo acclamavano senza riserve, e oggi tacciono o – peggio – attaccano la sua memoria con sorprendente disinvoltura.
“Chi muore tace, ma chi vive spesso perde lucidità e stile”, viene da pensare.
Non si tratta di santificare o mitizzare. Si tratta, più semplicemente, di non tradire la propria storia, qualunque essa sia stata. E di ricordare, senza revisionismi opportunistici, ciò che ha rappresentato una figura centrale per la destra italiana del Novecento. Lo si deve anche per chi ha pagato sulla propria pelle quella passione politica.
Perché rinfrescare la memoria, ogni tanto, fa bene. Anche quando può far male.