CINEMA E UOMINI  – I Vitelloni “Brolesi”
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CINEMA E UOMINI – I Vitelloni “Brolesi”

 

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La foto scattata da Giuseppe Pidonti (senior) durante una mareggiata, di fronte alla vecchia colonia, tra il magazzino di don Mimmo Caranna, il dancing lo Scoglio – dove suonavano sempre i Cormorano, la band diretta da un mitico Sasu –  e la casa della Gorgone.

Una foto pr nulla sbiadita o logora, anzi suggestiva, “viva”, ch sembra odorare di brezza, di sale, di vento. Una foto che è anche occasione per ricordare una Brolo datata  – ma non troppo – quando non c’era ancora il lungomare, la strada della Marina finiva davanti al bar di Don Tindaro e di sua moglie Vittoria, oggi li c’è il Bar del Sole, e Don Santo arrostiva totani e sarde sotto la cannizza, praticamente sulla spiaggia (non c’era la Cicala, men che mai la Stella del Mare, nè case abusive o spiaggere inutilizzabili solo la vecchia colonia, i magazzini degli agrumi, l’odore delle “stufe” – l’acetilene – e tante vecchie cassette di legno).

Tempi che vedevano il mare arrivare, quando si agitava, sotto il ponte della ferrovia, tra le botti di Don Cosimo e la segheria di Bastiano Giannitto e che prima era stata anche di Nino “Manciasciuttu”.

Tempi, quelli della foto, dove davvero, nelle sale cinematogafiche  si proiettava l’ultima pellicola di Federico Fellini che, in collaborazione con i fedeli Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, aveva girato … lo splendido, “I vitelloni”che  rimane a tutt’oggi il film più sagacemente abile nel rappresentare sogni, ambizioni e paure di una generazione di italiani, quella del pre-boom.

Un film che i brolesi hanno poi visto a pochi metri da dove Pidonti ha scattato la foto, nella sala del “Cinema Risveglio”; il cinema di Brolo, con annessa arena estiva, dalle sedie in lamiera dipinti di verde e dal grande muro bianco, delimitato dal riquadro blu.

Brolo_LA_MAREGGIATA_1brolo_IN_BARCAEra il cinema che Mariano Scarpaci, sempre in bilico tra Francia e Sicilia, aveva voluto, prima di costrurci sopra l’albergo.

Ci proiettava le pellicole che Giovannino “Scapino” girava e montava nello sgabuzzino, vicino alla “cassa”, gestita dalla signora Rosa, impeccabile e sempre elegante.

Una sala cinematografica dove imperava “Cumpari Vasili” che teneva a bada i ragazzi che occupavano le prime file per il film della domenica.

Qui – dentro la sala – si mangivano fave e lupino che venivano smerciate da Santo, nella bettola li vicino, oppure le sementi del “caliario di naso” che con il suo cesto stava per ore appoggiato al muro del cinema, vedendosi e rivedendosi lo stesso film  in attesa dell’apertura delle luci per il cambio tempo.

Il cinema “Risveglio” dove tanti hanno fumato la prima sigaretta, fatta con le cartine o dato il primo bacio grazie all’oscurità complice della sala.

Il luogo dei primi cineforum impegnati e sociali, condotti dai ragazzi che poi diedero vita all’UPB, Natale Calderaro, Tanina e Dina ed il fratello Tanino Ruggeri, Pippo Caranna, Turi Frassica, Cono e Renato Barnà, Angelina Scaffidi – la figlia della maestra Adele De Fonso –  Amalia Condipodero… la meglio gioventù di quel tempo (quella che era rimasta a studiare tra Patti e Messina, mentre altri come Nino Ziino aveva indossato la divisa morendo sulle strade del Friuli).

Altri tempi.

BROLO_1962Ma pensandoci bene a Brolo a quei tempi viveva tante epopee; quella dei Germanà, Ninì e Marisa, – Basilio era troppo piccolo e Annù troppo aristocratica per confodersi con i popolani- di Claudio Faranda – già avvocato in ascesa – che aveva voglia di far cinema e tutti insieme amavano le colazioni a Taormina o fare tardi a Cefalù; quella dei pescatori di frodo e del contrabbando; quelle delle belle ragazze di buona famiglie e delle loro amiche gioiosane e orlandine, che si divertivano facendo feste innocenti, ascoltando con i primi mangiadischi  i 45 giri di Adamo e  Endrigo, nei salotti tirati a lucido delle case dei genitori; dei nottambuli che vivevano da ‘Ustino tra un caffè ed il bigliardo, anche perchè l’unico rifornimento di carburante aperto tutta la notte nel raggio di decine di chilometri era l’Agip – appena costruito a posto di un grande ovile – e l’Avvocato restava aperto, anche lui, tutta la notte, e vendeva le sigarette.

E Brolo aveva anche i suoi “Vitelloni”- per tornare alla foto – personaggi, simpatici, intraprendenti, burloni, scanzonati: Nino “Tum Tum”, Pierino e Nino Marino – quando rientravano da Torino portandosi dietro stoffe e storie della loro sartoria – Nicolino Fonti detto dagli amici “primo maggio”, Emilio Ricciardi, tanto per fare qualche nome.

Stavano lì, al Circolo, giocando e ridendo, “leggeri” ma enciclopedici. Sapevano tutto e di tutti. I primi esempi di social network rurali.

Una via di mezzo tra i più recenti protagonisti di “Amici Miei” ed i personaggi dei racconti del Bell’Antonio di Vitaliano Brancati, facevano passare il tempo sognando un pocker milionario, parlando dell’Inter che vinceva tutto, e della nuova spider o della prossima Targa Florio, mentre i più audaci ricordavo l’ultima “Montercarlo” vissuta pericolosamente,  mentre nei salotti della politica, ai primi piani delle case dei notabili – e mai nelle segreterie dei partiti – si decidevano piani regolatori, la nuova speculazioni edilizie, si tracciavano strade più o meno sbilenche, urbanizzazioni senza senso e senza progettualità.

Si metteva a dimora, senza cultura nè il senso del bello e dell’estetica, tutto quello che avrebbero deturpato il volto di Brolo, distrutto memorie e ricordi, disegnato un paese che, senza scampo, è rimasto senza storia.

Ed allora con umiltà il pensiero va ai fratelli Lenzo, Vittorio e Cono.

Loro, il primo maggio, braccianti, incolti, dalle mani callose, dallo sguardo onesto, sfilavano- scendendo da Piana e da Iannello – spesso da soli.

La bandiera rossa in mano, la banda – alle loro spalle – che suonava l’internazionale, e sfilavano per le vie di Brolo, rivendicando il diritto al lavoro.

Lo sguardo fiero, mai domo, pur sapendo che l’indomani, nei magazzini, nell’agrumeto o semplicemente andando a comprare il sale sarebbe stato un giorno più duro degli altri.

Massimo Scaffidi

foto tratte archivio storico pidonti


Tornando al Film di Fellini:

vitelloni2Nei ritratti di Moraldo (Franco Interlenghi), Fausto (Franco Fabrizi), Alberto (Alberto Sordi), Leopoldo (Leopoldo Trieste) e Riccardo (Riccardo Fellini) troviamo le caratteristiche principali dell’italiano medio nato e cresciuto in provincia, il quale si adagia alla propria estrazione sociale, evitando ogni possibile forma di reazione e negando a se stesso l’auspicio che tutto rimanga così com’è, età compresa.
Non appena resosi conto che la fidanzata Sandra è in attesa d’un bambino, Fausto si appresta a preparare le valige e a giustificarsi col padre dicendo di voler partire per cercare un lavoro, fingendo aria di responsabilità; lo ritroviamo immancabilmente sull’altare (“hai visto, è stato un momento!” gli dice stringendogli la mano Alberto) e, poco dopo il viaggio di nozze, il suocero lo accompagna dal proprietario d’un negozio d’articoli religiosi per lavorare da commesso.

Mentre Leopoldo nella sua stanzetta da scapolo, seguendo delle enfatiche ambizione artistiche, passa le notti pensando ai personaggi delle commedie che scrive, Alberto e Riccardo vivono ancora in famiglia e trascorrono le loro giornate preferibilmente al biliardo o in riva al mare, giocando spesso a provocarsi a vicenda.

Moraldo, cognato di Fausto, ha un carattere meno strafottente degli altri, coi quali comunque condivide lo scorrere dei trent’anni in questo goliardico stile di vita.
i-vitelloni-criterion-collection-largeAl termine del grande veglione di carnevale, squillano per tutti i campanelli d’allarme, come fosse definitivamente finito il tempo di scherzare: Alberto travestito da donna e completamente ubriaco tra le braccia di Moraldo afferma: “Non siete nessuno tutti, mi fate schifo” poi estendendo l’invito anche a Riccardo dice con convinzione: “Ti devi sposare Moraldo, ci dobbiamo sposare…” Mentre di lì a poco tornando verso casa troverà la sorella in procinto d’andarsene per seguire un uomo, nella molto vana speranza d’un avvenire migliore; Fausto, dopo aver insistentemente corteggiato la moglie del principale, perderà il posto di lavoro e verrai conseguentemente castigato dalla moglie allontanatasi da casa con la bambina per rifugiarsi dal padre di lui, che non esiterà a dargli una severa lezione, una volta per tutte. Leopoldo rimarrà deluso perfino dall’incontro con un capocomico famoso, il quale finirà per rivelarsi un omosessuale, mettendolo in fuga nonostante lo abbia dapprima molto lusingato.

Soltanto Moraldo, una notte, troverà il coraggio di staccarsi dalle proprie radici, abbandonando per sempre quella piccola realtà che ora non può che apparirgli monotona e nell’insieme squallida, salendo su di un treno senza nemmeno sapere la destinazione. I temi di base descritti nel film (La monotonia della vita di provincia, la paura di crescere e soprattutto il desiderio d’evasione dalle responsabilità familiari) verranno nei decenni a seguire aggiornati e rianalizzati da Pietro Germi: in “Divorzio all’italiana” (1961) vedremo il siculo barone Fefè (Marcello Mastroianni), fare di tutto per liberarsi della moglie per unirsi in seconde nozze alla cugina sedicenne Angela (Stefania Sandrelli) la quale, durante una gita in mare, non esiterà ad intendersela col marinaio di turno; in “Alfredo Alfredo” (1972) Dustin Hoffman verrà soffocato dal temperamento della fidanzata Maria Rosa (ancora la Sandrelli), per poi trovare conforto nel rapporto con una cassiera di bar dalle idee divorziste (Carla Gravina) che lo ricondurrà in trappola.

Nell’ultimo film, poi ultimato da Monicelli, ossia “Amici miei” (1975), i cinque cosiddetti “Vitelloni” (Tognazzi, Noiret, Moschin, Celi e Del Prete) pur avendo raggiunto un buon livello d’affermazione sociale continuano a fuggire la realtà esorcizzando la paura di invecchiare attraverso feroci scherzi ch’essi definiscono zingarate; al termine del film, uno di loro (il giornalista Silvio Perozzi), colto da un infarto, abbandonerà per sempre il gruppo suo malgrado: nemmeno il suo funerale verrà preso sul serio.

Arrivando ai giorni nostri, troviamo nei film dei giovani registi Gabriele Muccino (“L’ultimo bacio”, divenuto già il cult degli attuali trentenni) e Alberto Taraglio (“Amarsi può darsi”) quei protagonisti che potremmo definire i nipoti stretti dei “Figli” di Fellini e Germi, i quali in pieno terzo millennio, epoca d’Internet e telefonini, continuano a vedere il matrimonio come una minaccia alla spensieratezza della giovane età e ad avere dentro di sé il prepotente desiderio di evadere dalla routine di una vita limitata da responsabilità sempre più pesanti.

Doverosi complimenti vanno espressi alle nuove leve per non aver dimenticato le lezioni degli illustri predecessori: i Vitelloni grazie a loro esistono ancora, oggi come ieri, domani come sempre

http://www.activitaly.it/immaginicinema/vitelloni/italicus.htm

 

11 Dicembre 2012

Autore:

admin


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