
RITI – “L’Occhio del Giudeo”… come vede Pino Grasso la “Passione” a San Fratello
Tutto ebbe inizio il Venerdì Santo del 2011, quando, con i miei amici Gianni e Rita, decidemmo di andare a San Fratello per vedere i Giudei. A dire il vero ero molto scettico… Quel che si sentiva dire in giro sui Giudei mi preoccupava e cioè che era pericoloso, che si ubriacavano ed erano cattivi e violenti. Solo leggende metropolitane.
Io di tutto ciò non ho visto niente, anzi posso dire di avere incontrato un popolo ospitale, cordiale, disponibile e generoso. Quel Venerdì fu significativo in tutti i sensi e fece nascere dentro me il desiderio di vivere quest’esperienza in maniera completa. Promisi a me stesso che l’anno dopo sarei tornato per vivere e raccontare ciò che succede in quel periodo a San Fratello.
Ogni anno a San Fratello, paesino medievale dei Nebrodi in provincia di Messina, all’alba del Mercoledì Santo inizia la storica “Festa dei Giudei”con la preparazione dei sepolcri in tutte le chiese parrocchiali. Si tratta di una manifestazione di origine pagana in cui i “Giudei” festeggiano la morte di Cristo.
Una rappresentazione estremamente suggestiva di origini medievali, che si svolge sempre nei giorni di Mercoledì, Giovedì e Venerdì Santo.
La “Festa dei giudei” è una baraonda paesana che dura tre giorni, dal mercoledì al venerdì, e che vede scorrazzare per le vie del paese individui giovani e giovanissimi che indossano un costume composto da calzoni e giubba, questa finemente lavorata con lustrini, e un cappuccio (sbirijàn) sul quale generalmente è riportato il simbolo della croce sia sulla fronte sia sopra una lunga lingua esterna di cuoio. Il cappuccio finisce a punta, seguendo il dorso, dalla quale si parte una lunga coda animalesca, che arriva fino ai polpacci. Un grappolo di catene (disciplina) viene portato legato ad un polso. Molti calzano ai piedi scarpette da tennis, altri sono rimasti legati alla tradizione calzando un paio di cioce in pelle grezza di bue, le cosiddette schièrpi di pièu.
1. Ipotesi sull’origine
Si è scritto molto sulla possibile origine della “Festa dei giudei” di San Fratello, facendola risalire alle sacre rappresentazioni medievali, e associandola anche a ciò che è rimasto di feste pagane. Sicuramente la prima ipotesi è vera in quanto le sacre rappresentazioni esistono tuttora e in particolare in Sicilia; mentre la seconda non essendo verificabile, rimane a livello di sola ipotesi. Mi sono sempre domandato: come mai in altre città durante le rappresentazioni legate alla Settimana santa sono presenti dei figuranti vestiti da soldati dell’antica Roma che accompagnano Cristo al patibolo, come vuole l’iconografia tradizionale, mentre a San Fratello si vorrebbe che i cosiddetti “giudei” siano una variante di tali soldati, vestiti come ho detto più sopra? E che bisogno ci sarebbe di dovere occultare proprio il viso con un cappuccio per giunta disegnato in maniera tale da simulare uno sberleffo? Ai bambini si raccontava che il demonio, con tanto di coda, è di colore rosso, come le fiamme dell’inferno, così pure il monachetto, un folletto che molti vecchi del passato avrebbero giurato di incontrare per le contrade sanfratellane, sarebbe munito di casacca e cappuccio rossi. È così che noi bambini ce li sognavamo. Si tratta dunque di associazioni oniriche legate alla tipizzazione medievale dell’inferno? E poi, cosa c’entrano i giudei se Gesù verso il Calvario fu scortato dai soldati romani? Una serie di domande che poco riscontro hanno con i “giudei” della festa sanfratellana.
Allora cerchiamo di tornare nel Medioevo, per vedere cosa avviene nella Spagna governata dagli Aragonesi. Tra il 1302 e il 1335, a Girona, Barcellona e Valencia, città in cui sono presenti le più importanti comunità ebraiche del Regno di Aragona, hanno luogo atti di violenza a seguito delle celebrazioni del Venerdì Santo.
Carlo Susa (1) sostiene che “Secondo alcuni storici il fatto che questi atti di violenza seguissero immediatamente le celebrazioni del venerdì santo in cui i fedeli rivivevano la Passione di Cristo, porta a pensare che la violenza fosse parte integrante del rito. In questo senso i riti della Settimana santa avrebbero codificato una ‘struttura rituale’, in cui i cristiani si rendevano protagonisti di una sorta di ‘semi-linciaggio’ o ‘semi-lapidazione’ per punire i responsabili della morte di Cristo, che avrebbe poi portato alla sistematica colpevolizzazione del popolo ebraico e alle conseguenti esplosioni di violenza contro gli ebrei degli anni successivi.”
Si tratta dei cosiddetti “disordini pasquali” frequenti anche in città italiane e controllati dalle autorità che dispiegavano le forze dell’ordine al fine d’impedire assalti alle giudecche (2). Siamo in un periodo in cui, in Europa, gli ebrei sono oggetto di violenze da parte dei cristiani durante le feste natalizie e pasquali, ma anche nel periodo di carnevale e in occasione delle festività mariane. Durante tali ricorrenze si verificano saccheggi, danneggiamenti e in special modo sassaiole contro gli ebrei e i loro beni. Lo storico americano David Niremberg (3) dimostra che tali atti di violenza, diffusi in tutto il territorio iberico, hanno natura rituale e le sassaiole sono parte integrante dei riti del Venerdì santo, quindi anche negli anni precedenti a quelli in cui accaddero i fatti più gravi nelle città menzionate più sopra. Tali sassaiole erano dunque una consuetudine e provocavano danni reali, ma la loro entità era limitata essendo controllata dalle autorità.
Ariel Toaff (4) analizza il fenomeno delle sassaiole pasquali in Italia, dimostrando che il fenomeno era molto diffuso sul territorio italiano e che nello stato pontificio aveva perfino il patrocinio delle autorità: “Per convogliare la violenza su binari controllabili, rendendola in gran parte inoffensiva, molti comuni italiani avevano scelto di far ricorso alla cosiddetta ‘sassaiola santa’, seguendo un copione preordinato e rigido, che non lasciava spazio alle deleterie improvvisazioni”. Sappiamo che le Sacre rappresentazioni, in origine spontanee, sono frutto del connubio tra laudi e misteri, e che con esse ha origine il teatro all’interno del rito religioso. Qui la violenza da reale diviene simulata, quindi anche le sassaiole non saranno più fatte con sassi veri, ma con frutta e gli ebrei veri saranno sostituiti da figuranti, i cosiddetti “giudei”.
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1 – C. Susa in “L’antisemitismo nei riti e nel teatro religioso medievali. Il caso della festa dell’Assunta in Aragona e in Sicilia
(Secc. XIV-XV)”
2 Rioni di città riservati alle comunità ebraiche, in cui vivevano liberamente, praticando il loro culto ed esercitando i loro
commerci.
3 D. Niremberg in “Communities of Violence. Persecution of Minorities in the Middle Ages”, Princeton University Press,
1996.
4 A. Toaff in “Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo”, Bologna 1989
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2. Il significato del cappuccio (sbirijàn)
L’uso del cappuccio pare sia nato in Italia intorno al sec. XII ad opera di confraternite di penitenti che, in maniera anonima, durante la Settimana santa giravano flagellandosi con catene in espiazione dei propri peccati. Dall’Italia l’uso del cappuccio arrivò in Spagna, anche qui inizialmente portato dai penitenti, o nazarenos, che precedevano le processioni, ma successivamente venne usato dall’Inquisizione obbligando gruppi di ebrei a indossarlo durante le rappresentazioni della Settimana santa per ridicolizzarli e identificarli come simboli del male. Il cappuccio pertanto adempiva ad una duplice funzione: da una parte mantenere l’anonimato di chi lo indossava e dall’altra permettere al popolo di identificare più facilmente gli indossatori e quindi renderli bersagli più visibili da colpire durante le sassaiole.
Il cappuccio indossato oggi dai “giudei” di San Fratello non dovrebbe essere tanto diverso da quello imposto agli ebrei dall’Inquisizione spagnola. Intanto l’indumento doveva essere brutto da fare ribrezzo e il popolo, nella sua profonda meditazione, doveva vedere nei “giudei” coloro che si erano macchiati di peccati imperdonabili. Inoltre, doveva ostentare un aspetto di scherno, riscontrabile in uno sberleffo, che in maniera esplicita fosse rivolto ai cristiani, un concetto questo affidato alla lingua di cuoio sulla quale è raffigurato il loro simbolo, equivalente quindi a parlar male della croce.
Nel dialetto galloitalico di San Fratello questo indumento è chiamato sbirijàn (pron.: sgb’r’jàn) e deriva probabilmente dal sic. sbiriugnari ‘svergognare’, si tratterebbe quindi di un cappuccio imposto in passato sul capo dei condannati al fine di sottoporli, in maniera anonima, al pubblico ludibrio.
Ma con un po’ di fantasia, e con una variazione difficilmente giustificabile dai glottologi, potrebbe derivare anche dalla forma storpiata di spirijàn, che ha radice identica a spièrt (spirito, demonio). Così dovevano apparire alla devozione popolare tali “giudei”, delle emanazioni demoniache da detestare e scacciare. La funzione dei “giudei” sanfratellani era, e lo è ancora, quella di disturbare la processione del Venerdì santo. Oggi è scomparso ogni comportamento violento, e il popolo accompagna i simulacri della passione di Cristo in devoto raccoglimento. Ma qualcosa di diverso doveva avvenire nei secoli passati, quando detti “giudei” dovevano avere uno spazio assegnato durante l’espletamento del rito ed essere oggetto di una ‘sassaiola’ probabilmente a base di arance, unico frutto del luogo presente nel periodo pasquale. Così il cappuccio poteva avere anche il compito di riparare il viso dagli schizzi degli agrumi.
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3. La preparazione
Marzo 2012, eccomi a San Fratello con un gruppo di Giudei in una casetta di campagna, con il tepore di un caminetto acceso. Provano le musiche che intoneranno nel corso della Settimana Santa in paese. Si tratta di musiche molto particolari, dal sapore folkloristico che coinvolgono tutto il popolo sanfratellano. Si va avanti fino a tarda notte nonostante l’indomani ognuno dovrà recarsi al proprio lavoro. Tutto questo si ripete per tutte le sere per almeno un paio di mesi.
E’ una vera passione quella del Giudeo….
I Giudei altro non sono che normalissimi lavoratori, studenti, bambini che fanno il proprio dovere di giorno e si riuniscono la sera per arrivare preparati sia tecnicamente che emotivamente ai tanto attesi tre giorni.
Con l’aiuto di un caro ragazzo, Salvatore Oddo, riesco a visitare più gruppi di Giudei nelle loro dimore di Campagna. Comincio ad assaporare sempre più il clima che si respira tra loro. Gli odori, i sapori , il sentimento d’amicizia, che in questo periodo diventa più forte. Più giro per questi luoghi, più gente conosco e più la mia sensazione d’emozione aumenta. Comincio ad avvertire dei brividi dentro che prima non provavo. Beh, è un’esperienza unica, forte…mi piace!
Questa è una cosa che avrei dovuto fare da tempo, ma purtroppo lo faccio solo adesso, devo recuperare il tempo perduto. Quindi chiedo, chiedo, chiedo… voglio sapere più possibile su questa manifestazione, voglio conoscerli meglio, voglio capire cosa pensano, cosa provano, cosa sentono… Mi metto alla ricerca di materiale che possa essermi utile, lo trovo e comincio a leggere….
Decido che dovrà essere un racconto visto da una prospettiva intima e diversa dal normale spettatore e cioè quella del Giudeo. Sarà lui che guarderà per me, sarà lui che mi guiderà in questo progetto.
Sarà “ l’occhio del Giudeo ”!
L’originalissima Festa dei Giudei che si tiene, ogni anno, nei giorni di mercoledì, giovedì e venerdì Santo è una caratteristica peculiare del paese di San Fratello in provincia di Messina. In realtà questi tre giorni sono quelli ufficiali ma già molto tempo prima non è raro sentire, qua e là per il paese, al riparo di vicoli e “vanelle”, gioiosi squilli di tromba. La preparazione all’evento pasquale, infatti, inizia subito dopo Natale, poiché per suonare questo strumento, che è l’elemento portante dell’”anomala” festosa manifestazione, gli uomini iniziano “a farsi il labbro”, per evitare spiacevoli ulcerazioni durante i festeggiamenti della Settimana Santa, almeno un paio di mesi prima.
Già dal lunedì, e fino al martedi notte, i giudei escono per le strade a provare quelle che saranno le coreografie che eseguiranno fino al Venerdì Santo, anche se non sono approvate dalle Forze dell’Ordine e dagli stessi abitanti, che lamentano il disturbo nelle ore notturne. Nonostante ciò, nelle ore serali, si sentono strombazzare per le vie del paese.
4. Un comportamento provocatorio e la poca tolleranza delle autorità
Che in passato sotto lo sbirijan potesse nascondersi qualche malfattore latitante e con l’opportunità del mascheramento fare un giro per salutare i parenti in paese, è un fatto pensabile. Non è però pensabile che tutti gli individui nascosti dal cappuccio fossero dei malfattori. Pertanto la ricorrenza pasquale, specialmente sotto il regime fascista, portava un notevole incremento delle forze dell’ordine, con lo scopo di fermare per accertamenti, un buon numero di figuranti. Questi erano di difficile cattura, in quanto si trattava di individui dal piede leggero, abituati a correre dietro alle greggi e capaci di spiccare salti adusi più a gente del circo che a persone normali. Spesso gli inseguimenti finivano con un nulla di fatto. Le bravate non mancavano, con arrampicamenti sui cornicioni delle case da dove potevano suonare i motivetti imparati dopo mesi di strombazzamenti per le campagne dietro agli animali. Insomma un comportamento provocatorio verso le forze dell’ordine, rafforzato dall’uso di alcolici, più che un disturbo della processione come lo era in origine.
5. A casa del Giudeo…
La Festa dei Giudei di San Fratello coinvolge principalmente gli uomini e poi, di riflesso, le donne del paese. E proprio a queste ultime che, oltre a dedicarsi ai noti riti pasquali come nel resto d’Italia, ad esempio la preparazione dei Sepolcri o dei dolci tipici, nella cittadina dei Nebrodi, è demandato il compito di accogliere gli schiamazzanti “Giudei in visita” nelle loro case offrendo cardi fritti, vino e quant’altro la caratteristica cucina sanfratellana riserva per l’occasione. I loro uomini, infatti, mascherati in uno strano costume scarlatto girano a gruppi più o meno numerosi, scalmanando e strimpellando la tromba per le vie del paese, già dalle prime luci dell’alba del Mercoledì Santo.
Il giudeo è molto vanitoso e meticoloso nella preparazione della sua divisa, la madre o la moglie lo aiuta a prepararsi e soprattutto controlla che tutto sia al posto giusto. Quasi come uno sposo, che deve andare all’altare, si guarda allo specchio più volte. Radunatisi, tutti si danno l’un l’altro una controllatina e poi, finalmente, fuori per le strade del paese a suonare con le trombe e le cornette.
All’ora del pranzo o della cena tornano a casa tutti insieme e, accolti dalle donne, danno inizio ai banchetti. Durante questi banchetti ogni tanto si alzano e intonano qualche musica. E’ quasi un modo per scaricare la tensione.
E’ un’esperienza unica..
6. La processione del Mercoledì
La sera del mercoledì si svolge una singolare via Crucis. E’ una processione unica e antichissima che, per l’appunto, prevede il corteo dietro alla statua della Madonna con Gesù morto due giorni prima del previsto, perchè come tutti sappiamo il giorno della morte di Gesù è proprio il Venerdì Santo.
La varetta viene condotta per le vie del paese a spalla dai fedeli Sanfratellani dalla Chiesa Madre alle varie Chiese di San Fratello dove ci sono tanti fedeli ad aspettare.
Va sottolineato che al rientro della via crucis le campane suoneranno a festa per l’ultima volta.
Si respiraa un’aria di grande spiritualità e di raccoglimento.
Si cominciano a intravedere i Giudei che strombazando con le cornette disturbano il mesto svolgimento della processione . Questo è quasi il preludio dei giorni che verrano, in cui i Giudei raggiungono livelli molto più alti rispetto al mercoledì.
7. Lo spettacolo moderno
Oggi possiamo notare una trasformazione stilistica della “divisa” dei figuranti. Le originarie casacche sono state sostituite da pregiatissime giubbe attillate e ricamate con lustrini, munite di spalline da divisa di corazziere. Fino alla prima metà del Novecento, l’elmetto era posseduto da pochi individui, peraltro chiamati giurièa märch (giudeo marco) con riferimento al soldato romano Marco Longino che, secondo il Vangelo, conficcò la lancia nel costato di Cristo sulla croce, per finirlo. Si tratta quindi di una variazione rispetto al costume di altri figuranti che in passato dovevano far parte della rappresentazione della Via Crucis. Erano i soldati romani nel loro costume tradizionale e dal quale i “giudei” sanfratellani hanno preso la corazza, sostituendola con la giubba, e l’elmetto, dal quale hanno levato le parti che coprivano le guance. Gli schinieri sono scomparsi e sostituiti da un elaborato paio di ghette. Ai piedi sono calzate delle leggere e semplici scarpette di pelle grezza di bue, allacciate ai polpacci per mezzo di lunghe stringhe, in genere portate dai contadini e pastori. Oltre alla tromba di tipo militare, di cui oggi sono muniti tutti i figuranti, costituisce parte della dotazione del “giudeo” la cosiddetta “disciplina” che è costituita da un grosso anello al quale risultano assicurate delle maglie di catena interallacciate con monete fuori corso. Un’elegante variazione delle catene con le quali i penitenti del Medioevo usavano flagellarsi. Una confusione quindi che parte dalla comprensione del vestiario, essendo questo di non facile e sicura provenienza. Ma se volessimo pensare a qualche collegamento con preesistenti sincretismi religiosi, collegati con il mondo pagano, potremmo rimanerne delusi, a meno di non riferirci a quanto di pagano sia rimasto nelle ricorrenze della cristianità
8. Il fattore ‘turismo’ e le remore
La “Festa dei giudei” di San Fratello continua a richiamare fotografi e turisti, e oggi deve essere pensata come rappresentazione folcloristica. La processione del Venerdì Santo nel passato era partecipata dal solo popolo sanfratellano e i più vecchi scioglievano voti camminando scalzi, mentre era facile vedere tanti a spalla nuda avvicendarsi sotto la pesante bara del Crocefisso. I “giudei” adempievano la loro funzione per tre giorni e suonavano fino a notte fonda tornando a casa generalmente ubriachi, tranne il Venerdì santo che al rientro in chiesa della processione si ritiravano a casa in buon ordine. Qualcuno nel passato recente ha pensato che sarebbe giunto il momento di eliminare questa festa perché offensiva per il popolo ebraico. Tanto più ora, visto che Papa Giovanni Paolo II ha chiesto scusa, a nome della cristianità, al popolo ebraico per i soprusi perpetrati nel passato a suo danno e in particolare per la falsità dell’accusa di deicidio che nel Medioevo era servita per mandare al rogo tanti ebrei. Della cosa se n’è occupato perfino il “Jerusalem Post”, come scrive il quotidiano “La Sicilia” del 23 marzo 2000, che parla di una nota di protesta presentata al governo italiano da parte del ministro del Turismo di Israele “a causa di ‘manifestazioni antisemite’ che si tengono nel nostro paese e che sono propagandate via Internet. Il riferimento è alla ‘festa dei Giudei’ che si tiene nel paesino siciliano di San Fratello il Giovedì e il Venerdì Santo, una manifestazione di larga risonanza e di antica tradizione di cui si sono occupati anche Sciascia, Pitrè e Buttitta.
Ci è mai venuto in mente quale potrebbe essere la risposta dei contemporanei a qualche gruppo fondamentalista non importa di quale religione monoteista, che chiedesse di non rappresentare più opere di Sofocle e di Eschilo, perché trattandosi di opere di fede politeista risulterebbero offensive alla propria religione?
Cambiare la denominazione con altra non risolverebbe ciò che i figuranti sanfratellani rappresentano e ciò che il popolo ebraico ha dovuto subire nel corso della sua storia. Si può dire piuttosto che, nella sua unicità folklorica, tale festa vuole ricordare al mondo fatti che non debbono essere dimenticati, compresa la falsità delle accuse, mosse dalla Chiesa del passato, contro il popolo ebraico.
Quindi, continui a sopravvivere la “Festa dei Giudei” di San Fratello, che nella sua denominazione richiama la festa della Pasqua ebraica, preesistente a quella cristiana.
La disciplina
9. Una tradizione che si tramanda da padre in figlio
Quella del giudeo è una tradizione che si tramanda da padre in figlio. All’interno di ogni gruppo è facile incontrare un padre e un figlio che partecipano insieme. I ragazzini amano molto questa tradizione, e sin da piccoli aspettano questi giorni con ansia e trepidazione. Non si fermano un attimo, seguono, in tutto il tragitto e per l’intera giornata e per tutti e tre i giorni, il loro genitore che li guida nel modo migliore perchè possano diventare dei veri Giudei.
10. Il Venerdì Santo
La celebrazione ha il suo punto cruciale il Venerdì Santo, quando la processione religiosa che commemora la Passione di Gesù Cristo, è disturbata ed interrotta nel suo cammino dal loro arrivo burlesco per festeggiarne la morte. Si tratta di una drammatizzazione della Passione, deviata dall’antico copione e vissuta in modo collettivo, in cui i Giudei impersonano le forze del male che si oppongono allo svolgimento del sacro evento, fonte di salvezza per l’umanità. Il Giudeo di San Fratello non è semplicemente un personaggio folkloristico come molti pensano, non è colui che con il suono della sua tromba dà un aspetto del tutto insolito alle celebrazioni. Egli, piuttosto, rappresenta il crocifissore, il flagellatore e il soldato che affondò la sua lancia nel costato di Gesù Cristo, e coprendosi il volto, interpreta un personaggio animato da una carica emotiva folle e ad un tempo grottesca.
Tutto inizia con una processione alle 9,00 am. Esce dalla Chiesa il solo Crocefisso e viene portato a spalla per tutto il paese fino ad arrivare alla Chiesa Maria SS Delle Grazie dove si svolgerà la Santa Messa.
Finita la messa il corteo ritornerà nella Chiesa da dove uscirà una seconda volta per la processione della sera.
Durante questo tragitto i Giudei imperversano per le vie del paese organizzando delle baraonde che disturbano lo svolgimento della processione e in punto strategico cominciano ad arrampicarsi e suonare le loro assordanti musiche. Alcuni di essi fanno delle acrobazie pazzesche e anche pericolose, la cosiddetta bandiera che si può vedere nelle immagini seguenti. Questa singolare celebrazione è considerata a pieno titolo la festa più antica del dramma sacro popolare d’Italia.
Alla fine della processione il Giudeo si scopre il viso e bacia Gesù a dimostrazione dell’avvenuto pentimento.
Finita la processione e tornati a casa, il vestiario e la cornetta vengono conservati con cura per poterli utilizzare ancora il prossimo anno.
©Pino Grasso 2012
IL LIBRO
L’Occhio del Giudeo di GIUSEPPE GRASSO
recensione da Cinzia Baldini
Quello che ci disvela Giuseppe Grasso ne L’OCCHIO DEL GIUDEO va oltre il reportage fotografico. È un racconto “visivo” che permette al lettore di entrare all’interno di una tradizione secolare, quella della Festa dei Giudei di Sanfratello, di viverla e comprenderla.
Gli scatti dell’obiettivo, spesso, si sostituiscono alle parole e schiudono le porte su uno scenario incredibile e di assoluta spettacolarità.
A San Fratello, ridente paesino siciliano che sonnecchia disteso sui Nebrodi, a metà strada tra Messina e Palermo, la settimana santa è vissuta in maniera assai sentita e particolare e Giuseppe Grasso ne ha colto il fascino primitivo e accattivante. Con il suo obiettivo, immerso nel folklore cittadino, rumoroso, strimpellante e goliardico, ne ha catturato le immagini più significative ed emozionanti e le ha proposte all’ammirazione dei lettori.
Le numerose e dettagliate fotografie in cui sono immortalati i momenti salienti che vanno dal rito della vestizione del “Giudeo” alle “strombazzate” all’ultimo respiro, singole o di gruppo, alle evoluzioni acrobatiche dei giudei che accompagnano la processione, ai volti rugosi e senza età, arsi dal sole ma orgogliosi di mostrarsi nelle loro “maschere” pasquali, alle grandi abbuffate che dal mercoledì santo si susseguono senza posa fino alla mezzanotte del venerdì, sono degli stupendi frammenti di una palpitante tradizione.
Nell’introduzione al volume illustrato, l’autore dice: “Ci provo, per la prima volta seriamente, con questo progetto sui Giudei di san Fratello, sperando di riuscire a trasmettere le emozioni che mi ha suscitato” ed io che, personalmente, mi sono trovata ad assistere da una posizione privilegiata alla Festa dei Giudei posso garantirvi che non solo Giuseppe Grasso è riuscito nel suo intento ma è andato ben oltre lo scopo che si era prefisso. Ha catturato nelle sue foto l’intimo legame insito nel DNA di ogni sanfratellano con le proprie origini, l’orgoglio di appartenere ad una terra esigente ed appassionata, madre e spesso anche matrigna, ingrata e al contempo riconoscente, una terra, insomma, fatta di contrasti e di generosi slanci d’amore.
Il Grasso ha riportato fedelmente, nei suoi scatti, anche l’estatica ammirazione del turista che si scopre coinvolto in una festa tanto magica quanto colorata, allegra ed inattesa, o lo sbalordimento del credente che in un periodo religioso di lutto per la morte di Cristo si trova a dover fare i conti con una sfrontata orda briosa e spumeggiante, pia e irriverente, o ancora, l’eccitazione che contagia il paese, la periferia e le campagne circostanti dove uomini, donne, vecchi e bambini, compresi nei loro ruoli, ripetono e perpetuano quegli antichi rituali di festeggiamento pagano, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Con la sua arte, è riuscito ad afferrare e riportare la suggestione degli squilli delle trombe che si levano, si rincorrono, si sfidano e squillano insolenti e melodiose da un capo all’altro della cittadina, il profumo sacro dell’incenso delle funzioni religiose che si mischia a quello profano del pane appena sfornato che arricchisce la tavola imbandita su cui fanno mostra di sé ghiottonerie tipiche ancora fragranti, cucinate per saziare il gagliardo appetito dei giudei che, festanti, visitano le case del paese.
Non vi racconto altro perché il prezioso volume con le foto proposte dall’estro e dalla professionalità di Giuseppe Grasso va centellinato pagina dopo pagina come un prezioso e raffinato vino d’annata.
La suggestione ricreata attraverso L’OCCHIO DEL GIUDEO per l’occhio del lettore riesce a dare quel senso di benessere e di piacevole euforia per la speranza che ancora esistano e resistano, nel nostro paese, tradizioni che rinforzano i legami con il passato e rendono forte e pulsante il rapporto con il territorio in cui si vive. Dove la globalizzazione imperante non riesce a snaturare quel senso di appartenenza, quel legame originario con la propria terra che ogni uomo sugge insieme al latte materno.
Al di là di tutti gli eminenti studi effettuati e delle implicazioni storiche connesse o ritenute tali, sui motivi che hanno portato in tempi lontanissimi, alla nascita della festa dei giudei personalmente, le foto così vivide e colorate del Grasso mi hanno fatto pensare che in fondo questa festa non sia altro che un modo originale per esorcizzare la morte.
Lo sberleffo, la confusione, il mangiare e il bere oltre i limiti, altro non sono che l’affermazione prepotente della voglia di vivere, un’ode alla vita, un inno alla resurrezione, un voler gridare con tutto il fiato che si ha in gola che la morte è stata vinta. Per alcuni versi una trasposizione tutta Sanfratellana dell’annuncio dell’araldo della monarchia francese: “Il Re è morto. Lunga vita al Re!”.
Intervista a Giuseppe Grasso
Giuseppe Grasso, Pino per gli amici, è nato nel 1965 a Caronia in provincia di Messina. Affascinato dalla fotografia ha avuto la sua prima Pentax P30 a pellicola a diciotto anni. Dopo un iniziale periodo di scatti fatti solo per “immortalare il soggetto” ha iniziato ad interessarsi dell’aspetto tecnico e artistico della fotografia.
Per esigenze personali ha abbandonato per un lungo periodo questa passione finché nel 2002 l’amore a prima vista per una “compattina digitale” riaccende la sua vecchia fiamma: la voglia di tornare a fotografare.
Pur non potendo fare della fotografia il suo lavoro principale ha continuato a coltivarla indirizzando la sua ispirazione creativa verso la fotografia naturalistica e i ritratti.
I suoi “maestri” e punti di riferimento sono il grande fotografo naturalista Juza, al secolo Emanuele Allegri, e il famoso fotoreporter Ivo Saglietti.
Ciao Giuseppe, dopo questa breve presentazione per farti conoscere anche dai lettori di Art Litteram parliamo del tuo volume illustrato L’OCCHIO DEL GIUDEO.
Perché hai deciso di “raccontare visivamente” questa particolare tradizione?
Come ho descritto nel libro, sono andato per la prima volta a vedere questa manifestazione nel 2011, con molto scetticismo in merito (mi riferisco a ciò che si dice dei Giudei e cioè che sono violenti, pericolosi, e amenità simili. Ma non ho visto niente di tutto ciò). Arrivato a San Fratello mi è accaduta una cosa quasi inspiegabile, ho avvertito un brivido che mi ha scosso fortemente. Mi sono reso conto che, quella a cui stavo assistendo, era una manifestazione unica, spettacolare di grande effetto e trasporto. Ho capito che in qualche modo mi apparteneva, pur non essendo sanfratellano. Sono rimasto lì un paio d’ore ma, andando via, mi sono ripromesso di tornarci l’anno dopo per fare qualcosa di più serio. Ed oggi, sono qui a parlarne.
In poche parole quindi, cosa ha significato per te vivere la Festa dei Giudei di Sanfratello?
È stata un’esperienza forte, unica…
Ho avuto modo di conoscere un popolo davvero speciale. Un popolo generoso, affettuoso, cordiale e ospitale. Un popolo che ha fatto di tutto per farmi sentire uno di loro e c’è riuscito in pieno. Un popolo con il quale si è creata una forte intimità. Non so se potrò mai ricambiare tutto ciò…
Usando una tua frase: “una manifestazione da vedere e da sentire più che da raccontare”.
Quale ritieni sia l’aspetto più entusiasmante della festa dei Giudei?
Potrei dire la processione della mattina del venerdì santo che è molto suggestiva o i Giudei che fanno le acrobazie, magari il suono incessante delle trombe, ma alla fine tutto è entusiasmante. A partire dai preparativi nei giorni che precedono l’evento, con le riunioni in campagna e le relative prove (quanto calore in quelle magiche serate!) fino al ritrovarsi nelle loro case per la pausa pranzo, con le mogli o le mamme che preparano da mangiare e servono i Giudei con molta devozione senza escludere la parte propriamente religiosa ossia le tre processioni che fanno parte dei riti che si susseguono tra il Mercoledì e il Venerdì .
Qual è il rapporto con la tua regione o con la tua terra nel momento in cui scatti le tue foto?
Beh! Non ho dubbi: Amore!
Verso la mia terra provo un sentimento e un attaccamento viscerali che mi permettono di eseguire i miei scatti in uno stato quasi di trance, in un’altra dimensione. Il segreto è proprio questo… amore per la propria terra!
Cosa ti piace e cosa non ti piace di come in Italia vengono salvaguardati i nostri antichi retaggi di usi, costumi, cultura e tradizioni?
Dell’Italia in genere non so dire tanto, ma della Sicilia posso affermare che ancora le tradizioni sono conservate e vissute intensamente, con grande trasporto, sentimento e partecipazione. Ne è la prova, per l’appunto, la festa dei Giudei.
Hai avuto difficoltà a preparare il reportage e a selezionare le foto da pubblicare per questo lavoro?
Difficoltà? Non conosco questo termine! Scherzi a parte, nella realizzazione del reportage, oltre alla stanchezza fisica, non ho incontrato altre difficoltà, soprattutto per la grande partecipazione di tutti e grazie a Salvatore Oddo che mi è stato vicino in ogni circostanza. Senza di lui sarebbe risultato tutto più difficoltoso.
È nella scelta delle foto, invece, che ho avuto grande difficoltà, erano tante! E la selezione è stata davvero molto difficile.
Come nasce e si sviluppa la tua ispirazione, in pratica, quando hai deciso di far diventare libro le tue fotografie?
Non ho deciso di far diventare libro le mie fotografie, sono partito da subito con questa intenzione. Era un progetto che pensavo di portare avanti già dall’anno scorso.
In quanto all’ispirazione… beh, diciamo che tutto parte dal momento in cui senti le “farfalle che ti svolazzano nello stomaco”.
Qual è il messaggio emotivo che vuoi far arrivare ai lettori de “L’OCCHIO DEL GIUDEO”?
Il messaggio è chiaro, sfatare tutte le dicerie e i luoghi comuni costruiti intorno a questa tradizione e permettere ai Sanfratellani e ai turisti di vivere la Festa dei Giudei come realmente è: un momento di condivisione collettiva e di vera festa popolare. La Festa dei Giudei, infatti, valorizza i rapporti umani, tanto che in quel periodo il popolo è fortemente unito ed è bello assistere a ciò. Dovrebbe accadere sempre e ad ogni latitudine…
Perché hai scelto per il tuo libro illustrato un titolo così inusuale?
Come ho scritto nel libro, volevo realizzare il progetto di mostrare la Festa dei Giudei da una prospettiva diversa e cioè, non quella del normale spettatore ma quella del Giudeo. Per questo ho cercato di vederla attraverso “L’occhio del Giudeo”, ed è stato proprio quest’occhio a guidarmi nel corso del progetto. Tra tutte le fotografie del libro c’è la figura ricorrente di un giudeo di spalle che osserva: questo è il suo significato.
Hai altri progetti in cantiere?
Qualcuno…
Un sogno ancora chiuso nel cassetto?
Fare un reportage in India, che spero sia il regalo del mio cinquantesimo compleanno…
Augurandoti che il sogno diventi presto realtà ti ringrazio per la squisita collaborazione e ancora congratulazioni per il tuo lavoro.
Cinzia Baldini
Autore: Giuseppe Grasso
Pagg. 80 Euro 39,95
Anche in versione ebook Ipad/iphone
Euro 8,99
Editore: Blurb.com
Genere: Illustrato
Anno 2012