A questo mestiere – come dicevano i miei maestri – bisogna dedicarsi nell’assoluta totalità. Fin da ragazzo disegnavo d’istinto.
Già intorno ai 14 anni, a livello locale, c’era gente che stimava e apprezzava i miei paesaggi.
Ero attratto soprattutto dal mare, dall’isola Salina all’orizzonte, dall’ampio cielo terso e dai tramonti: un mondo osservato, ovviamente, con occhi adolescenti.
A coinvolgermi, però, nel profondo sono stati i complimenti di artisti come Motti, Pizzinato, Mirabella, Zancanaro, che a quei tempi venivano a Capo D’Orlando, dove il comune organizzava ogni anno un premio di pittura (tuttora esistente), invitando personalità di fama e io mi ero intrufolato tra loro, spinto dalla curiosità e ammirazione giovanile.
Fu Giuseppe Motti a far notare agli altri i miei quadri, a dirmi – vista l’età – che avevo un’inclinazione spontanea per il “segno”. Fu di certo allora che, affascinato da quei personaggi illustri, decisi di “abbandonarmi” interamente all’arte. In poche parole, mi sono ritrovato che dipingevo>>.
A parlare così è Tano Santoro, pittore e incisore, nato a Naso (Messina) nel 1940, che ho incontrato di recente nel suo studio di Milano, dove vive e opera, in via Bettini al 6.
All’inizio degli anni Sessanta, molti giovani del Sud, e lui tra questi, come mi racconta, emigrano al Nord in cerca di lavoro e di fortuna. I primi tempi sono irti di difficoltà, ma egli nutre grandi speranze per il suo futuro artistico.
Dopo numerose vicissitudini nel capoluogo lombardo, rintraccia vari artisti: tra essi c’è Giuseppe Motti che, ricordandosi di lui, lo accoglie come allievo e assistente-responsabile del suo atelier.
Trascorre qui un avvincente periodo di esperienze tecniche, praticamente un prezioso apprendistato. Inoltre, entra in contatto con alcuni tra i pittori più noti del tempo e tutti gli sono prodighi di suggerimenti e aiuti, anche perché il ventenne Tano sa farsi ben volere, desideroso com’è di capire e impratichirsi del mestiere e, soprattutto, ascolta con attenzione e umiltà.
Grande importanza per la sua futura attività d’incisore è la frequentazione di Tono Zancanaro,allora uno dei maggiori esponenti della grafica contemporanea, dalle cui lezioni Santoro ha acquisito l’esperienza per creare, con maestria, vigorose acqueforti, puntesecche e acquetinte.
Nel prosieguo degli anni, egli si lega d’amicizia con altri illustri maestri, in particolare con lo scultore Giuseppe Scalvini che non gli risparmia utili consigli: <>, racconta.
Approdato a una perizia stilistica propria e ricca d’esperienze diversificate, negli anni Settanta si rende indipendente e apre uno studio in corso Garibaldi, zona assai frequentata (ancora oggi) da artisti d’ogni genere.
Sono momenti difficili, ma egli è caparbio (, si lascia sfuggire) e prosegue per la sua strada (, aggiunge): un sostegno gli viene da Franco Cafiso, un gallerista che gli colleziona diverse opere.
Si costruisce anche una propria rete di collezionisti privati:<>, precisa.
Nella pittura, come nell’incisione, Santoro approfondisce continuamente il segno portante che gli consente di reinventarsi le forme, senza mai incappare nello scontato semplicistico:commenta, << al contrario, in essa ci devi navigare dentro, entrarci di prepotenza e lasciarti coinvolgere, come in un atto d’amore.
Io lavoro molto sul “segno”, il quale determina e caratterizza il tutto.
Al rapporto segno-colore è legato quindi il mio modo di essere pittore: con esso porto avanti i progetti, per approdare a tele di maggior respiro, cui cerco di infondere un senso d’emozione intensa>>.
La vasta esperienza gli deriva dal costante lavoro, dagli incontri con colleghi e critici (hanno scritto di lui, tra gli altri, Mario De Micheli, Davide Lajolo, Enzo Fagiani, Raffaele De Grada, Dario Micacchi, Lucio Barbera, Giorgio Seveso, Dimitri Plescan, Giuseppe Migneco, Carlo Munari e Gianni Pre direttore di ControCorrente che a Santoro ha dedicato un numero).
Santoro ama molto viaggiare: dice, <
Ho studiato l’arte antica e la moderna, interessandomi di tutti gli autori che ne hanno segnato la storia nel tempo. È da questa lezione a tutto tondo che trae origine la mia continua ricerca pittorica>>.
Santoro prosegue, con animazione: .
Un uomo che vive simili prove esistenziali – e lui è tra questi – deve prima di tutto reiventarsi la vita: <
> afferma,<
Il resto è vano>> e conclude: <>.
Mentre parla, Tano si aggira calmo per lo studio, di tanto in tanto mi mostra qualche quadro di grande formato e sembra tagliare l’aria con un gesto largo delle mani, descrivendomi sulle opere, il perché dello scorrere del colore e delle linee.
Prima di congedarmi, sfoglio alcuni cataloghi delle mostre personali, a partire dal debutto del ’67 a Piacenza, poi negli anni successivi a Milano, Messina, Venezia, Roma, Detroit e via via in numerose altre città italiane e straniere.
Leggo ritagli di giornali, riviste, pubblicazioni diverse: scopro così che la prima esposizione, trent’anni fa, è stata recensita su dal critico Mario De Micheli: .
Ma Tano, vista la mia sorpresa, con la sincerità che gli è congeniale, dice: .
È questa sua schiettezza che lo rende autentico: non occorre, infatti, millantarsi, il tempo è galantuomo e il tempo ha lavorato a favore di Tano Santoro, che oggi è considerato un artista originale, con una posizione di specifico rilievo nella pittura contemporanea.
Nell’assoluta totalità, per dirla con l’espressione dei suoi maestri e a lui tanto cara: un motto che l’ha accompagnato sempre – agli esordi come nella maturità – tela dopo tela, lastra dopo lastra.
Giuseppe Possa