Qui nel corso di un incontro si sono definite alcune strategie per la crescita collettiva e condivisa del paese. Della Brolo che verrà. L’incontro, 90 minuti dedicati alle tesi dei relatori ed altrettanto agli interventi del pubblico con un contraddittorio che non ha disdegnato i toni accesi, alla fine ha “partorito” un progetto-guida condiviso e partecipato. Per tanti l’unico attuabile, che abbia delle prospettive.. insomma l’unica strada percorribile.
Un progetto che si è dato de tempi. Una sorta di cronoprogramma che già l’idea della voglia di fare e che dovrebbe portare alla realizzazione, partendo dal Forum permanente che in questa fase sarà coordinato da Nino Bruno, un giovane imprenditore locale, alla Fondazione partecipata.
Strumento innovativo di gestione con la quale il paese potrà, nella sua collegialità, dare soluzioni ai problemi che l’affliggono, senza delegare nessuno.
I relatori dell’incontro sono stati Ottavio Cipriano, ingegnere, che ha parlato, senza fare sconti a nessuno, del centro storico, dei danni e delle ingiurie che non solo il tempo gli ha arrecato e che ha subìto, ma anche della strada da percorrere per il suo recupero sia in chiave urbanistica che sociale.
Un intervento centrato sull’importanza del recupero del patrimonio edilizio, di quello che è e che è stato la memoria storica del paese;
Basilio Ridolfo, altro tecnico – ingegnere e sindaco, che con un’analisi impietosa – a tratti cruda – ha aperto gli occhi su come da quell’esperienza, ora che si possa – consapevolmente – parlare di revisione del PRG.
Carlos Vinci, imprenditore turistico, ha fatto il punto, ad un anno dall’avvio del progetto “Dimorando” su cosa vuol dire investire nella professionalità, le difficoltà di aggregare, la necessità di superare le diffidenze, fare squadra, su quanto sia difficile penetrare con l’innovazione in mercati e menti ristrette.
Ha detto che se si vuole il sogno diventa realtà bisogna crederci. Ha parlatori di professionalizzazione, mercati nuovi, flussi dentro e fuori la regione. Ha detto che c’è una strada percorribile per dare lavoro ai giovani e occupazione a tanti ed è il turismo.
Nino Bruno, imprenditore, anima e motore di quest’incontro, ha detto di cos’è oggi il commercio brolese, le sue zone grigie, le paure, le incertezze.
Ha chiamato all’unità del settore, ha chiesto attenzioni, ma ha dato, parlando per molti, disponibilità a operare, a dare idee, fornire contributi.
Poi gli interventi finali, tecnici, da analisi, quello di Salvatore Maio, stratega del marketing, uomo della formazione del Club dei Borghi più Belli d’Italia. Suo il dire della necessità della formazione, di fare team, di fare gruppo per e nel territorio.
Infine Simone Paratore, analista, della facolta di Economia e Commercio di Messina, attento osservatore dei flussi turistici, che ha parlato del territorio, delle sue potenziali, di come fare di questo un brand vincente.
La sintesi del pomeriggio “operativo” si trova in un articolo precedente pubblicato (vedi archivio – http://scomunicando.hopto.org/dal-palazzo/brolo-dal-forum-alla-fondazione-partecipata)
Qui diamo spazio invece alla prima relazione ascolta, quella dell’ing. Basilio Ridolfo.
Pubblicheremo anche le altre relazioni per dare un servizo informativo completo e permettere anche a chi non c’era di aver contezza su quanto discusso.
Intervento di Basilio Ridolfo, sindaco di Ficarra, ingegnere.
E’ noto che la pratica corrente nel campo della pianificazione urbanistica è, in larga misura, ricondotta alla sequenza:
“analisi – previsione – formulazione del Piano”.
Essa, sostanzialmente, si basa su due momenti fondamentali: la stima della domanda, intesa come il complesso dei bisogni espressi dalla comunità (sia all’attualità che nella sua evoluzione futura), e la definizione della offerta (interventi programmati nel PRG), il tutto a partire dai vincoli relativi alle risorse disponibili e dagli obiettivi di crescita sociale ed economica che si intendono raggiungere.
ANALISI SOMMARIA STATO di FATTO
Il vigente PRG è stato approvato nell’aprile del 2002.
Presenta i vincoli preordinanti all’espropriazione decaduti a far data dall’aprile 2007.
Ecco allora che si deve porre mano alla revisione generale del PRG, per la quale la tappa fondamentale è l’adozione delle direttive.
La Riunione di questa sera può essere considerata dunque come una delle tappe fondamentali affinché si manifestino i legittimi interessi della popolazione ai fini degli imput programmatici da inserire nelle direttive.
Tab. 1 – Popolazione residente dal 1961 al 2013
Anni |
Abitanti |
Note |
|
1961 |
3184 |
|
|
1971 |
3316 |
|
|
1981 |
4274 |
|
|
1991 |
5072 |
+ 1756 rispetto al 1971 |
88 abitanti/anno |
2001 |
5.495 |
+ 423 rispetto al 2001 |
|
2013 |
5.900 circa |
+ 828 rispetto al 2001 |
38 abitanti/anno negli ultimi 22 anni |
Negli ultimi 12 anni circa Brolo è cresciuta di appena 405 abitanti pari al 7,00% circa. Rispetto al ventennio 1971-91 si è ridotta significativamente la spinta propulsiva sotto il profilo demografico.
Rispetto al 2002 (data di approvazione del PRG vigente), comunque, tanto si è fatto!!!
Brolo è cresciuta in questi ultimi 10 anni in un quadro di sviluppo ordinato ed armonico in tutte le sue componenti
Ripercorrendo i contenuti del vigente PRG è possibile sintetizzare il seguente QUADRO DI UTILIZZAZIONE DELLE ZONE OMOGENEE
Zona A: centro storico: nessuna attività (E’ MANCATA LA REDAZIONE DEL PIANO PARTICOLAREGGIATO)
Zone B di completamento: tutte utilizzate
Zone C di espansione quasi tutte utilizzate (tranne qualche eccezione riferita a qualche sub comporta in via Ferrara soggetto a piano particolareggiato e qualche modesta area vicino a Brolo 2)
Zone Cd: nessuna utilizzazione
Zona Ct: nessuna utilizzazione
Area per la grande distribuzione di vendita: utilizzata
Zone D: solo un sub comparto in via di urbanizzazione – (A BREVE IL BANDO DI ASSEGNAZIONE) + un ulteriore sub-comparto sito in prossimità di Via Ferrara ad iniziativa di privati (Lenzo)
Zone F per la fruizione del mare: non utilizzate;
Zone per attrezzature pubbliche: è stata parzialmente utilizzata quella destinata a casa per anziani (incompleta); è di prossima realizzazione l’area attrezzata per la protezione civile; manca un’area per lo sport e quella per le attrezzature scolastiche
Viabilità:
- Strade Via Principi di Lancia e strade trasversali sia di iniziativa pubblica che privata (GIA’ REALIZZATE E/O DI PROSSIMA CONSEGNA)
- Strada nel quartiere Macello con annesso verde attrezzato (GIA’ REALIZZATA)
- Rotatoria in corrispondenza dello svincolo autostradale
- strada interna che si diparte in prossimità dell’incrocio tra la SS 113 e la strada di accesso all’autostrada sul lato Est e termina sulla Via Ferrara (DI PROSSIMA CONSEGNA);
- nuova arteria viaria, che sviluppandosi sulla sponda Ovest della fiumara di Brolo, collega le zone artigianali esistenti e previste in quelle aree alla SS 113 (DI PROSSIMA CONSEGNA);
- Strade perpendicolari al Lungomare Luigi Rizzo
- è stato, infine, predisposto l’ampliamento di diverse sedi stradali ed il miglioramento di molti degli innesti esistenti (MIGLIORAMENTO DELLA STRADA PER IL CIMITERO);
- sono stati realizzati numerosi parcheggi,
Sono state realizzate aree di verde attrezzato e spazi per le attività sportive (LACCO, STADIO COMUNALE)
FASE DI PROGETTO
Per quanto riguarda la fase progettuale è bene tenere presente questi concetti di carattere generale:
- il PRG deve essere inteso come “progetto complessivo di sviluppo” capace, cioè, di prevedere “interventi coerenti” con una “definita logica di crescita programmata”
- occorre superare la convinzione che l’adozione del PRG sia momento riservato ed opportunità esclusiva per aumentare o diminuire il valore venale di lotti di terreno o di “pezzi” del territorio;
- un PRG non rappresenta un sistema chiuso: un comune, infatti, non è un territorio isolato dal contesto, quantomeno, comprensoriale. Nel caso di Brolo, i beni prodotti, le attività esercitate ed il modello economico di base accomunano il paese a molti dei centri dei Nebrodi posti sulla costa.Tale impostazione, impone, ove possibile, soluzioni urbanistiche concertate con quei comuni che sono in procinto di approntare strumenti urbanistici e coordinate alle scelte di quei comuni che già ne sono dotati. Previsioni di attrezzature di interesse sovracomunale devono essere necessariamente coordinate con quanto realizzato o programmato nei paesi vicini al fine di evitare inutili duplicazioni ed indirizzare verso tutti i centri del comprensorio fasce di utenza interessate alla fruizione dei diversi servizi.
Con riferimento al territorio comunale di Brolo, da un’analisi sommaria del tessuto socio-economico ed ambientale è possibile desumere i seguenti punti di debolezza e di forza.
punti di debolezza:
1 |
limitatezza degli ambiti territoriali suscettivi di interventi edificatori per effetto, in generale, della modesta estensione del territorio comunale e, in particolare, per la presenza di un’orografia tormenta nella parte Sud dello stesso |
2 |
situazione economica generale attestata complessivamente su modesti livelli in quanto fortemente segnata dal rallentamento del settore economico rappresentato dai lavori pubblici (un tempo principale attività di numerosi imprenditori locali e volano per molteplici attività commerciali indotte nel settore edilizio) e dalla crisi sia del settore edilizio e sia del settore manifatturiero (maglierie e camicerie) |
3 |
limitato sviluppo del settore commerciale in genere, storicamente condizionato dalla prevalente presenza di aziende quasi esclusivamente dedite al settore edile; |
4 |
presenza di una offerta turistica di tipo balneare e quindi limitata ai soli mesi di luglio e agosto |
5 |
insufficienza di servizi ed attrezzature collettive esistenti, specie di carattere sovra-comunale |
7 |
Eccessiva offerta di unità residenziali derivanti dalle nuove costruzioni realizzate negli ultimi anni per effetto della quasi completa utilizzazione delle zone di completamento e di espansione previste nel vigente PRG |
punti di forza
1 |
felice posizione geografica del territorio comunale, frontistante le Isole Eolie e baricentrica sia rispetto alla fascia costiera nebroidea compresa tra i paesi di Patti e Sant’Agata che rispetto ai paesi dell’immediata diretta fascia collinare e montana per i quali Brolo si configura, di fatto, come polo di attrazione per alcuni servizi alle famiglie e alle imprese |
2 |
notevole valore ambientale e spiccate vocazioni turistiche del territorio comunale nel suo complesso (sia della fascia costiera che della retrostante fascia collinare) |
3 |
condizioni climatiche miti per buona parte dell’anno |
|
presenza di un centro storico di rilevante interesse storico-culturale e turistico-ambientale, caratterizzato sia da singole emergenze architettoniche e sia da un tessuto urbanistico di chiara origine medioevale; |
4 |
discreto trend di incremento demografico |
5 |
Significativa presenza di operatori economici nei settori artigianale, commerciale e della piccola industria a dimostrazione di una potenziale capacità del contesto economico cittadino |
A partire dal quadro sopra delineato, la fase attuale di verifica del progetto di PRG, con le conseguenti proposte di modifica, deve essere coerente con le linee strategiche di sviluppo corrispondenti agli obiettivi politici ed economico-sociali di seguito riportati.
In tale direzione, prioritarie sono le seguenti indicazioni:
- riconoscere il primato dell’etica pubblica fondata sul “senso del limite” e sul “principio della partecipazione dei cittadini” nelle scelte, adottando processi decisionali inclusivi e informativi per definire un reale progetto pubblico di città (in buona sostanza QUELLO CHE STIAMO COMINCIANDO A FARE DA QUESTA SERA),
- adottare politiche urbanistiche sensibili ai concetti di “sviluppo sostenibile”, assumendo come obiettivo prioritario il miglioramento della qualità della vita e dell’attrattività della città, attraverso la progettazione di spazi e norme d’uso che ne garantiscono il pieno sviluppo, che subordini qualsiasi ipotesi di nuova edificazione ad una rigorosa verifica delle possibilità di riuso del patrimonio esistente. In tale direzione “I comuni a cemento zero” sono una delle realtà più interessanti che animano il dibattito sulle città sostenibili, proponendo coraggiose alternative alle prassi attuali di gestione del territorio passando da una cultura di espansione a una cultura di riqualificazione.
Del resto dire stop al consumo del territorio non significa dire stop all’edilizia.
- Significa, piuttosto, che la priorità può e deve essere data alle operazioni di recupero e manutenzione delle volumetrie esistenti, e laddove troppo oneroso o impossibile, agli interventi di demolizione e ricostruzione.
- prevedere attrezzature e servizi per lo sviluppo di un turismo non solo di tipo stagionale legato alla fruizione del mare, ma anche di tipo culturale collegato allo sfruttamento del patrimonio storico-architettonico comunale e dei centri dei Nebrodi di cui Brolo può diventare un polo di attrazione;
- attivare politiche di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico del centro storico attraverso la valorizzazione del tessuto già costruito e dell’impianto antico, ripristinando l’originaria struttura urbana e offrendo la possibilità di introdurre al suo interno: attività ricettive; piccole attività artigianali e commerciali questi ultimi finalizzati agli obiettivi di utilizzazione turistica del territorio comunale. Il tutto attraverso l’avvio di una fase di pianificazione particolareggiata. Per affrontare comunque in maniera estesa, coordinata ed in tempi ragionevolmente brevi il recupero del patrimonio edilizio da ristrutturare anche a fini turistici, oltre agli aspetti tecnici connessi alla presente fase di pianificazione generale e a quella successiva particolareggiata, bisogna pensare ad operazioni tali superare la logica individualistica della piccola ristrutturazione e nel contempo approntare gli ingenti investimenti necessari adoperando tutti gli strumenti attivabili (società comunali a capitale misto pubblico-privato, patti territoriali, Fondi europei, project financing, ecc.)
- incrementare il livello qualitativo e quantitativo dei servizi sovracomunali sia alle persone che alla produzione con la finalità di far assumere alla città di Brolo funzioni centrali per l’intero comprensorio specie nel momento in cui il ricorso alle nuove logiche di “economie di scala” è sempre più frequente ed obbliga con sempre maggiore frequenza i Comuni alla formazione di “Consorzi” per la gestione di alcuni servizi al fine di raggiungere livelli accettabili di efficienza sia sul lato dei costi e sia su quello delle prestazioni;
- urbanizzare ulteriori comparti dell’area per insediamenti di tipo artigianale e per la piccola e media industria già prevista nella C/da Sirò;
- avviare una seria riflessione sulla necessità di riconfermare, in tutto od in parte, le aree per insediamenti di tipo turistico-alberghiero previste nelle due aree Est ed Ovest del territorio comunale;
- istituzione di uno sportello del piano (ufficio del piano) come imprescindibile momento di approfondimento e perfezionamento delle scelte progettuali che si traducano in una collaborazione effettiva tra amministrazione comunale, forze politiche e sociali ed operatori privati.
La scelta del risparmio del suolo per tutta la politica urbanistica dell’amministrazione deriva dalla costatazione che non è sostenibile un modello di sviluppo che preveda il consumo sistematico del suolo, l’impoverimento delle risorse naturali e la progressiva ed inesorabile urbanizzazione di ampi ambiti territoriali.
In conclusione, desidero congedarmi proponendovi un vecchio proverbio Masai:
Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma ci è stata prestata dai nostri figli.
Che cos’è La Fondazione di Partecipazione
La Fondazione di Partecipazione è un istituto giuridico di diritto privato che costituisce il nuovo modello italiano di gestione di iniziative nel campo culturale e non profit in genere. E’ un istituto senza scopo di lucro, al quale si può aderire apportando denaro, beni materiali o immateriali, professionalità o servizi.
All’interno di questo strumento giuridico è possibile prevedere diverse categorie di fondatori e partecipanti anche successivi alla costituzione, i quali, riuniti nel Collegio dei Partecipanti, nominano i propri rappresentanti negli organi direttivi; ciò permette a chi decide di partecipare alla Fondazione di controllare in via diretta come viene utilizzato il contributo e di collaborare attivamente alla realizzazione degli scopi istituzionali, portando in dote alla fondazione le proprie capacità gestionali. Questa struttura aperta permette da un lato una fattiva collaborazione all’interno dello stesso istituto di soggetti pubblici e privati e dall’altro l’aggregarsi di privati cittadini che diventano ‘soci’ della Fondazione e come tali sono dalla stessa considerati. Questa partecipazione potrebbe essere definita come una sorta di “azionariato diffuso culturale”, che garantisce diritti e stabilità. Pur essendo questo un istituto non commerciale, ad esso possono accostarsi anche organismi lucrativi, in via strumentale ed accessoria agli scopi istituzionali della Fondazione, che resta comunque il centro direzionale delle attività: infatti, la Fondazione di Partecipazione può costituire, anche come socio di maggioranza, società commerciali per svolgere attività in via strumentale a quelle istituzionali; naturalmente gli introiti dell’attività profit dovranno essere oggetto di una gestione separata, con i vantaggi fiscali che ne derivano ex D.Lgs. 460/97 e con la conseguente possibilità di riutilizzare il denaro “risparmiato”, reinvestendolo in opere di valorizzazione del bene culturale o di incremento dell’attività gestita. In sostanza, con questo procedimento un’attività commerciale viene ‘convertita’ in non-profit,perché elevata al livello superiore della promozione dell’attività culturale. Possono essere svolte con la Fondazione di Partecipazione attività di diverso tipo: dalle attività teatrali, alla gestione di musei o biblioteche; dal volontariato alla valorizzazione di beni culturali. Elemento centrale dell’iter costitutivo della Fondazione è la stesura dello Statuto. Esso dispone riguardo il patrimonio, i fini istituzionali, la struttura organizzativa, le categorie di partecipazione, le forme di controllo, lo scioglimento. La Fondazione ha al proprio vertice il Consiglio di Amministrazione, centro decisionale per gli indirizzi da adottare e l’individuazione dei modi per realizzare gli obiettivi statutari, determinati nello stesso Statuto all’atto della costituzione e non modificabili; ad esso si aggiunge un’organo, il Collegio dei Revisori o il Revisore singolo, che ha come scopo il controllo contabile delle attività della Fondazione ed è per ciò composto da contabili di indubbia competenza iscritti nell’albo dei Revisori e di regola nominati dagli Enti Pubblici partecipanti alla Fondazione. Il Presidente avrà la rappresentanza della Fondazione di fronte ai terzi ed eserciterà tutti i poteri necessari per il buon funzionamento dell’Istituto. Oltre a tutto ciò, non bisogna dimenticare che viene sempre garantito il controllo dello Stato sulle attività svolte dalle Persone Giuridiche private o mediante la partecipazione diretta di suoi elementi all’organo decisionale oppure attraverso la vigilanza prevista dall’art. 25 del Codice Civile.
UN’AVVENTURA CHE VIENE DA LONTANO
Molte disposizioni legislative degli ultimi anni si riferiscono a “fondazioni con la partecipazione di soggetti pubblici e privati”. Già nella legge finanziaria per il 2001, almeno quattro articoli vi facevano espresso riferimento. L’articolo 35, comma 15, n.3 della legge finanziaria 2002, espressamente riporta la frase ” fondazioni da essi costituite o partecipate”, riferendosi alle amministrazioni pubbliche La Fondazione di partecipazione è ormai entrata nel linguaggio corrente in molti settori, dai Beni ed Attività Culturali, alla Sanità, all’Assistenza, ma forse non molti sanno che tale espressione solo poco più di cinque anni fa non esisteva. Oggi se ne parla in molte situazioni, a volte anche a sproposito, in quanto nell’immaginario comune essa è ormai vista come valido strumento di gestione di tanti rapporti in cui Pubblico e Privato devono collaborare strutturalmente.
Credo che a molti lettori possa interessare conoscere com’è nata questa figura giuridica che oggi trova applicazione più o meno in tutte le regioni italiane. Spesso capita che le “cose” nuove, siano esse invenzioni o, più semplicemente, innovazioni giuridiche, debbano la loro nascita al Caso. La Fondazione di Partecipazione è senz’altro una di queste. Nessuno avrebbe potuto pensare che una colazione di lavoro nel gennaio 1996, cui partecipava il simpatico Philippe Daverio, allora assessore per la cultura del Comune di Milano, avrebbe cambiato radicalmente la mia vita professionale e, forse, anche la vita culturale del nostro Paese. Quel giorno, terminato di parlare di business, per far trascorrere gli ultimi minuti che avevamo a disposizione, raccontai con entusiasmo a Daverio le mie esperienze degli ultimi tre anni, che mi avevano portato a studiare dapprima i trust di diritto anglosassone e poi, senza alcun interesse professionale ma solo per passione intellettuale, la trasformazione dei musei statali olandesi in fondazioni di diritto privato, avvenuta tra il 1988 ed il 1994. Si scatenò allora la vulcanica fantasia che chi ben conosce Philippe apprezza come una delle sue doti migliori. “ Se io, Philippe Daverio, affermo pubblicamente che anche in Italia si possono realizzare fondazioni all’americana, con migliaia di iscritti ed una struttura simile alle società per azioni, mi dànno del pazzo”, affermò l’assessore, lanciandomi la sfida. “ Se lei, serio professionista, riesce a dimostrare che si può fare, io posso creare un’occasione per permetterle di presentare al pubblico la nuova proposta”. Di solito alle colazioni di lavoro non bevo e mi par proprio di ricordare che anche in quell’occasione non feci eccezione, fatto stà che qualcosa mi indusse ad accettare la sfida. Due mesi dopo, il 25 marzo 1996, Daverio organizzò presso il foyer della Scala un incontro sui problemi della cultura a Milano, dove fui invitato come relatore e presentai l’idea di una fondazione che, anziché essere “scolpita nella roccia” e basata su grandi patrimoni, come quelle cui eravamo abituati, avesse una struttura snella, potesse coinvolgere enti pubblici e privati e singoli cittadini, vedesse rappresentati nei propri organi tutti coloro che, donando denaro o prestazioni, dessero vita e continuità al progetto. Insomma, per dirlo con parole non tecniche, una specie di società per azioni ad azionariato popolare diffuso, senza però azioni e con il divieto di distribuire utili. Giornata straordinaria, quel 25 marzo ! Anzitutto perché era la ricorrenza della “Festa del Perdono”, che ricorda il primo caso noto di fund raising per scopi civili e non religiosi : la costruzione della Ca’ Granda, l’ospedale maggiore di Milano. In secondo luogo perché in sala, tra i molti presenti, si trovava ( forse per volere del Caso?) Andrée Ruth Shammah, apprezzata regista e direttrice del Teatro Franco Parenti, che seguì con molta attenzione la mia relazione e mi venne a trovare nei giorni successivi. Anche Andrée raccolse la sfida di Daverio e rilanciò : “se è vero che è possibile realizzare qualcosa del genere, applichiamolo al mio teatro, che si trova in gravi difficoltà per la sede, da acquisire e ricostruire!”. Daverio si dichiarò disponibile a proporre la partecipazione del Comune, se Andrée avesse trovato un consistente e concreto apporto da parte di privati. Shammah, in ebraico, se non sbaglio significa “portatrice di fiamma” e raramente nome fu più corrispondente al carattere di chi lo porta. Andrée nel giro di pochi mesi riuscì a riunire attorno al progetto del Teatro Franco Parenti un considerevole numero di cittadini e di imprese. Nel frattempo avevo proseguito le mie ricerche ed il lavoro di perfezionamento della struttura giuridica di queste nuove fondazioni, finché mi giunse da Emilia De Biase l’invito a partecipare quale relatore ad una giornata di studio organizzata dai Democratici di Sinistra presso la Triennale di Milano. Mentre mi recavo in taxi all’appuntamento, mi ricordai di un consiglio regalatomi anni prima da un esperto conferenziere: “Se si portano proposte nuove in pubblico, è indispensabile utilizzare definizioni che consentano una comprensione immediata delle differenze con ciò che è già noto”, mi aveva detto costui. Non era facile però, non avendo a disposizione lo strumento di una nuova legge, trovare una definizione che facesse capire che queste erano pur sempre delle fondazioni, ma diverse da quelle note ed utilizzate da secoli! Ricordo che durante il tragitto ( che per mia fortuna fu lungo grazie ad un intasamento del traffico), provai a scrivere sul retro di un foglietto di carta almeno dieci definizioni diverse. Alla fine optai per quella che segnalava immediatamente la differenza fondamentale con le fondazioni tradizionali. In queste ultime, infatti, i donatori restano sempre all’esterno della fondazione; possono donare, ma poi devono lasciare che siano gli amministratori nominati ad occuparsi della gestione e del raggiungimento degli scopi. Nelle nuove fondazioni, invece, chi dona partecipa, entra negli organi e continua a seguire il progetto in prima persona. E’ la partecipazione la vera differenza! Ecco così battezzate le Fondazioni di Partecipazione.
Il Caso continuava a divertirsi . A quell’incontro, infatti, era stato invitato per trarre le conclusioni Oberdan Forlenza, allora consigliere giuridico del Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni Culturali, Walter Veltroni. Notai subito che Forlenza era molto interessato al mio intervento, cosa che mi confermò invitandomi ad andarlo a trovare a Roma al più presto. Seppi così che Forlenza stava lavorando da mesi al progetto di trasformazione della Biennale di Venezia in Società di Cultura, un tipo di fondazione di diritto privato diversa dalle solite. Unimmo i nostri sforzi e riuscimmo a trovare la legittimazione giuridica delle nuove fondazioni nella Relazione al Re dell’articolo 12 del Codice Civile, dove tra l’altro è scritto “….non si poteva non tener conto, nella varietà della vita moderna, di altre creazioni giuridiche non perfettamente aderenti né alle associazioni, né alle fondazioni. Ecco che l’apertura mentale dei giuristi che nel 1938 scrissero il Codice Civile ancora attualmente in vigore, sessant’anni dopo ci consentiva di creare validamente le fondazioni di partecipazione, senza bisogno di un provvedimento legislativo che le legittimasse. Forlenza grazie a ciò scrisse nei due anni successivi decine di decreti legislativi di trasformazione di enti pubblici in fondazioni di questo tipo, seppure per forza di cose con partecipazione limitata ( gli enti lirici, la Biennale, il Centro Nazionale del Teatro, la Triennale di Milano, ecc.) Io, non avendo limiti imposti dalla trasformazione di enti pubblici, ebbi molta più libertà di azione nel creare statuti veramente aperti alla partecipazione generale.
Fu così che il pomeriggio del 7 dicembre 1996 ( altro giorno emblematico per Milano, dedicato a S.Ambrogio ed alla prima della Scala), intorno ad un tavolo si ritrovarono i rappresentanti del Comune di Milano ( che sarebbe stato seguito a breve dalla Provincia e dalla Regione), della Camera di Commercio, della Fiera, della SEA, del Corriere della Sera, Krizia, Pirelli, Skirà e di centinaia di uomini e donne che avevano in comune la passione per il teatro di prosa intelligente. Nasceva in quel giorno di festa, grazie alla passione ed al coraggio di Andrée Ruth Shammah e di Philippe Daverio la prima vera Fondazione di Partecipazione, la”“Pier Lombardo”. Tutte le difficoltà non erano appianate, perché non bastava costituire la fondazione, ma occorreva ottenere il riconoscimento della personalità giuridica da parte della Regione Lombardia. Il compito non fu difficile, perché l’assessorato per la cultura della Regione era allora assegnato ad un uomo dotato di tutte le qualità necessarie : preparazione giuridica, sensibilità, capacità decisionale, intelligenza, coraggio. Quell’uomo era Marzio Tremaglia, prematuramente scomparso nel 2000 a soli 42 anni : voglio qui riconoscere che, senza il suo appoggio convinto, la diffusione delle fondazioni di partecipazione non avrebbe potuto procedere né nella quantità né nei tempi in cui invece si è svolta. Rotto il ghiaccio, la storia di questi anni testimonia la crescita esponenziale delle fondazioni di partecipazione.
Ricorderò qui alcune, piccole o grandi, tutte accomunate da una struttura statutaria che pone al centro coloro che, con denaro, idee, passione, lavoro, dànno vita a progetti che, all’interno della fondazione, gestiscono essi stessi. Dopo la Pier Lombardo, ricorderò la Fondazione Orchestra Guido Cantelli, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”, il Museo Kartell, la Fondazione RCM-Rete Civica di Milano, la Fondazione Civiche Scuole di Milano, la Fondazione Federico Zeri, la Fondazione Italia in Giappone 2001, la Fondazione “Le città dei Teatri” con sede nelle Marche, la Fondazione Lombardia Film Commission, la Fondazione IDEA per la cura della depressione, la Fondazione “La Triennale di Milano”, la Fitzcarraldo di Torino, la “J & J”, la Fondazione Emergency, la Fondazione Italiana Continenza, la Walter Fontana, la Fondazione Idea Vita, costituita da un gruppo di famiglie di portatori di handicap, la Fondazione Pompeo Mariani di Bordighera. Ve ne sono moltissime altre nate in questi ultimi anni, ma voglio chiudere l’elencazione esemplificativa con una delle a me più care, la Fondazione Marzio Tremaglia, che continuerà gli studi e l’opera di Marzio e che ha visto tra i fondatori circa 200 nomi notissimi di uomini politici di tutti gli schieramenti, a cominciare dai segretari dei principali partiti e movimenti politici italiani.
Nate per la cultura, le Fondazioni di Partecipazione hanno trovato un’applicazione che cinque anni fa non avrei potuto immaginare : sono state individuate come strumento per sperimentazioni gestionali nella Sanità. Presto assisteremo alla trasformazione di alcuni grandi ospedali pubblici in fondazioni di questo tipo, per poter permettere a tutti i cittadini di entrare in prima persona nella gestione di un settore che ci tocca tutti da vicino. Ed ancora, esse permettono di accomunare nella gestione dei servizi socio-assistenziali i Comuni, le ASL, i privati cittadini. In fondo, non c’è da stupirsi, perché la Fondazione di Partecipazione, seppure in altra veste e con altri nomi, viene da molto lontano. Le grandi Cattedrali gotiche, infatti, sono nate esattamente come le odierne fondazioni di partecipazione : si riunivano intorno ad un tavolo, convocati dal vescovo o dal cardinale, gli esponenti delle corporazioni, delle famiglie nobili, di quella che oggi chiamiamo la società civile e formulavano un progetto per la costruzione di un luogo che non doveva solo essere di culto, ma servire per l’incontro di tutte le popolazioni del circondario. Ognuno decideva cosa poteva conferire per realizzare il progetto. Quando il piano finanziario era pronto, si dava vita ad un soggetto giuridico secondo il codice canonico ( l’Opera del Duomo, la Fabbrica del Duomo, ecc.), che assegnava gli appalti, curava e controllava la costruzione e la successiva manutenzione e gestione. Il tutto nell’interesse generale. Per quasi duecento anni, le Cattedrali funzionarono così e solo intorno al 1450 vennero da esse estromesse le attività non di culto, ma ormai erano nati i Comuni e la loro funzione poteva tornare nell’alveo della Chiesa. Con le Fondazioni di Partecipazione stiamo oggi costruendo le nuove cattedrali. Forse il Caso conosce la Storia.
Come per tutte le innovazioni, vi è stato chi non ha compreso il nuovo strumento, chi ha avuto dubbi sulla sua legittimità, chi, in una visione critica, ha ritenuto esse non potessero risolvere i problemi per cui erano state da me concepite. Da molte parti ci si è chiesto, da qualche tempo, come mai in Italia si vada diffondendo, con crescita esponenziale, lo strumento della Fondazione in una miriade di casi, che vanno dai Beni Culturali alla Sanità, alla Ricerca Scientifica, all’Assistenza. Alcuni sono fortemente critici, ironizzando sulla “moda”, che spingerebbe a costituire fondazioni anche quando non ve n’è bisogno. Ho letto ancora recentemente commenti scettici sulla possibilità di farle funzionare, di trovare manager capaci di dirigerle, di tenere fuori la “politica” dalla corporate governance delle Fondazioni.
Si è scritto che gli obiettivi di meglio gestire il patrimonio comune ed attirare risorse private non sono stati raggiunti, o quantomeno che i risultati deludono Sono tutte considerazioni perfettamente legittime, ma non necessariamente condivisibili. Per poter fare un discorso serio sul diffondersi delle Fondazioni nel nostro Paese, ritengo necessario affrontare la questione da un altro punto di vista.
E’ necessario porci una domanda precisa : le Fondazioni vengono costituite per far crescere il Paese ovvero sono un segnale che l’Italia sta crescendo? Cercherò di fornire brevemente una risposta e per far ciò vorrei, insieme ai gentili lettori, rivolgere lo sguardo ai Paesi dove il fenomeno si è già diffuso da decenni e, in alcuni casi, da secoli. Se rivolgiamo la nostra attenzione agli Stati Uniti d’America, al Regno Unito ed a ciò che è successo in anni recenti in Germania, in Belgio, in Spagna (solo per fare alcuni esempi), ecco che ci accorgiamo che, con il crescere dell’economia e del benessere (e quindi della ricchezza privata), si è verificato in tutti questi Paesi un arretramento dello Stato dalla gestione delle attività di interesse generale non primarie ed un contemporaneo interessamento delle Imprese e dei Privati a questo settore. In altre parole, si è venuto affermando sempre più il principio di sussidiarietà, addirittura recepito nelle direttive dell’Unione Europea. Gli Stati hanno dichiarato la propria disponibilità a coinvolgere direttamente i loro cittadini nei settori di utilità sociale, passando gradualmente da un atteggiamento di gestione di queste attività ad una funzione di controllo interno. Tale processo è stato ed è accompagnato da un’altra caratteristica: la creazione di ricchezza da parte di soggetti privati porta con sè il riconoscimento del valore che la compagine comunitaria assume nella creazione stessa di quella ricchezza. Questo principio ha innestato, e nel nostro Paese sta innestando, un meccanismo, virtuale e nel contempo concreto, di distribuzione del benessere nei confronti di chi ha bisogno. Mi spiego. Il soddisfacimento di bisogni di concittadini, che possono essere per taluni soggetti anche necessità viva ed acuta (si pensi a tutto il mondo dell’assistenza ai bisognosi), è sempre più sentito come un “dovere” da parte di quei soggetti o compagini private che si trovano a produrre e per certi versi accumulare ricchezza in settori “tecnicamente” di mercato. Questa dinamica fa sì che all’acquisizione di una coscienza individuale si accompagni la condensazione della medesima in progetti, iniziative spontanee, civili, che il mondo istituzionale, adempiendo ad uno dei suoi primari doveri, supporta. E’ fisiologico che possano innestarsi, in tale contesto degli squilibri. E’ un procedimento estremamente fluido quello che si va enucleando nel nostro Paese. Personalmente mi preoccuperei se tali squilibri , in questa fase, non vi fossero: sarebbe la prova provata di un processo concepito, nato e condotto dall’alto e, questo sì, realmente “lottizzato”. Non è così. Proprio perché il settore dei bisogni, culturali, come museali, come alimentari, come estetici, come ricreativi è settore che di volta in volta cerca e trova un proprio equilibrio e tende ad espellere le storture. Pare logico, oltreché realista, concedere tempo al sistema descritto . In Italia abbiamo iniziato da pochi anni e, quindi, vecchie logiche possono (forse) pure essere presenti. Rinunciare alla strada che la società civile sta compiendo e stigmatizzare come inquinante ogni attenzione del Pubblico a tali eventi è quantomeno pretestuoso. Come altrettanto pretestuoso è l’atteggiamento di chi vorrebbe che il settore dell’imprenditoria di utilità sociale “nascesse imparato”. Questo approccio è però uno storico vizietto italico. Esso consiste nella disistima dei progressi che il nostro Paese compie, confortati in ciò dal riferimento (esterofilia di maniera) alle esperienze estere che sono però ormai compiute. Sarebbe come criticare le fondamenta di una villa in costruzione perché quella confinante, costruita dieci anni prima, è più bella. Al contrario occorre guardare oltre i nostri confini, da un lato per cercare di non ripetere eventuali errori e, dall’altro, per agganciarci ai progressi compiuti da altri. Inutile dire, poi, come sia futile polemica ricondurre gli sforzi del Pubblico ad una nuova invadenza della politica nel sociale o come semplice maquillage istituzionale piegato ad interessi privati Non credo che l’ esperienza della Stiftung Preussischer Kulturbesitz di Berlino, della Smithsonian Institution di Washington, del Trust degli Historic Royal Palaces, del Rijksmuseum di Amsterdam o delle Fondazioni Spagnole insegni facilità nel percorso di crescita ed indichi risultati ottenuti ancor prima di nascere. Le istituzioni culturali citate, come molte altre nei più diversi settori, stanno a dimostrare che è possibile “fare” secondo logiche di reale coinvolgimento della collettività, anche nel controllo. Viviamo un momento in cui anche da noi, grazie a rinnovate sensibilità, pubbliche e private, singole e collettive e con il contributo di rinnovate risorse, anch’esse pubbliche e private, è possibile creare un management per il perseguimento di interessi civili; che sia la Fondazione, nelle versioni atipiche che stiamo vedendo,lo strumento privilegiato, altro non dimostra se non la coscienza di come sia necessario ed indispensabile congiungere risorse e idee per il reale perseguimento di concreti ideali, lasciando da parte le utopie e le superficiali frette dettate da tangibile estraneità. Mi sembra, pertanto, di poter concludere che il proliferare delle fondazioni non possa essere interpretato che come segnale di crescita del nostro Paese. Se saremo capaci di concepirle, strutturarle e gestirle bene, se abbandoneremo pregiudizi e posizioni polemiche, esse potranno certamente diventare anche strumenti per una futura ulteriore crescita. Non è un caso se nella Legge Finanziaria 2002, come sopra ricordato, le Amministrazioni Pubbliche sono autorizzate ad affidare la gestione dei servizi culturali e del tempo libero a fondazioni dalle stesse partecipate.
Non è un caso se il Ministero BAC ha voluto con regolamento 27 novembre 2001 disciplinare le Fondazioni alle quali affidare la gestione, ai fini della valorizzazione, del Patrimonio Culturale. Ciò che è importante, è che, nella nuova ottica del Ministero, siano scomparse le diffidenze ed i pregiudizi nei confronti del Privato. Il Ministero, gli enti territoriali, le imprese ed i privati cittadini danno vita così a nuovi enti che, nel rispetto del principio di non distribuzione di utlili, operano, progettano, realizzano nel campo della gestione e della valorizzazione dei Beni Culturali. Sono delle vere e proprie Imprese Culturali, che uniscono risorse e capacità pubbliche e private nell’interesse generale. Centinaia ne sono già nate e centinaia ne nasceranno. Sotto la guida e la vigilanza del Ministero BAC, il nostro Patrimonio storico ed artistico viene affidato a buone mani Non è un caso se si inizia a sperimentare la trasformazione degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico in Fondazioni di Partecipazione. La cura della Salute, così, rientra, come la Cultura, nell’alveo del Pubblico inteso nel vero senso della parola. Con la Fondazione di Partecipazione tutte le componenti della società collaborano strutturalmente, senza più deleghe in bianco da parte dei cittadini ai pubblici amministratori. Valide ragioni economiche sono alla base di tutto ciò, affrontando la questione dal punto di vista del Pubblico in senso stretto : lo Stato del dopo Maastricht deve, in virtù del Patto di Stabilità, diventare uno Stato “leggero”, che non gestisce ma coordina e garantisce. La vittoria del principio di sussidiarietà è stata determinata dalle ferree leggi dell’economia.
Enrico Bellezza
tratto da http://www.studiobellezza.it/non-profit/fondazione-di-partecipazione/119-che-cose-la-fondazione-di-partecipazione.html