Il musicista e compositore serbo Goran Bregovic ha presentato nella cornice del Teatro di Tindari, inserito nel cartellone del Circuito del Mito, il progetto inedito Champagne for Gypsies, che darà vita a un nuovo album in uscita a fine estate con numerose speciali collaborazioni tra cui quella con i Gipsy King e con i rappresentanti delle comunità gitane di tutti i Paesi in cui è stato concepito l’album.
Insieme con la Wedding and Funeral Band, l’artista ha offerto al pubblico un mix adrenalinico di folk balcanico ed elettronica, temi sacri e ritmi sfrenati.
Ovviamente Teatro stracolmo di gente e l’entusiasmo dei giovani che hanno “forzato” – si fa per dire – il filtro delle forze dell’ordine straripando nella cavea e ballando, sotto il palco, per tutta la durata del concerto..ha trasformato la “festa” in ” più festa”.
Tra gli ospiti, a fare gli onori di casa Mauro Aquino, il neo sindaco di Patti, anche l’assessore al turismo della regione siciliana Daniele Tranchida.
Lui e la band:
Goran Bregovic chitarra, sintetizzatore e voce
Band Gitana di Fiati:
Bokan Stankovic prima tromba
Dalibor Lukic seconda tromba
Stojan Dimov sax e clarinetto
Aleksandar Rajkovic primo trombone e glockenspiel
Milos Mihajlovic secondo trombone
Muharem Redžepi goc, grancassa tradizionale e voce
Voci Bulgare:
Ludmila Radkova Trajkova e Daniela Radkova Aleksandrova
Intervista di Claudio Fabretti
Mescola folk balcanico ed elettronica, ritmi sfrenati e temi sacri. Ha sfondato in Europa con le colonne sonore dei film di Emir Kusturica, dal “Tempo dei Gitani” a “Underground”. Ma ha cominciato con il rock: “Era un modo per esprimere il malcontento senza finire in galera…”. Goran Bregovic si racconta. Dagli esordi nei club di Sarajevo alla fuga in Francia. E spiega perche’ non può tornare nella sua Bosnia
“La mia musica? E’ una miscela, nasce dalla frontiera balcanica, una terra misteriosa dove si incrociano tre culture: ortodossa, cattolica e musulmana”. Parla un italiano disinvolto Goran Bregovic (1950, Sarajevo), che si presenta all’appuntamento senza formalità: costume e asciugamano dopo un bagno in piscina, occhiali da sole. Ha l’aria di un tipo tranquillo, sicuro di se’.
Le sue composizioni, mix di folk balcanico e raffinata tecnologia, hanno contagiato l’Europa. Anche grazie al fortunato sodalizio con Emir Kusturica, suo concittadino di Sarajevo e regista di capolavori come “Il tempo dei gitani” e “Underground”. Bregovic ha firmato le colonne sonore di molti dei suoi film, compreso Arizona Dream, il “sogno americano” del regista bosniaco, con star come Jerry Lewis e Johnny Depp, e una canzone – “Tv Screen” – interpretata dall'”iguana” Iggy Pop, ex-Stooges.
“Era appena scoppiata la guerra nell’ex-Jugoslavia – ricorda Bergovic -. Io ed Emir siamo fuggiti in America a girare il film. Poi ci siamo ritrovati a Parigi, insieme a tanti amici di Sarajevo”.
Già, gli amici: gli intellettuali e gli artisti di quella Bosnia colta e pacifica spazzata via dalle granate; i fedelissimi dei club dove Kusturica proiettava i suoi primi film e suonava il basso in un gruppo punk. Un repertorio simile a quello del giovane Goran, rockstar con una band sua già all’eta’ di sedici anni, nonche’ studente di filosofia. Sarajevo rock “Il rock era la sola possibilita’ di esprimere il nostro malcontento senza rischiare di finire in galera, o quasi…”.
Ma chiariamo una cosa: io ed Emir non abbiamo mai suonato insieme; lui era un dilettante, io un musicista, precisa con tono neanche troppo scherzosamente strafottente. Evidentemente tra i due qualcosa si e’ guastato. Tanto che nell’ultimo film di Kusturica “Gatto Nero Gatto Bianco” non ci sono piu’ le musiche di Bregovic, che nel frattempo ha inciso la colonna sonora di Train de Vie, il piccolo gioiello del regista franco-romeno Radu Milhaileanu. Alla base della “lite” – pare – il risentimento di Kusturica per il tipo di utilizzazione delle musiche dei suoi film nei concerti di Bregovic. Ma su questo punto il musicista bosniaco preferisce glissare: “Io ed Emir abbiamo preso strade diverse, tutto qua”.
Ma torniamo alla Sarajevo “underground” pre-bellica.
E’ qui che il primo Bregovic infiamma i giovani con gruppi rock come Bestie, Kodeks, Jutro e soprattutto White Button (Bijelo Dugme), la formazione che lo accompagnera’ per quindici.Poi, stanco del ruolo di idolo dei teen-ager, decide di cambiare rotta. Il tempo dei gitani, memorabile affresco del popolo rom in bilico tra realismo e sfrenata fantasia, segna l’inizio della collaborazione con Kusturica. Ma presto sulla Jugoslavia orfana di Tito cominceranno a soffiare venti di guerra.
E per l’arte non ci sara’ piu’ spazio. Goran racconta la storia con l’apparente distacco di chi ha rotto con le proprie radici.
Ma c’è una vena di nostalgia nella sua voce quando rievoca la Sarajevo di quei giorni, cosi’ lontana dalla città-fantasma del dopo-guerra. “Non ci abito piu’.
Non è “pratica”, manca spesso l’elettricità e non posso usare i miei computer, mancano le condizioni minime per lavorare. Ora vivo tra Parigi e Belgrado, ma sono quasi sempre in tournée”. Guerra e musica Di madre serba e padre croato, come tanti cittadini bosniaci, Bregovic è quasi un simbolo della Bosnia multietnica.
Eppure anche lui, oggi, è rassegnato: “E’ molto romantico pensare che noi artisti possiamo cambiare le cose. Purtroppo, però, la storia della Jugoslavia la fanno i soldati, non i musicisti. Il problema è la mancanza di cultura democratica. Durante il comunismo era imposta dall’alto, dopo non si è sviluppata.
In Francia la cosa peggiore immaginabile è che la destra moderata si allei con i fascisti; da noi i politici sono pronti a far uccidere centomila persone pur di imporre le loro idee”. Più facile, invece, cambiare la storia della musica. Magari lanciando uno stile nuovo e facendo conoscere una cultura che molti – come ammette con un sorriso – “ricordano solo per ‘Il ponte sulla Drina’ di Ivo Andric, premio Nobel per la Letteratura”.
E allora spazio alla musica: sonorità fragorose, selvagge, un po’ alticce, affidate agli ottoni, alternate ad altre solenni, toccanti, come il tema del “Tempo dei gitani”, Ederlezi, che dà anche il titolo al cd-antologia delle colonne sonore di Bregovic. E’ una mistura scoppiettante, che fonde Bartok e il jazz, tanghi e ritmi folk slavi, suggestioni turche e vocalità bulgara, polifonie sacre ortodosse e moderni battiti pop.
Si puo’ definire “world music”? Forse. Di sicuro, per questo gitano cosmopolita, il concetto di musica “etnico-nazionale”, forzatamente in voga oggi nei paesi dell’ex-Jugoslavia, suona ridicolo: E’ assurdo cercare differenze in una lingua, il serbo-croato, che è sempre stata una sola, o perfino nella musica. I nostri popoli sno sempre stati molto vicini per cultura e tradizioni. Ma oggi, da piu’ parti, si cerca di riscrivere la Storia”.
Lo spettacolo dei suoi concerti non nasce da effetti speciali, ma dai musicisti presenti sul palco.
Da un lato l’austera Orchestra di Belgrado, in bianco e nero; dall’altro le Voci Bulgare, quattro vocalist straordinarie in variopinti costumi folkloristici; in mezzo Bregovic, abiti bianchi e chitarra elettrica in mano in braccio, e il massiccio direttore-percussionista, Ognjen Radivojevic; dietro di loro la “Wedding & Funerals Band”, fanfara di ottoni che aggiorna la tradzione dei complessi ottomani e rom. “Loro suonano davvero ai matrimoni e ai funerali.
E’ la tradizione ortodossa: dopo il rito funebre si mangia, si beve e per un po’ il dolore lascia spazio alla musica”.
Impossibile, in effetti, resistere alla malia di questo ubriacante cocktail balcanico. Così ogni volta, anche in sedi austere, come l’Accademia di Santa Cecilia di Roma dove Bregovic si è esibito piu’ volte, si rinnova il rituale: il pubblico abbandona i seggiolini e si lascia andare a danze vorticose sotto il palco.
Tutti insieme, giovani, anziani, bambini, irretiti dai ritmi di “Kalasnjikov” e “Mesecina”, i pezzi trainanti della colonna sonora di Underground.
“Propaganda serba” era stato bollato il film dai suoi detrattori. “Ci vogliono occhiali speciali per vederla – ribatte Bregovic – e poi non credo proprio che i serbi vorrebbero essere ritratti in quel modo. E’ solo una storia d’amore tra tre persone, durante un pezzo di storia del nostro paese”.
Ma in realta’ nel film – Palma d’oro a Cannes – c’era qualcosa di piu’: “Underground”, la cantina dove i protagonisti venivano tenuti all’oscuro delle vicende reali, era una metafora tragicomica del dramma jugoslavo, del regime e dei terribili segreti della guerra.
Dall’inizio del conflitto in Bosnia, Bregovic ha scritto molte colonne sonore, tra cui anche quella della Regina Margot di Patrice Chereau. Ora, pero’, dice di non avere piu’ bisogno di “fare soldi”. Lo ammette senza falsi pudori: “In Jugoslavia, per ogni disco, dovevi pagare il novanta per cento di tasse.
Ti passava la voglia di comporre. Solo da quando sono andato all’estero ho cominciato a lavorare sul serio”. Se in paesi come Francia e Grecia e’ da tempo una star, in Italia, e’ stato scoperto piu’ tardi. “A diciotto anni – ricorda – gia’ suonavo a Ischia e Capri, ma la gente era meno curiosa.
Oggi c’e’ piu’ interesse per queste sonorita’. Certo, quando ho saputo di aver venduto centomila copie in Francia mi sono chiesto: ‘Ma chi sono questi, perche’ comprano i miei dischi?'”. Oggi anche in Italia Bregovic e’ diventato una star. E sono sembrate persino eccessive alcune sue performance, come il duetto in tv con Adriano Celentano in “Ventiquattromila baci”, classico del “Molleggiato” e – incredibile a dirsi – canzone italiana piu’ popolare in Jugoslavia (vedere per credere “Ti ricordi di Dolly Bell” di Emir Kusturica).
E Bregovic, che di recente ha inciso un nuovo disco insieme alla cantante polacca Kayah (sconosciuta in Occidente, ma capace di vendere milioni di dischi nel suo Paese) e’ salito addirittura sul palco del Teatro Ariston di Sanremo durante una edizione del Festival, prendendo parte anche alla “giuria di qualita’”.
Tales And Songs From Weddings And Funerals del 2002 riporta Bregovic alle sue caratteristiche sonorità. E’ un disco che, come scrive il critico Riccardo Bertoncelli, “salta in alto nei cieli della fantasia e del gioco ma sa sporcarsi anche le mani con le pene della vita; che diverte e commuove, che sogna e si strugge in un mutevole paesaggio sonoro di fanfare gitane e trattamenti elettronici, di fiati dolenti e bicchieri usati come percussioni, e una sveglia come metronomo”.
Otto sono le canzoni, sette i racconti, strettamente legati tra humour e malinconia.
Tra i brani anche l’esilarante “Polizia molto arabbiata” (con tanto di errore grammaticale), che vuole denunciare le vessazioni degli immigrati slavi in Italia. Ottimo l’apporto alle voci di Goran Demirovic e di Vaska Jankovska, ma a dare colore e anima al disco è la solita, straripante “orchestra dei matrimoni e dei funerali”. Ma nonostante i buoni affari legati alla sua inarrestabile popolarita’, Bregovic annuncia di voler lasciare spazio alla sperimentazione: “Ora non mi interessa la carriera, ma solo la musica.
Mi diverto a provare di tutto, dalle canzoni per bambini alle sinfonie piu’ complesse”. Un punto, per il musicista bosniaco, resta fermo: “E’ sempre meglio una banda gitana, magari stonata, di una ‘Madame Butterfly’ imbalsamata dalla routine”.
Non si stancherà mai di esplorare le frontiere della musica Goran Bregovic. Ma nel cuore gli restera’ sempre lo spirito libero e selvaggio della frontiera balcanica.