di Franco Ortolani e Angelo Spizuoco
Premessa
Intorno alle 19,45 del 1 ottobre 2009 l’abitato di Scaletta Zanclea Marina, ubicato nell’area epicentrale degli effetti al suolo provocati dall’evento piovoso del 1 ottobre 2009 (figura 1), è stato improvvisamente investito da una potente e distruttiva colata fangoso-detritica evolutasi nella valle del Torrente Racinazzo (figura 2).
Figura 1: Area epicentrale degli effetti al suolo causati dall’evento piovoso del 1 ottobre 2009. Nessun pluviografo ufficiale era installato nell’area.
Il torrente drena un piccolo bacino imbrifero di circa 150 ettari caratterizzato da ripidi versanti impostati prevalentemente su rocce metamorfiche ricoperte da suolo e da una coltre di alterazione di spessore variabile da qualche decimetro ad alcuni metri. Il fondo valle è privo di pianura alluvionale e l’alveo torrentizio è profondamente incassato nelle rocce del substrato e caratterizzato da una pendenza variabile da oltre il 40% a circa il 10%.
In base agli effetti sui manufatti e al considerevole volume e spessore (fino a 3 metri) di detriti (inglobanti molti tronchi d’albero d’alto fusto) accumulati nell’abitato è stato subito evidenziato che esso non può essere stato devastato da una piena idrica del torrente ma da una colata rapida fangoso-detritica inglobante moltissimi massi di roccia di dimensioni variabili da qualche decimetro cubo a molti metri cubi.
La portata massima del veloce flusso che ha investito l’abitato di Scaletta Zanclea Marina è stata stimata di molte centinaia di mc/secondo, di gran lunga superiore a quella di una portata di piena idrica che può essere alimentata dal piccolo bacino imbrifero (Ortolani, 10 ottobre 2009).
Dal momento che la corretta comprensione del fenomeno che ha devastato l’abitato e provocato numerose vittime ha un’importanza strategica per l’individuazione degli interventi che possano garantire la sicurezza dei cittadini, sono stati effettuati rilievi geoambientali diretti che consentono di testimoniare che l’evento disastroso è da individuare inequivocabilmente in una colata fangoso-detritica di enorme potenza.
Continuare a ritenere che il disastro sia stato provocato da una piena idrica porterebbe ad eseguire interventi di sistemazione idraulica non adeguati che non metterebbero in sicurezza l’area da eventuali eventi futuri di simile potenza.
L’abitato di Scaletta Zanclea Marina è giàstato interessato da fenomeni simili nell’ottobre 2007 quando sia il Torrente Racinazzo che il Torrente Divieto provocarono seri danni accumulando considerevoli volumi di detriti nelle vie cittadine e danneggiando autoveicoli e abitazioni. Numerose colate di fango si innescarono lungo i versanti ripidi.
Figura 2: Ubicazione dell’alveo del T. Racinazzo percorso dalla colata di fango e detriti. a= colate di fango che hanno denudato i versanti accumulando i detriti sul fondo valle; b= parte bassa meandrifome dell’alveo percorsa dalla colata fangoso-detritica; c= area interessata dal transito e accumulo dei detriti della colata incanalatasi nel T. Racinazzo; d= area interessata dal transito e accumulo dei detriti trasportati dal T. Divieto; e= alveo del T. Divieto percorso dalla piena idrica; VPC= versanti percorsi dal fuoco durante il 2006, anno di rilevamento della foto aerea tratta dal Portale Cartografico Nazionale del Ministero dell’Ambiente; il cerchio rosso indica il luogo in cui la colata ha formato una cascata di fango.
Figura 3: Esempi di colate di fango che hanno denudato i versanti nella parte inferiore del bacino del T. Racinazzo.
Figura 4: A e B= alcuni esempi delle molte decine di colate di fango che hanno denudato i versanti nella parte superiore del bacino del T. Racinazzo. C e D= traccia del transito della colata di fango e detriti nella parte superiore (C) e inferiore (D) del bacino. Foto Zancle.it
Figura 5: Parte terminale del T. Racinazzo, a monte del viadotto dell’Autostrada, dove il flusso ha originato una cascata di fango e inglobato massi di roccia di dimensioni variabili da qualche decimetro cubo ad oltre 20 metri cubi.
Risultati dei rilievi diretti
I versanti della valle del T. Racinazzo sono stati denudati da molte decine di colate di fango (figure 3 e 4) che hanno mobilizzato migliaia di metri cubi di suolo, e frammenti rocciosi della parte alterata del substrato metamorfico, saturi e/o molto imbibiti d’acqua precipitata in abbondanza giàdurante il mese di settembre e durante il 1 ottobre 2009. Le evidenze raccolte sul terreno indicano che i terreni coinvolti, subito dopo il primo distacco, si sono liquefatti precipitando sul fondo valle, direttamente nell’alveo torrentizio.
Figura 6: Ricostruzione schematica della morfologia della colata fangoso-detritica a monte dell’Autostrada Messina-Catania. A= fronte della colata; A1= parte basale inglobante massi di roccia e detriti; A2= parte superiore prevalentemente fangosa; B= parte centrale della colata; B1= parte basale inglobante massi di roccia e detriti; B2= parte superiore prevalentemente fangosa; C= parte terminale della colata costituita in prevalenza da acqua fangosa.
Figura 7: Ricostruzione schematica della morfologia della colata fangoso-detritica nella zona d’impatto con i piloni dell’Autostrada Messina-Catania.
Figura 8: Ricostruzione schematica della morfologia della colata fangoso-detritica in base alle impronte lasciate sui piloni dell’autostrada.
Figura 9: Esempio degli enormi massi di rocce inglobati e trasportati dalla colata fangosa detritica deposti sotto ai piloni dell’autostrada Messina Catania. Foto Zancle.it
La morfologia del bacino del T. Racinazzo, stretta (larghezza media circa 500 m) e lunga (circa 2200 m) con versanti ripidi e l’alveo incastrato nel substrato senza pianura alluvionale (figure 4 e 5) ha fatto si che le colate di fango hanno determinato l’accumulo del detrito di frana direttamente nel corso torrentizio. Le varie migliaia di metri cubi di fango e detriti riforniti dai ripidi versanti nella parte alta del bacino imbrifero hanno contribuito ad alimentare il flusso fangoso-detritico che si è incanalato nell’alveo del T. Racinazzo ingrossandosi progressivamente e aumentando di velocità(figure 4 e 5) .
Figura 10: Massi di roccia di grandi dimensioni, inglobati nella colata fangoso-detritica, che hanno colpito o sfiorato i piloni dell’autostrada. Il masso di maggiori dimensioni è di circa 25 mc.
Figura 11: Ricostruzione del tracciato, in base all’impronta lasciata lungo i versanti, del flusso fangosodetritico nella parte terminale dell’alveo del T. Racinazzo (a). Sono evidenti le esondazioni del flusso (b) in corrispondenza delle anse del torrente che hanno provocato l’impatto del fronte della colata perpendicolarmente alla massima dimensione del pilone dell’Autostrada Messina-Catania. In giallo trasparente (c) è evidenziata l’area interessata dal transito e accumulo del detrito.
Quando il flusso fangoso-detritico è giunto all’altezza del viadotto, a monte dell’Autostrada, rappresentato con il cerchio rosso nella figura 2, era giàcaratterizzato da un volume di diverse migliaia di metri cubi e notevole velocitàtale da dare origine ad una vera e propria cascata di fango che è ricaduta nella valle sottostante provocando l’inglobamento di vari massi di grandi dimensioni.
Il flusso ha così percorso la parte terminale della valle (figure 5 e 6) ingrossandosi ulteriormente mediante l’inglobamento dei detriti, terreno e vegetazione che ricoprivano i versanti (figure 7, 8, 9 e 10) alimentati dalle colate e di quelli giàaccumulati in alveo.
Durante tale tragitto, caratterizzato da meandri incastrati, il flusso veloce ha tracciato varie curve paraboliche uscendo e rientrando in alveo fino ad investire i piloni dell’Autostrada Messina-Catania (figure 7, 8 e 9). La curva parabolica descritta in destra orografica dal velocissimo flusso poco a monte dell’autostrada ha costretto la colata a rientrare in alveo perpendicolarmente all’asta torrentizia investendo i piloni lateralmente (figure 11 e 12). Uno dei massi inglobati nella colata ha colpito violentemente la parete destra orografica di un pilone della corsia sud provocando uno squarcio di circa 90 cm di diametro all’altezza di circa 1,30 m dal suolo (figure 8 e 9).
La gravitàdella lesione del pilone, tenendo conto dell’ubicazione del foro nei riguardi dell’elemento strutturale a sezione trasversale cava monoconnessa (essendo prossimo alla sezione critica di base tesa a far fronte al momento resistente di progetto) ed anche della classificazione sismica attribuita all’area di specifico interesse notoriamente dichiarata zona di elevata sismicità, non era stata colta dai responsabili della sicurezza dell’Autostrada fino a quando, dopo la segnalazione degli scriventi, è stato interdetto il traffico nella carreggiata sud. La velocitàcon la quale il masso ha colpito il pilone al momento dell’impatto, trascurando l’attrito fra fluido e corpo, sulla base dell’esame del danno al pilone in relazione alla forza d’impatto che ha prodotto lo sfondamento della parete del pilone, è stata stimata dagli scriventi in circa 90 km/h ipotizzando che il danno sia stato prodotto da un masso di dimensioni pari ad un metro cubo.
La particolare traiettoria che può essere seguita dalle veloci colate in valli incassate meandriformi pone la necessitàdi effettuare adeguate e attente verifiche per la sicurezza dei piloni realizzati in alvei che possono essere percorsi da colate fangoso-detritiche inglobanti massi di grandi dimensioni.
All’impatto frontale con il pilone danneggiato la colata si è sollevata raggiungendo una quota di circa 12 m dalla base del pilone (figure 8 e 9) ancora riconoscibile per la presenza di fango; sul lato sottocorrente il fango ha raggiunto una quota di 2-3 m. Gli indizi lasciati dal passaggio della colata consentono di ricostruire una parte inferiore del flusso che trasportava molti massi anche di grandi dimensioni (figura 9) da una parte superiore fangosa. Dopo il transito della parte fangoso-detritica è avvenuto il “lavaggio†del fango che incrostava il pilone dalla parte terminale della colata più acquosa (figura 8). Situazioni simili sono state riconosciute anche nelle zone interessate dalle colate di fango in Campania.
Figura 12: Ricostruzione schematica del percorso della colata fangoso-detritica nella parte terminale del Torrente Racinazzo a monte e a valle dell’Autostrada; l’area delimitata con il rosso trasparente è stata interessata dal transito della colata e da successivo accumulo di detriti. a= percorso della colata lungo l’alveo incassato dove ha effettuato varie curve paraboliche fino ad investire i piloni dell’Autostrada perpendicolarmente alla loro massima dimensione (b); c1 e c2 rispettivamente flusso destro e sinistro orografico nei quali si è suddivisa la colata che ha trascinato vari massi di roccia fino al mare che hanno tranciato parte delle strutture portanti in calcestruzzo armato di un palazzo (d). Le foto a destra rappresentano, dall’alto verso il basso, il buco nel pilone dell’Autostrada, il grande masso di circa 25 mc, un pilastro dell’edificio danneggiato dai massi inglobati nella colata.
In base ai dati evidenti lungo il Torrente Racinazzo e a quelli riconosciuti nelle aree devastate dalle colate di fango in Campania è stato possibile ricostruire schematicamente la morfologia e stratigrafia del flusso durante lo scorrimento.
In base a quanto rappresentato nelle figure 3, 4, 5 e 6 è evidente che la colata si è costruita ed evoluta nella parte medio-alta del bacino del T. Racinazzo; quando ha raggiunto il viadotto stradale a monte dell’Autostrada (figura 2) il flusso era giàcaratterizzato da un consistente volume (migliaia di mc) e da notevole velocitàin quanto ha originato una cascata di fango che si è sparso a ventaglio ricadendo nella sottostante valle. Fenomeni simili sono avvenuti nei valloni interessati da alcune colate di fango a monte di Sarno nel maggio 1998. Certamente dalla cascata fino al mare il flusso non si è mai fermato ma ha inglobato moltissimi massi di rocce metamorfiche. L’impronta lasciata dal passaggio del flusso consente di ricostruire l’altezza della parte frontale della colata stimata in 8-10 m (figure 6 e 7) a monte dell’Autostrada.
La parte basale del flusso, fino a 2 m circa d’altezza, deve essere stata particolarmente ricca di massi. La parte sommitale e la parte centrale, che seguiva il fronte del flusso, deve essere stata prevalentemente fangosa. La parte terminale della colata doveva essere rappresentata da un fluido fangoso molto acquoso.
La velocitàdella colata nella zona d’impatto con i piloni dell’autostrada può essere stimata di varie decine di km/h e la portata massima della parte frontale è valutata tra 1000 e 2000 mc/sec.
Il volume del flusso è aumentato fino al viadotto autostradale in quanto nell’area valliva attraversata si ha solo l’evidenza dell’inglobamento di detriti, suolo, vegetazione e manufatti. L’accumulo dei detriti è avvenuto a valle dell’Autostrada dove la colata si è espansa nella pianura alluvionale caratterizzata da un’inclinazione nettamente inferiore a quella della valle (figure 11, 12 e 13). La parte terminale dell’alveo del T. Racinazzo in corrispondenza dell’abitato, con una sezione variabile ma comunque inferiore a 40-50 metri quadri, era stata “intubata†negli anni precedenti per ricavare parcheggi. Il flusso fangoso-detritico, quando è giunto a ridosso dell’abitato, scorreva fuori alveo occupando una sezione di almeno 150 -170 metri quadri (figure 11, 12 e 13). I detriti hanno subito intasato la sezione torrentizia per cui il flusso è defluito al di sopra del piano campagna urbanizzato. Il rallentamento del flusso ha determinato l’accumulo di grandi volumi di detrito e grossi massi costituenti la parte frontale della colata; la parte mediana e terminale del flusso ha proseguito la sua corsa verso mare occupando anche le strade laterali come la Strada Statale colmandola con 2-3 metri di fango, detriti, tronchi d’albero, carcasse di autoveicoli ecc., che hanno invaso anche i locali siti al piano terra (figura 13). Vari edifici sono stati distrutti e danneggiati dal fronte della colata che ha raggiunto il mare trascinando molti grossi massi che hanno danneggiato le strutture portanti in calcestruzzo armato di un edificio costruito in sinistra orografica (figure 13, 14 e 15).
Figura 13: ricostruzione degli effetti provocati dalla colata tra l’Autostrada e il mare nell’area abitata di Scaletta Zanclea Marina. tra= area interessata dal transito veloce e dal successivo accumulo di detriti comprendenti massi di grandi dimensioni; frc= ricostruzione della morfologia del fronte della colata (alta circa 4 m) mentre transitava tra gli edifici inglobando grossi massi di roccia (in verde) che hanno lesionato le strutture portanti dell’edificio; ctr= conoide di detriti accumulati dal Torrente Racinazzo dopo il transito della colata che ha trasportato la maggior parte dei detriti in mare.
Figura 14: Ricostruzione dell’altezza e della potenza della colata a poche decine di metri dalla spiaggia. Sono evidenti i danni arrecati dai grossi massi inglobati nella colata alle strutture portanti in c.a. dell’edificio multipiano. Foto Zancle.it.
Figura 15: Ricostruzione dell’altezza e della potenza della colata ed evidenziazione del notevole volume di fango deposto a poche decine di metri dalla spiaggia. Foto Zancle.it
Figura 16: La foto in alto evidenzia l’impatto determinato dall’evento alluvionale dell’ottobre 2007, simile ma non così disastroso come l’evento del 1 ottobre 2009 (foto in basso), nell’area attraversata dall’alveo del T. Racinazzo dove è ubicato l’edificio indicato con la lettera A. Foto Zancle.it
In base alle impronte del fango e agli oggetti deposti ai primi piani di alcune abitazioni (anche una carcassa d’auto) è possibile ricostruire l’altezza del flusso, circa 4 m, mentre transitava tra gli edifici costruiti sul mare (figure 14, 15 e 16). Molti grossi massi sono stati deposti a qualche decina di metri dal mare a testimonianza che la colata doveva ancora avere una notevole energia. Queste evidenze indicano che la maggior parte del volume del detrito prevalentemente fangoso è stato trasportato in mare dove avràcontribuito a costruire una conoide sommersa come accadde a Vietri Sul Mare che fu devastata da colate di fango e detriti nell’ottobre del 1954 (figura 19).
Il volume dei detriti (prevalentemente fango e detriti lapidei) deposti tra l’Autostrada e l’area abitata è stimato in almeno 20.000-30.000 mc. Considerando i detriti trasportati in mare, (figure 20 e 21) il volume, molto probabilmente, è almeno il doppio. In base alle testimonianze raccolte si ritiene che vi sia stata una colata fangoso-detritica principale molto potente e veloce e alcune colate successive meno potenti.
I dati esposti sinteticamente evidenziano che la distruzione di Scaletta Zanclea Marina è stata causata da una disastrosa colata fangoso-detritica, costruitasi ed evoluta lungo la valle del Torrente Racinazzo, alimentata da molte decine di colate di fango che hanno interessato i versanti della parte medio alta del bacino imbrifero. Se non vi fossero state queste ultime non si sarebbe potuto originare un flusso tanto potente e disastroso che in alcune decine di secondi ha percorso il fondo valle investendo rovinosamente Scaletta Zanclea Marina.
In conclusione è accertato che la distruzione di Scaletta Zanclea Marina è da attribuire alla colata fangosodetritica veloce e potente e non ad una piena idrica originata dall’acqua che affluiva nel fondo valle (figura 18).
Se non vi fosse stata la tombatura dell’alveo nell’area abitata, il disastro si sarebbe verificato ugualmente, come prima evidenziato dal fatto che il flusso rapido e potente occupava una sezione notevolmente più grande rispetto a quella dell’alveo regimentato. Il disastro si sarebbe evitato solo se il Torrente Racinazzo avesse avuto a sua disposizione, alla foce, una sezione torrentizia utile di almeno 150-170 metri quadrati, vale a dire un alveo ampio almeno 40 m.
Il Torrente Racinazzo nell’ottobre 2007 fu interessato da un grave evento alluvionale che fu innescato da decine di colate di fango lungo i versanti (figura 16). La potenza della colata fangosa detritica che si mobilizzò lungo l’asta torrentizia non fu tale da consentire l’inglobamento dell’enorme quantitativo di enormi massi che invece ha caratterizzato la colata del 1 ottobre 2009.
Figura 17: La foto in alto illustra il tratto terminale del Torrente Divieto in corrispondenza del viadotto della Strada Statale e della copertura realizzata alcuni anni fa “a salvaguardia del rischio idrogeologico†come si evince dalla tabella relativa ai lavori durante l’alluvione dell’ottobre 2007 (foto in basso). Quest’ultimo evento provocò esondazione e trasporto e accumulo di fango, detriti e alberi sulla sede stradale che danneggiarono numerose abitazioni. Foto Zancle.it
Figura 18: A sinistra è riportata la ricostruzione dell’evento pubblicata dal Corriere della Sera on line che attribuisce erroneamente l’evento ad una piena idrica che ha trascinato i detriti. Sulla stessa foto, a destra, è riportata la ricostruzione del fenomeno rappresentato da una rapida e potente colata fangoso-detritica.
E’ da tenere presente che le colate di fango si sono originate lungo i versanti e sono state alimentate dal suolo e dalla parte alterata del substrato ed hanno trascinato la vegetazione d’alto fusto avente le radici sviluppate nel suolo. Anche molti terrazzi agricoli sono stati inglobati dalle colate di fango lungo i versanti.
Figura 19: modificazione della morfologia costiera della spiaggia di Marina di Vietri sul Mare dopo l’evento alluvionale del 25 ottobre 1954. Una parte dei detriti si sedimentò nei fondali del Golfo di Salerno.
La colata fangosa detritica del Torrente Racinazzo rappresenta un fenomeno simile a quello che interessò il Torrente Bonea a Vietri sul Mare, in Provincia di Salerno nell’ottobre 1954. Quest’ultimo evento fu innescato da precipitazioni piovose più abbondanti (oltre 500 mm in circa 16 ore) di quelle che hanno determinato la mobilizzazione della colata del T. Racinazzo; le colate detritiche furono alimentate da decine di colate di fango che denudarono decine di ettari di versanti boscati. L’enorme volume (circa 500.000 mc) di sedimenti deposti alla foce originarono in poche ore un’ampia e pronunciata conoide (figura 19).
Che fare?
I versanti del bacino imbrifero che hanno alimentato le colate di fango sono vasti molte migliaia di ettari e non è possibile, su gran parte di essi, realizzare una stabilizzazione del suolo e della coltre alterata sottostante. Nemmeno il ripristino della vegetazione e il semplice terrazzamento non garantiscono la stabilizzazione della copertura instabile.
I bacini imbriferi con versanti inclinati da 30 a 40 gradi, caratterizzati da una copertura con scadenti caratteristiche geotecniche non ancorata nel substrato roccioso a sua volta potenzialmente instabile perché costituito da ammasso metamorfico variamente fratturato al tetto, in occasione di eventi piovosi consistenti diluiti in alcuni mesi, seguiti da eventi particolarmente intensi (alcune centinaia di mm in poche ore) e concentrati, possono innescare decine di eventi franosi tipo colate rapide di fango e detriti. L’enorme volume di fango e detriti che può affluire nel fondo valle può innescare un flusso rapido che rapidamente assume volume e velocitàsorprendenti come accaduto l’1 ottobre 2009.
L’esperienza impone di rivedere immediatamente la pericolositàidrogeologica di tali bacini minori che incombono su aree abitate e infrastrutture di importanza strategica in relazione alla prevedibile evoluzione dell’assetto morfologico di versante e delle aste torrentizie.
Figura 20: Effetti geoambientali della colata incanalatasi nel Torrente Racinazzo. tra= area interessata dal transito veloce e dal successivo accumulo di detriti comprendenti massi di grandi dimensioni; dt= accumulo di detriti nelle strade, all’interno degli edifici e sulla linea ferroviaria; cs= conoide sommersa originata dall’accumulo dei detriti trasportati in mare dalla colata (la delimitazione è indicativa); ctr= conoide di detriti accumulati dal Torrente Racinazzo dopo il transito della colata.
Alla luce di quanto accaduto, forti perplessitàsorgono nei confronti dei piani geologici redatti a supporto della pianificazione urbanistica e delle relazioni idrogeologiche, idrauliche e strutturali inerenti alle scelte progettuali per l’ubicazione e la costruzione di ponti e/o viadotti con particolare riferimento alle pile posizionate in alvei di aste torrentizie. Sarebbe indispensabile una rivisitazione di tutte quelle strutture che potrebbero essere soggette ad azioni eccezionali dovute a fenomeni naturali, come urti per effetto di cadute di massi, colate detritiche, colate fangose, ecc..
Particolare attenzione occorre porre alla valutazione delle azioni dovute agli urti da utilizzare nelle applicazioni delle schematizzazioni di calcolo dei piloni e/o spalle da ponte e/o ai loro sistemi di protezione.
Sistemi di protezione che mai come in questo caso sono da ritenersi essenziali per la mitigazione del rischio nei confronti delle opere esistenti. Per un’ottimizzazione dei sistemi di protezione, in ogni caso risulta indispensabile uno studio del percorso di caduta massi, una campagna d’indagine finalizzata alle analisi di caduta massi e al trasporto dei massi inglobati in colate detritiche, un’analisi del possibile aspetto fisico della colata di detrito e della zona di arresto della colata. Per una migliore quantificazione delle azioni da adottare per simulare gli effetti dovuti ad urti di massi rocciosi su strutture resistenti sarebbe opportuno effettuare delle indagini scientifiche–probabilistiche-sperimentali finalizzate alla valutazione della forza d’impatto di un masso e/o di colate detritiche al fine di individuare i possibili interventi di difesa e ben dimensionare le strutture resistenti. In mancanza di studi specifici, nell’immediatezza della problematica e tenendo conto che in genere i piloni da ponte sono da considerarsi a sostegno di opere pubbliche
strategiche con finalitàanche di protezione civile e suscettibili di conseguenze rilevanti in caso di collasso, preso atto anche delle possibili implicazioni economiche e sociali che ne potrebbero derivare, gli scriventi in via di prima approssimazione ai fini di una schematizzazione statica equivalente dell’urto, suggeriscono di adoperare una forza variabile da 80000 kg a 400000 kg, a seconda delle dimensioni del masso roccioso più probabile che possa investire l’opera di protezione, associando la forza minore a massi di dimensioni di circa 1mc per giungere al valore più alto per massi di circa 20mc.
Figura 21: La foto 1 illustra la parte di Scaletta Zanclea Marina devastata dalla colata fangoso-detritica incanalatasi nella valle del Torrente Racinazzo prima dell’evento del 1 ottobre 2009. La foto 2 (da Zancle.it) illustra la stessa area dopo il disastro. In giallo trasparente è indicata l’area emersa e sommersa interessata dal transito della colata e dal deposito dei detriti. A= edificio che ha funzionato da “sparti colata†suddividendo il flusso fangoso-detritico in due rami. B= flussi laterali che hanno invaso le vie dell’abitato; C= flusso in sinistra orografica; D= flusso in destra orografica; E= area sommersa interessata dal transito del flusso che deve essersi disperso nello Ionio.
Per quanto riguarda il Torrente Racinazzo, è giàstato proposto di utilizzare l’ampia sezione torrentizia occupata dalla colata come sezione da sistemare definitivamente, accompagnata dall’adeguamento dei viadotti della Strada Statale e della Ferrovia (figura 22). Tra gli interventi da realizzare al fine di mettere in sicurezza l’area abitata e le infrastrutture dell’area costiera, la naturale morfologia dei luoghi suggerisce che làove il torrente si allarga e la pendenza diminuisce, ben si adatta la realizzazione di una “piazza di deposito†(eventualmente approfondita in scavo con opportuna pendenza di fondo) tesa ad arrestare prima della zona urbanizzata i materiali solidi, lapidei e vegetali trasportati da ulteriori e possibili colate future di tipo detritico e/o fangose che potrebbero interessare l’asta torrentizia del T. Racinazzo.
Senza voler entrare ulteriormente nel merito, la presenza di un’area a bassa pendenza facilmente ricavabile dove l’alveo torrentizio si allarga, comporterebbe la diminuzione di velocitàdel flusso determinando il deposito del materiale trasportato o l’arresto delle colate detritiche.
L’ideale sarebbe che ciò venisse realizzato inserendo al lato valle una barriera ai detriti con briglia a pettine centrale, non priva di strada di accesso laterale per consentire l’asportazione dei detriti.
Una soluzione alternativa, come inizialmente riportato, sarebbe quella di liberare totalmente la zona della conoide dai manufatti presenti (figura 22) provvedendo alla sistemazione della zona di conoide e alla realizzazione di rampe laterali di accesso per consentire la pulizia dei detriti.
Entrambi i tipi di sistemazione dovrebbero essere comunque supportate dalla rimodellazione altimetrica della strada statale e della ferrovia esistente, come innanzi segnalato. L’area eventualmente interessata da questi interventi difensivi potrebbe essere inserita nel contesto urbano come area di verde attrezzato fruibile nei giorni non piovosi.
Ovviamente anche la realizzazione di potenti briglie selettive al fine di catturare i massi a monte, prevedendo naturalmente un sistematico piano di manutenzione, è da ritenersi di importanza strategica per la mitigazione del rischio di crollo (per effetto di colate detritiche) dei fabbricati e/o di possibili manufatti.
Questo perché si è dell’avviso che la colata di fango, nella fattispecie, senza l’apporto detritico/massivo molto difficilmente avrebbe prodotto i danni riscontrati sui fabbricati.
In casi del genere, i fabbricati più vulnerabili, sono indubbiamente quelli a numero ridotto di piani 1-2, mentre quelli più idonei a contenere colate di fango risultano i fabbricati multipiano. Ciò perché per fabbricati multipiano, sia essi con struttura muraria che con struttura in c.a., le dimensioni dei pilastri e/o dei setti murari suscettibili ad essere investiti da colate si presentano con inerzia più grande di quelli a tipologia bassa, anche perché la resistenza a taglio e/o il momento ultimo delle sezioni resistenti è maggiore per quegli elementi strutturali sottoposti a carico verticale maggiore.
Nel caso specifico, sono riscontrabili diversi manufatti bassi che, pur essendo potenzialmente più vulnerabili ed ubicati nell’area di influenza della conoide, hanno ben resistito alla velocitàdella colata (vedi figura 21) perché investiti prevalentemente da una colata a componente acquosa fangosa con detriti centimetrici contenuti.
Figura 22: Proposta schematica di messa in sicurezza dell’abitato di Scaletta Zanclea Marina.
Làdove, invece, la colata inglobava molti detriti multidecimetrici e/o grossi massi, i fabbricati indipendentemente dal numero di piani da cui erano costituiti, hanno subito danni catastrofici irreversibili (vedi figure 13 14 e 15) per effetto dell’urto dei detriti sugli elementi strutturali e/o sulle tompagnature.
Sempre nell’area di specifico interesse, sono presenti fabbricati di cinque piani che ben hanno retto alla velocitàdella colata, perché non investiti da massi rocciosi ma soltanto dalla colata fangosa.
In definitiva gli scriventi sono del parere che i danni alle strutture sono da attribuire ai detriti presenti nella colata e non alla piena idrica perché làove non si è avuto l’impatto con blocchi detritici, la matrice liquida/fangosa, così come è stato possibile accertare sul posto, pur arrecando danni ai fini dell’abitabilità, non ha prodotto danni irreversibili alle strutture essendo stato l’effetto su di esse abbastanza contenuto.
L’edificio di quattro piani ubicato nella conoide tra la Strada Statale e la ferrovia, pur essendo protetto a lato monte da un manufatto più basso (edificio delle suore) che egregiamente si è comportato nei confronti del flusso di colata è stato seriamente danneggiato tanto da richiederne l’abbattimento. A rigore di logica, all’edificio a monte in posizione centrale che ha agito da “struttura sparti colataâ€Â, è stato trasmesso direttamente sotto forma di energia d’urto l’intera velocitàdella colata. Questo edificio ben ha retto all’impatto della colata perché fortunatamente non ha subito l’impatto di massi detritici.
L’edificio di quattro piani, più a valle, disposto ai margini dei due rami di colata avendo subito azioni molto più moderate rispetto a quello precedente, giacché avrebbe subito simultaneamente un’azione normale (molto contenuta) per effetto della pressione idrostatica delle colate ai due lati dell’edificio e ad un’azione tangenziale (molto contenuta) per effetto dello scorrimento, non poteva essere assolutamente danneggiato se non fosse stato investito da enormi massi metrici.
Si è dell’opinione che, pur essendo la velocitàdella colata lungo l’asta torrentizia, abbastanza elevata, in gran parte dell’area di conoide la velocitàè stata di pochi m/s, stimabile in circa 3 m/s. Questo perché per velocitàmaggiori, i manufatti bassi di 1-2 piani sarebbero collassati in modo istantaneo indipendentemente dalla tipologia strutturale, ove per velocitàdell’ordine di 4-5m/s sui fabbricati in muratura si sarebbero registrati seri danni ai setti murari e per fabbricati in c.a. si sarebbero manifestati rotture dei tompagni in laterizio. Logicamente, per velocitàpiù alte, mediamente superiori ai 10 m/s, anche i fabbricati in c.a. collassano nella loro struttura portante; fermo restante, si ribadisce, che al crescere del numero di piani le velocitàdi collasso aumentano indipendentemente dalla tipologia strutturale dei fabbricati.
Anche il tratto terminale del Torrente Divieto deve essere adeguatamente sistemato ampliando lo sbocco in mare ed eliminando le strozzature e la tombatura che, nonostante le buone intenzioni dichiarate nella tabella dei lavori che sono stati eseguiti alcuni anni fa, hanno reso possibile l’esondazione di acqua e detriti (figura 23).
Sulla fascia costiera densamente urbanizzata e interessata da infrastrutture di importanza strategica come l’Autostrada Messina-Catania, la Strada Statale e la linea ferroviaria costiera ionica, incombe il versante ripido, parallelo al mare, che giàcon l’evento del 2007 e anche con quello del 1 ottobre 2009 ( figure 24 e 25) ha contribuito ad aumentare i danni alle cose e alle persone a causa di diverse colate di fango che hanno determinato danni e l’interruzione delle strade e della ferrovia. Altri corsi d’acqua torrentizi minori (es. il Torrente Itala) attraversano la fascia urbanizzata e devono essere messi in sicurezza (figure 26 e 27).
Figura 23: Principali effetti causati dall’evento del 1 ottobre 2009 tra il Torrente Racinazzo (in giallo trasparente) e il Torrente Divieto (in verde trasparente). A= Area interessata dal transito e dposito di detriti della colata fangoso-detritica; B= area interessata dall’accumulo di detriti da parte del Torrente Divieto.
Figura 24: Colata di fango innescatasi ed evoluta invadendo la Strada Statale, nell’ottobre 2007, lungo il breve ma ripido versante incombente su Scaletta Zanclea Marina tra il Torrente Racinazzo e il Torrente Divieto. Il flusso ha inglobato molti alberi d’alto fusto. Foto Zancle.it.
Figura 25: Colata di fango innescatasi ed evoluta invadendo la Strada Statale e la linea ferroviaria, il 1 Ottobre 2009, lungo il breve ma ripido versante incombente sul mare in corrispondenza di Capo Scaletta.
Foto Vigili del Fuoco.
Figura 26: A sinistra alveo della Fiumara di Giampilieri Superiore, a destra alveo del Torrente Itala completamente colmati di detriti (A) e dopo il ripristino della sezione torrentizia (B).
Figura 27: Rappresentazione schematica degli effetti geoambientali principali causati dagli eventi alluvionali del 2007 (E) e del 1 ottobre 2009 (A, B, C, D): A= area devastata dalla colata fangoso-detritica del Torrente Racinazzo; B= area interessata dall’accumulo di detriti trasportati dal Torrente Divieto; C= alveo del Torrente Itala colmato di detriti; D= colata di fango che ha interessato la Strada Statale e la linea ferroviaria travolgendo un furgone; E= colata di fango che ha invaso la Strada Statale nell’ottobre 2007. Individuazione schematica dei principali pericoli geoambientali che possono interessare Scaletta Zanclea Marina in concomitanza con eventi piovosi molto consistenti come verificatosi tra settembre e il 1 ottobre 2009: F= area d’innesco ed evoluzione di colate di fango lungo i ripidi versanti; G= colate fangoso-detritiche incanalate.
Figura 28: a= area epicentrale dei principali effetti geoambientali causati dalle precipitazioni piovose del 1 ottobre 2009, giàinteressata da abbondanti piogge durante il precedente mese di settembre. Nell’area si sono verificate migliaia di colate rapide di fango innescatesi ed evolutesi lungo i ripidi versanti che hanno mobilizzato complessivamente centinaia di migliaia di metri cubi di fango e detriti. b= Torrente Divieto interessato da deflusso di acqua e detriti che sono esondati in corrispondenza dell’abitato di Scaletta Zanclea Marina. c= Torrente Racinazzo interessato dal deflusso incanalato di una potente colata fangosodetritica che ha devastato parte dell’abitato costiero. d= Spartiacque dei vari bacini imbriferi interessati dall’evento piovoso del 1 ottobre 2009.
Conclusioni
Gli eventi verificatisi l’1 ottobre 2009 hanno interessato un’area ristretta di circa 50 chilometri quadrati (circa 7X 7 km). I fenomeni più devastanti sono stati rappresentati da migliaia di colate di fango innescatesi lungo i versanti dell’area epicentrale e dalla colata fangoso-detritica del Torrente Racinazzo.
Nel bacino imbrifero del Torrente Divieto, parallelo al Racinazzo e distante alcune centinaia di metri, si sono verificate numerose colate di fango lungo i versanti; un flusso di acqua e detriti consistente ha provocato l’esondazione nell’area di foce in corrispondenza della tombatura dell’alveo (figura 28).
Le vittime e i danni principali sono da attribuire a tali fenomeni.
Nella zona di Scaletta Zanclea le colate di fango sono state devastanti lungo il loro veloce percorso che ha interessato i versanti, inclinati da circa 30 a circa 45 gradi nelle zone d’innesco delle frane e le fasce pedemontane di raccordo con i fondo valle dove hanno continuato ad inglobare terreno, vegetazione, terrazzamenti e altri manufatti. Le colate di fango innescatesi ed evolute lungo i brevi versanti incombenti sulla fascia costiera urbanizzata hanno invaso la sede stradale, quella ferroviaria e qualche costruzione.
La corretta ricostruzione degli eventi idrogeologici e la valutazione della loro potenza forniranno utili indicazioni per la messa a punto di interventi di messa in sicurezza e di difesa dei cittadini attivando idonei piani che consentano, almeno, di limitare danni alle persone.
L’evento piovoso del 1 ottobre 2009, che ha causato i principali effetti al suolo che hanno caratterizzato l’area epicentrale, è un fenomeno simile a quelli che hanno provocato distruzione e centinaia di vittime nell’area compresa tra Salerno, Maiori e Cava dei Tirreni nell’ottobre 1954, nella zona tra Sarno, Quindici e Bracigliano nel maggio 1998, nella Versilia-Garfagnana nel giugno 1996, tutti caratterizzati da una dichiarata “imprevedibilità†ed estrema violenza nel determinare migliaia di fenomeni franosi quali colate rapide di fango e detriti lungo i versanti. La diffusa antropizzazione e urbanizzazione del territorio trasforma immancabilmente questi eventi naturali in catastrofi.
La morfologia e la rete idrografica del territorio interessato dall’evento piovoso del 1 ottobre 2009 (figura 29) è stata favorevole ad una suddivisione in vari bacini imbriferi dell’acqua di ruscellamento che è stata rapidamente smaltita in mare da numerose aste torrentizie drenanti bacini stretti ed allungati di limitate dimensioni. Le numerosissime colate di fango che hanno raggiunto i corsi d’acqua hanno reso disponibili in poche decine di minuti migliaia di metri cubi di detriti lapidei e di tronchi d’albero d’alto fusto che hanno determinato il veloce colmamento, quasi totale, delle sezioni torrentizie specialmente in corrispondenza dei viadotti. Le aste torrentizie delle fiumare principali hanno determinato limitati problemi grazie al fatto che gli afflussi meteorici principali sono precipitati sulla parte di territorio drenata dai piccoli bacini imbriferi.
L’impossibilità, per vari motivi, di mettere in sicurezza preventivamente tutte le aree, ubicate in bacini o lungo versanti con caratteristiche geoambientali simili a quelle che caratterizzano le aree sopra ricordate, che potenzialmente possono essere interessate da tali micidiali fenomeni, deve indurre a organizzare un’idonea “difesa†per limitare, almeno, i danni alle persone.
Considerando che la pioggia che cade sul suolo non innesca immediatamente i fenomeni franosi rapidi e la canalizzazione dei detriti, vi sono, in genere, diversi giorni individuabili come “periodo di attenzione†e, successivamente, per individuare la possibile fase di imminente pericolositàcatastrofica del fenomeno idrologico in atto vi sono sempre diverse decine di minuti utili.
Ciò consente di attivare piani dettagliati di protezione civile al fine di consentire la salvaguardia di vite umane.
Naturalmente ciò è possibile se sono state attivate reti di misura in tempo reale delle precipitazioni e delle deformazioni in atto a cui sono associati sperimentati piani di allarme e di protezione civile predisposti in relazione alle differenti caratteristiche morfologiche, idrogeologiche, di antropizzazione e urbanizzazione.
Le indagini in corso evidenziano che le aree epicentrali degli effetti al suolo causati dagli eventi tipo quello del 1 ottobre 2009 sono di dimensioni limitate, variabili da circa 50 kmq a circa 70 kmq; all’esterno di tali aree le precipitazioni, di solito, sono del tutto normali e non preoccupanti.
Ne discende che una moderna rete di monitoraggio idrologico in tempo reale, da installare nelle aree potenzialmente interessate da eventi piovosi simili a quello del 1 ottobre 2009, deve essere molto fitta con almeno una stazione di misura per centro abitato e non per comune (il territorio comunale, infatti, comprende spesso varie frazioni ubicate in siti con differenti ma significative diversitàmorfologiche e orografiche).
Gli autori della presente nota sono convinti che il costo contenuto della rete di controllo idrologico e geoambientale, di evoluzione dello stato deformativo del suolo e/o del sottosuolo e dei piani di protezione dei cittadini non intralceràquesta concreta possibilitàdi incrementare la sicurezza e la tutela delle persone.