Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista al fotografo palermitano Carlo Butera (classe 2000), del quale è stato sottolineata spesso la forte emotività narrativa dei suoi scatti…
Buongiorno Carlo! Vorrei chiederti subito come, quando e da quale motore interiore ha avuto origine il tuo viaggio nelle arti visive e se hai compiuto un percorso di studi al riguardo oppure sei un autodidatta. “Buongiorno a te, Giulia! La mia passione per tutto il mondo artistico è nata sin da quando ero molto piccolo, vedendo mio nonno che – tra un rullino e un altro – si dilettava a sviluppare delle semplicissime foto fatte tra amici e parenti. Il mio viaggio nelle arti visive è iniziato a Liceo. Frequentando l’indirizzo artistico, ho avuto modo di approcciare e conoscere l’arte a 360° gradi. Adesso sto continuo a studiare fotografia all’Accademia di Belle Arti di Palermo”.
Da piccolo a cosa, forse, immaginavi di dedicarti oggi e com’eri da bambino? “Da piccolo, immagino un po’ come vale per tutti i bimbi, non sapevo neanche quale fosse la metà di tutti i lavori attuabili nel mondo e dicevo a mia mamma di voler divenire un pompiere. Non saprei spiegare quale fosse il motivo di ciò, ma mi affascinava tanto il pensiero di poter salvare qualcuno. Da bambino ero tranquillissimo e, a dar credito a quello che mi raccontano i miei parenti e genitori, ero davvero buono e generoso con le persone che mi stavano intorno”.
Cosa rappresenta, per te, la Bellezza e cosa l’Arte e quale ritieni esserne il potere nonché principale pregio e valore? “Rispondere in maniera esaustiva a questa domanda è davvero difficile, nonostante mi misuri ogni giorno con codesta parola. La bellezza, a mio avviso, dipende da una visione umana assai personale… in quanto ciò che magari, per me, è bello non lo è invece per alcune altre persone. Soprattutto nel mio campo, la beltà è un qualcosa di veramente molto soggettivo e un certo “quid” deve toccare ed emozionare l’anima per essere ritenuto bello. L’arte, nel mio caso, da qualche anno, è divenuta fonte di studio… ma non studio scolastico, bensì nella direzione dell’indagare il come e il perché quell’x dipinto è diventato tanto importante. Anni fa, prima di avvicinarmi alla moda, emulavo i quadri di Caravaggio e di Leonardo da Vinci al fine di entrare in stretto contatto con la loro visione di “arte” appunto. Il principale pregio della fotografia è che ti porta a esplorare e a conoscere nuovi modi di percepire la realtà, mentre il suo valore è incommensurabile.
Credi che esista il bello universale, oppure non v’è possibilità d’oggettivare la Beltà? “Io credo che il bello universale sia un fattore prettamente culturale. Quello che lo determina è l’avanzare del tempo e la mutazione che vi avviene. Ciò che porta a sradicare i parametri che costituiscono un concetto, tanto da metterlo in discussione, sono cioè tutte quelle avanguardie storiche che si concentrano su una visione di beltà nettamente diversa da quella in essere – e tale evidenza la si ha sino ad arrivare al giorno d’oggi . Nel mio campo, ossia soprattutto nella fotografia di moda, non esiste un bello ideale bensì vige un bello “targettizzato”… che, ahimè, è difficile buttare giù”.
Quando ascolti, leggi, guardi un creativo e le sue opere cosa ti impressiona positivamente e cosa ti entusiasma maggiormente? Vi è qualcosa a cui ti ispiri e qualcuno con il quale vorresti collaborare? “Quando fotografo, tendo sempre ad avere un approccio molto emotivo. Voglio che coloro con i quali scatto si donino a me come persone e non come prodotti commerciali. Due artisti che, a mio parere, fanno la cosiddetta differenza sono Richard Avedon e Tim Walker. Quando guardo le loro foto, mi impressiona la facilità di restituzione di un processo che invece è talmente lungo che, per l’appunto, rimango senza parole. Un giorno, mi piacerebbe collaborare proprio con Tim Walker e con David LaChapelle”.
Settore sportivo, cerimoniale e pubblicitario: tu quale ami maggiormente e perché? “Amo il settore della moda e quello pubblicitario, perché mi danno modo di esprimere me stesso senza avere “vincoli”… solo che, nella mia città, la moda tende a nascondersi in quanto non v’è alcuno che desideri investirvi”.
I ricordi, la sperimentazione e l’osare, l’organizzare e il pianificare quanto sono fondamentali nel tuo vivere e per la tua professione? Inoltre, sei più istintivo o razionale-concettuale nel fotografare e nella post-produzione? “Nella mia quotidianità, quale semplice ragazzo, sono molto disordinato e disorganizzato in quasi tutto quello che faccio… ma, quando si tratta di fotografia, tendo invece a pianificare ogni aspetto al millimetro – soprattutto a riguardo del messaggio che voglio trasmettere col mio shooting. Nella post-produzione, poi, mi dimostro sempre razionale e tuttavia oso quando ne sento la necessità. Cerco sempre di sperimentare qualche nuova forma stilistica perché, altrimenti, le foto risulterebbero piatte (cosa, questa, che non fa parte del mio estro)”.
A proposito di social [clicca qui https://instagram.com/carlobuteraphotography?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo Instagram di Carlo Butera], con quale finalità li utilizzi e come ti pare abbiano impattato nel presente? “Utilizzo i social per far vedere alle persone ciò che produco e perché voglio comunicare proprio grazie alle mie foto. Io mi diverto tantissimo a curare il mio profilo… Penso che, oggigiorno, esso sia una bacheca importante (soprattutto Instagram è una vetrina fondamentale)”.
Infine, prima di salutarci, vuoi rivelarci quali sono i tuoi prossimi progetti? “Ho tanti progetti in cantiere… aspetto soltanto che qualcuno sovvenzioni il mio estro creativo, che qualche magazine e qualche agenzia mi noti”.