Alcuni stralci, la versione integrale su – http://www.loraquotidiano.it/2014/10/22/caso-manca-svolta-indaga-dda-roma_8831/ –
C’è voluto un pentito del clan dei Casalesi per dire quello che i familiari di Attilio Manca sostengono da dieci anni: che l’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto in servizio all’ospedale “Belcolle” di Viterbo non si è suicidato con una overdose di eroina, ma è stato “suicidato” dalla mafia.
C’è voluto l’ex killer Giuseppe Setola – un pentito “autorevole” e “di spessore”, come viene definito da Antonio Ingroia, legale della famiglia Manca – per “movimentare” il fascicolo dei magistrati di Viterbo e per portare la Direzione distrettuale antimafia di Roma – coordinata dal procuratore Giuseppe Pignatone – ad aprire un fascicolo di indagini preliminari “modello 45”, inserendo il caso “nel registro degli atti non costituenti notizia di reato”, ovvero nel registro “nel quale raccogliere quegli atti che riposano ancora nel ‘limbo’ della non sicura definibilità, ma che postulano una fase di accertamenti preliminari”.
Detenuto nel carcere di Napoli, nei mesi scorsi Giuseppe Setola ha voluto incontrare i Pm palermitani Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia – i magistrati che si occupano della Trattativa, particolare, forse, non secondario – per riferire di avere appreso da un compagno di cella che la morte di Attilio Manca – avvenuta a Viterbo l’11 febbraio 2004 – è da collegare all’operazione di cancro alla prostata alla quale, nell’autunno del 2003, fu sottoposto a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano.
Le dichiarazioni di Setola sono state secretate e trasmesse alla Direzione distrettuale antimafia di Roma e alla Procura della Repubblica di Viterbo.
Pignatone ora si sta muovendo su due fronti: acquisire informazioni sull’attendibilità del pentito presso la Procura di Napoli, e acquisire gli atti dell’indagine dalla Procura di Viterbo, in modo da avere una visione completa del caso. Dall’ipotesi di decesso per overdose – su cui è stato imbastito il processo che inizia domani a Viterbo – si potrebbe passare all’ipotesi di omicidio di mafia. La competenza, a quel punto, spetterebbe alla Dda di Roma. “Ritengo di fondamentale importanza – afferma l’avv. Ingroia – le dichiarazioni di Setola, visto lo spessore criminale dello stesso. Ho anticipato al procuratore di Roma l’intenzione di depositare una richiesta formale di apertura delle indagini per omicidio di mafia in danno di Attilio Manca, a nome e per conto della famiglia”.
A quel punto andrebbero chiarite diverse posizioni: per esempio quella di alcuni “amici” barcellonesi, strenui difensori della memoria di Attilio quando si parlava di “suicidio”, acerrimi accusatori (con ritrattazioni incredibili che gli inquirenti, evidentemente, non hanno notato) quando si è ventilato un coinvolgimento di Cosa nostra; la posizione del cugino della vittima, tale Ugo Manca, organico alla mafia di Barcellona (diversi precedenti penali e una condanna a quasi dieci anni per traffico di droga, con assoluzione in appello), di cui è stata trovata un’impronta palmare nell’appartamento dell’urologo; la posizione dell’ex capo della Squadra mobile Salvatore Gava, secondo il quale Attilio Manca – nei giorni in cui Provenzano era sotto i ferri a Marsiglia – non si sarebbe mosso dall’ospedale “Belcolle”, circostanza smentita clamorosamente alcuni mesi fa dalla trasmissione “Chi l’ha visto”; la posizione di alcuni poliziotti che – al momento del ritrovamento del cadavere – hanno redatto il verbale di sopralluogo, scrivendo che la vittima non presentava segni di violenza in tutto il corpo (versione contrastante con le foto); la posizione della prof.ssa Danila Ranalletta, medico legale che ha effettuato l’autopsia, la quale nel referto ha ignorato lo stato del volto (ridotto a una maschera di sangue), del setto nasale (deviato), delle labbra (tumefatte), dei testicoli (enormi e contrassegnati da un evidente ematoma).
Da chiarire la posizione dei magistrati che hanno portato avanti l’indagine: dovrebbero spiegare, tra l’altro, perché Attilio – mancino puro – è stato trovato morto con due buchi nel braccio sbagliato, quello sinistro; perché per ben otto anni non hanno ordinato il rilievo delle impronte digitali sulle siringhe (siringhe ritrovate con il tappo salva ago ancora inserito); perché senza uno straccio di prova hanno insistito per dieci anni sull’ “inoculazione volontaria” della vittima; perché non hanno ancora spiegato alcuni presunti retroscena relativi all’esame tricologico (l’esame sul capello della vittima per accertare assunzioni pregresse di stupefacenti): i magistrati sostengono che è stato effettuato e che è risultato positivo; i legali dei Manca affermano che agli atti non esiste c’è alcun esame tricologico (accusando quindi gli inquirenti di dire il falso); perché non hanno richiesto alle compagnie telefoniche i tabulati relativi all’autunno del 2003 per stabilire se davvero – come sostiene la famiglia Manca – il medico era in Francia mentre Provenzano veniva operato; perché non hanno richiesto altri tabulati telefonici ritenuti “interessantissimi” e attualmente depositati presso il Tribunale di Messina. […]
Nell’articolo del quotidiano palermitano anche alcune dichiarazioni di Antonio Ingroia, le considerazioni di Sonia Alfano.
Ed ancora il “tassello” rappresentato da Ciccio Pastoia, ex braccio destro di Provenzano, che nel 2005, intercettato dalle “ambientali”, parlò di “un” dottore che ha “curato” il boss corleonese è poi morto “impiccato” nel carcere di Modena
Intanto la commissione parlamentare antimafia il 27 e il 28 ottobre sarà a Barcellona, ovviamente per parlare anche del caso Manca.