Il prossimo Giovedì 10 ottobre 2013, alle ore 10,00 in via Giuseppe Sciva, dirimpetto Casa Serena (O.N.P.I.) a Montepiselli, verrà scoperta una targa d’indentificazione stradale, dedicata a Giuseppe Sciva, patriota messinese, animatore della rivolta antiborbonica del 1° settembre 1847, che iniziò la rivoluzione siciliana del 1848, che sarà donata al Comune dall’Associazione siciliana arte e scienza (A.SA.S.).
Giuseppe Sciva fu fucilato il 2 ottobre del 1847 alla Cittadella; la sua figura e le circostanze che portarono alla sua fucilazione verranno rievocate, al momento dell’inaugurazione della targa, dal professore di storia moderna all’Università di Messina, Giuseppe Restifo.
Saranno presenti oltre ai patrocinatori dell’evento, e cioè al consiglio della IV Circoscrizione comunale con il presidente Francesco Palano Quero e all’Associazione siciliana arte e scienza (A.S.A.S.) con i suoi membri del direttivo e fondatori, anche le autorità, l’assessore alla cultura Fabio Todesco, alcune classi della scuola di Montepiselli.
Questa manifestazione a Messina conclude un ciclo di eventi, e precisamente la rievocazione del 1° settembre 1847 a cura del “Comitato permanente” fra le Associazioni aderenti, e l’apposizione di una targa da parte dell’associazione “La Sicilia e i siciliani per lo statuto” posta davanti la Casa dello Studente, in ricordo del sacrificio dei Camiciotti, volti a ricordare le giornate della rivoluzione siciliana, riprendendo un pezzo importante della memoria storica della città di Messina.
Flavia Vizzari.
Giuseppe Sciva, unico martire dei moti del 1847
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Giuseppe Sciva, un calzolaio di 27 anni, giustiziato dopo i moti dell’1 settembre 1847 che, di fatto, diedero il via all’insurrezione che nel 1848 infiammò l’intera Europa.
Pochi mesi prima, nel luglio del 1847 il poeta Luigi Settembrini, mazzinianio della Giovine Italia, scrisse un libello, “Protesta del popolo delle Due Sicilie”, che era un duro atto d’accusa contro il governo di Ferdinando II di Borbone e sulle conseguenze per il popolo delle Due Sicilie.
“Questo Governo – scriveva Settembrini- è una immensa piramide la cui base è fatta dagli sbirri e dai preti, la cima dal re.
Ogni impiegato, dal soldato al generale, dal gendarme al ministro di Polizia, dal prete al confessore del re, ogni piccolo scrivano è un despota spietato e lo è peggio su quelli che sono a lui soggetti, mentre è un vilissimo schiavo nei confronti dei suoi superiori!
chi non è fra gli oppressori si sente da ogni parte schiacciato dalla tirannide di mille ribaldi, e la pace, le sostanze, la libertà degli uomini onesti dipendono dal capriccio, non dico di un principe o di un ministro, ma di ogni impiegatuccio, di una baldracca, di una spia, di un gesuita, di un prete.
O fratelli italiani, o generosi stranieri, non dite che queste parole sono troppo aspre, e non scrivete nei vostri giornali che dovremmo parlare con più moderazione e freddezza; venite fra noi, sentite voi pure come una vera mano di ferro ci stringa e ci bruci il cuore; venite a soffrire quanto soffriamo noi, e poi scrivete e consolateci. Noi pregheremmo Iddio di donare senno a questo Ferdinando, se sapessimo che Dio ascolta la voce del popolo, che è pure la voce di Dio. Non ci resta dunque che far palesi le nostre miserie, mostrare che siamo immeritevoli di soffrirle e che è vicino il tempo in cui dovrà finire per noi tanta vergogna”.
La reazione di Ferdinando II fu immediata, nonostante alcune promesse e la riduzione dei dazi sul sale, sul vino e sul grano, ma ormai i meccanismi che avrebbero portato alla rivoluzione del ’48 si erano già stati messi in moto. I circoli mazziniani erano al lavoro per organizzare la sollevazione e anche Messina si preparava a fare la propria parte.
Alcuni Comitati come quelli di Cosenza, Catanzaro e Palermo cercavano di prendere tempo sostenendo che le città non erano pronte, Reggio Calabria e Messina erano di parere opposto e riuscirono ad imporre la propria tesi. Contrari e no, decisero comunque di giocarsi il tutto per tutto il 10 settembre di quell’anno.
Come spesso accadde durante le Guerre di Indipendenza che portarono all’Unità d’Italia, all’ultimo momento alcune città fecero un passo indietro.
Solo le due città dello Stretto si mossero contro i Borboni. Impreparati e divisi, i cospiratori fallirono l’obiettivo. Il piano preparato con cura (impadronirsi delle armi durante un banchetto degli ufficiali organizzato per l’1 settembre) fu rinviato, ma non tutti furono avvertiti.
Chi rimase tagliato fuori si mosse, ignaro di ciò che lo aspettava.
Un conciatore, Antonio Pracanica, guidava gli insorti.
Troppo pochi per avere ragione dei militari, gli insurrezionisti furono sconfitti dopo un aspro combattimento con le truppe borboniche.
Molti dovettero andare in esilio, parecchi furono catturati, uno solo fu ucciso.
Ferdinando II reagì con estrema durezza ed immediatamente dopo il fallimento del moto, che si concluse il 10 settembre dopo aspri combattimenti iniziarono i processi.
In nove, tra i quali anche preti come Giovanni Krimi e frati, furono condannati all’ergastolo, dieci riuscirono a fuggire, alcuni morirono in prigione.
Giuseppe Sciva fu fucilato il 2 settembre. Del calzolaio ventisettenne, che perse la vita per l’Unità d’Italia, restano soltanto vaghi accenni nei libri di storia locale ed una via a lui intitolata a Montepiselli.
tratto da:
http://messina.sicilians.it/