ci piace ricordarlo così
In carcere per terrorismo, morì dopo uno sciopero della fame.
“Mister Robert Sands, un prigioniero nel carcere di Long Kesh, è morto oggi alle 1,17 del mattino. Si è tolto la vita rifiutando cibo e cure mediche per sessantasei giorni”.
martire per la libertà contro ogni occupazione
Nato in un sobborgo di Belfast nel 1954 e cresciuto in un quartiere a maggioranza protestante, Bobby Sands aveva vissuto fin da bambino la discriminazione quotidiana cui era sottoposta la comunità cattolica del nord Irlanda.
Era entrato nell’I.R.A. a 17 anni, ritenendolo l’unico modo per difendere la sua gente e combattere l’occupazione britannica, e aveva trascorso gran parte della sua giovinezza in carcere.
9 marzo 1954
Nel 1972 fu arrestato per la prima volta e condannato al carcere per possesso di armi da fuoco. Al suo rilascio, nel 1976, divenne un organizzatore instancabile di iniziative per migliorare le condizioni di vita della sua comunità ma appena un anno dopo venne nuovamente arrestato al termine di una sparatoria con l’esercito britannico. Stavolta fu condannato a quattordici anni di prigione da scontare nel famigerato carcere di massima sicurezza di Long Kesh, alle porte di Belfast. Nel frattempo la radicalizzazione dello scontro aveva portato il governo britannico ad abolire lo status di prigioniero politico e a equiparare quelli come lui ai criminali comuni.
Ai detenuti irlandesi furono negate le cosiddette five demands (il diritto di non indossare l’uniforme carceraria ed essere esentati dai lavori in carcere, il diritto di associarsi con altri detenuti e organizzare attività ricreative, il diritto alla riduzione della pena e quello di ricevere una visita e una lettera alla settimana) e la decisione innescò una lotta carceraria destinata a durare quattro anni. I prigionieri decisero di rifiutare l’uniforme del carcere e restarono in cella nudi e avvolti soltanto da una coperta, poi smisero di andare a lavarsi per sfuggire ai pestaggi dei secondini.
Infine, quando le guardie murarono le finestre delle celle e smisero di vuotare i loro vasi da notte, iniziarono a cospargere i muri delle celle di escrementi. È in quegli anni che Bobby Sands trasforma la desolazione dei bracci di Long Kesh in un campo di battaglia iniziando a scrivere articoli, poesie e memorie su minuscoli pezzi di carta igienica che escono di nascosto dal carcere e vengono pubblicati sul giornale repubblicano An Phoblacht-Republican News. Nell’ottobre 1980 sette detenuti iniziano uno sciopero della fame che viene interrotto alla fine dell’anno – senza provocare vittime -, quando il governo britannico promette di cambiare il regime carcerario. Ma le richieste cadono nel vuoto. Il primo marzo 1981 Sands in persona dà il via a un nuovo sciopero, stabilendo che i suoi compagni si sarebbero uniti al digiuno a intervalli regolari per dare la massima visibilità a una protesta che stavolta si sarebbe conclusa con la vittoria o con la morte. Il suo sacrificio e quello degli altri nove prigionieri che morirono dopo di lui fu uno spartiacque del conflitto, in seguito al quale i repubblicani irlandesi cominciarono ad abbandonare la strategia della lotta armata.
La svolta avvenne il 9 aprile, quando un morente Bobby Sands – giunto ormai alla sesta settimana di rifiuto totale del cibo – fu eletto al Parlamento britannico raccogliendo oltre 30mila voti.
Nonostante una gigantesca mobilitazione internazionale, non ebbe mai la possibilità di recarsi a Westminster perché morì appena 26 giorni dopo, ma la comunità nazionalista dei ghetti del nord Irlanda si identificò con la sua battaglia e comprese che il futuro risiedeva nell’urna, più che nelle armi.
È difficile non cedere alla retorica quando si scrive di Bobby Sands. È difficile perché, che lui ne fosse consapevole o meno, il suo nome è entrato di diritto nel novero dei grandi patrioti, dei grandi militanti politici, dei grandi combattenti per l’idea. In una parola, il suo nome appartiene all’elenco degli “eroi” d’ogni tempo e luogo, al di là delle appartenenze geografiche, ideologiche, temporali.
L’esempio di Bobby va al di là dei confini, vive anche nel ricordo di migliaia di giovani che in quel lontano 1981 si affacciavano al mondo della politica, in un’Italia ancora dilaniata dal terrorismo e dalla violenza degli opposti estremismi, dalle stragi di Stato e dalla lotta di classe.
Nel clima avvelenato della strategia della tensione, del “tutti contro tutti”, della guerra civile permanente, l’esempio di quel giovane irlandese che si lasciava morire per svelare al mondo il volto brutale dell’imperialismo in tailleur e cappellino della signora Thatcher, sembrava una boccata d’aria pulita.
«Prati e scogliere dell’Irlanda lassù a Nord, gente come roccia di Belfast, e la croce d’oro di una fede che vivrà, cornamuse e mitra son per Sands», cantava la Compagnia dell’Anello. E nelle sezioni missine e nei circoli della destra radicale, all’epoca non troppo diverse dai “covi” repubblicani di Belfast circondati da filo spinato e telecamere a circuito chiuso, molti accostavano il nome di Bobby a quello dei caduti “neri” nei tristi Anni Settanta. Non che si volesse dare la patente di “fascista” a chi non lo era, ma in qualche modo il microcosmo degli “esuli in patria”, per usare una felice espressione di Marco Tarchi, si riconosceva pienamente nella lotta dei repubblicani irlandesi: cattolici, socialisti, nazionalisti e tradizionalisti.
Ci fu persino chi, nel periodo confuso e caotico dello “spontaneismo armato”, provò ad avvicinare l’Ira per offrire collaborazione militare e logistica. Collaborazione cortesemente respinta al mittente, anche perché la principale organizzazione guerrigliera d’Europa non aveva certo bisogno dell’aiuto di pochi cani sciolti in latitanza, visto che poteva contare sull’appoggio di un intero popolo e sui finanziamenti della potente comunità irlandese degli Usa.
da leggere e da vedere in tv
https://www.scomunicando.it/notizie/dopo-l8-marzo-omaggio-alle-donne-dellira/