Oggi la sua figura, la sua opera, le sue parole tornano prepotentemente d’attualità, portati avanti dalla cronaca, dai fatti dai riconoscimenti che lo stesso Pontefice evidenzia con parole e atti. Ma l’insegnamento di Don Milani è stato dal suo formarsi sempre un punto di riferimento per tanti. Rammentando il grande interesse che suscitò quel convegno – fortemente voluto dal professor Michelangelo Gaglio – su “Educare alla Scuola di Don Milani”, che si svolse a Brolo dal 24 al 26 novembre di dieci anni fa, ne pubblichiamo stralci degli atti. Ancora qualche copia del volume che ne raccolse la documentazione si può trovare all’ufficio turistico del comune di Brolo.
Don Lorenzo Milani a Brolo. Quel convegno rappresentò una scommessa per la promozione culturale di un intero comprensorio, un impegno rinnovato anche alla luce della comunicazione e delle nuove tecnologie che coinvolse istituzioni, giovani e politica che “guardavano al futuro”.
Un convegno – scrisse allora Massimo Scaffidi – tre intensi giorni di lavori, un’attività preparatoria impegnativa, una grande partecipazione, anche emotiva, che di certo offrirà nuovi spunti di riflessione per l’intero, vasto, variegato, a tratti anche distratto, panorama culturale nebroideo anche nei prossimi mesi.
E così fu.
Quella sintesi, racchiudeva speranze, attivismo, partecipazione e certamente voglia di cambiare, senza voler entrare nelle motivazioni educative che la figura di don Milani, a distanza di oltre cinquant’anni dalla sua morte prematura, e il cui fascino esercitata ancora oggi anche su generazioni temporalmente lontane e che non hanno vissuto, in presa diretta, quello che avveniva a Barbiana.
E potrebbe essere invece significativo osservare e valutare cosa è stato per i Nebrodi quel convegno, sia sotto l’aspetto della comunicazione sociale e culturale, ma soprattutto come momento di confronto, analisi e impegno, con le generazioni future.
Sono aspetti diversi, non facili da affrontare, che spaziavano anche su prospettive opposte, ma che devono prestare anche ora, ad analisi sommarie, momenti di riflessione partendo dal ruolo che un’amministrazione pubblica – scolastica, istituionale, locale , associativa – deve avere per ottimizzare al meglio un’ iniziativa di tale rilevanza.
Evidenziare l’impegno che i soggetti attenti ai fenomeni aggregativi e culturali devono profondere affinchè Scuola, Istituzioni, Politica e soprattutto i Giovani possano percorre spazi comuni d’integrazione culturale trasgenerazionale.
Per questo quel convegno nel suo “fare” fu un esempio da esportare.
Tre giorni di lavori finali, in grande impegno organizzativo, che fece convivere anime diverse, per politica, per obbiettivi, per culture in momenti di confronto e di crescita anche sotto l’ombrello di una “città educativa” che divenne molto più di un logo.
Dunque don Milani o altra figura pregnante di significativi simboli, può diventare un grande momento di confronto, che va ben oltre i luoghi che ospitano i lavori, ma che diventa un fluido magma per sviluppare idee, attuare progetti, mettere in moto intelligenze emotive, determinare momenti di crescita.
Questo è ancora il primo esempio, ma anche spunto di riflessione su quei lavori che furono in grado di “esportare” sulla rete multimediale -ovviamente non sviluppata sui social come ora – idee, tesi, impegni.
Rileggere quegli atti, rispolverare quel convegno, riparlarne vuole dimostrare, attenzionando un uomo-simbolo, che creare le opportunità di fare cultura, di definire gli spazi per i confronti, per accendere i riflettori su quello che tra cronaca e storia ha cambiato il modo di fare, di agire, di parlare, di intere generazioni, diventa uno dei momenti di massima crescita di una Collettività dove la Politica e la sua macchina amministrativa, deve attivarsi per rendere operativo, sempre, quotidianamente, questo ruolo, del resto tanto importante proprio perché laicamente e democraticamente lontano dalle faziosità delle parti.
L’essenza dell’opera di don Milani che venne fuori da quel convegno, che innovò grazie agli interventi di preziosi relatori la stessa figura del Prete della Barbiana, si configura come tentativo di rendere partecipi anche le categorie sociali più deboli, spesso estromesse da ogni fruizione comunicativa, del diritto sacrosanto alla comunicazione: garantire anche agli ultimi della società il diritto di esprimersi e la dignità stessa dunque dell’esistere.
Anche questo diventa oggi un attuale momento di riflessione.
Chi allora organizzò il tutto – e non si può non ricordare la disponibilità di Padre Donato Domenico Marino e il prezioso aiuto di “Suor C” – aveva previsto che oltre agli spunti per far conoscere la parola di don Milani, i suoi insegnamenti, avrebbe offerto l’opportunità a tutti, dai giovani agli intellettuali di parlare, confrontarsi, dibattere, ma, prosaicamente, quel convegno (altro aspetto della comunicazione, in senso lato) è divenuto anche cassa d’amplificazione per promuovere un territorio, le sue migliori espressioni di aggregazione, per far crescere, nell’immaginario collettivo, un paese ed il suo hinterland ponendolo sotto gli occhi di tutti, sotto i riflettori, per un agire propositivo e costruttivo.
Ma dal confronto tra i giovani, tra le righe dei lavori e il libro che ne è la testimonianza, nacque un altro spunto di riflessione, che ancora una volta dimostra come la grande intuizione del prete di Barbiana diventi realtà anche nel terzo millennio.
Dopo la pubblicazione della “Lettera”di don Milani, la scuola italiana non è mai più stata la stessa.
A Brolo in quei giorni si vide la grande partecipazione degli studenti delle scuole locali e dei loro coetanei venuti da tantissimi istituti.
Loro seppero trovare quegli spunti di cambiamento e riflessione che hanno segnato un punto di non ritorno a partire dal quel “Me ne importa, mi sta a cuore” orientando alla presa di coscienza sociale e civile di un territorio che si deve autopromuovere in maniera consapevole.
Peccato che nel tempo qualche cosa si è persa.
Ed ancora.
Se ai tempi di Barbiana era vincere la battaglia del saper leggere e scrivere ad impegnare i più attenti, oggi la battaglia si rinnova e si spinge verso le nuove frontiere, ovvero il saper usare con sicurezza e competenza le tecnologie digitali che aprono verso la comunicazione globale dei popoli.
Questo rimane l’altro punto importante di riflessione che si lega sempre alla Comunicazione e che si allarga alle nuove esperienze didattiche e formative e che rilancia don Milani al centro di una nuova esperienza dove la Scuola diventa partecipe, quale trait d’union di un importante ruolo di integrazione.
L’”I care” di don Milani e della sua Scuola si deve e si può, dunque, ancora una volta attualizzare alla luce delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per creare nuove opportunità che oltre a soddisfare quelle occupazionali aiutino anche i tanti verso una migliore crescita umana e culturale tra le varie realtà che caratterizzano la nostra società sempre più multirazziale.
E’ questa la grande scommessa di Brolo che partì da Brolo e, ora come allora, rinnova le “sfide” di questo grande educatore e che lo pone nella piena attualità di una società che si domanda quale futuro l’attende.
E per entrare negli atti del convegno, oggi attualissimi, pubblichiamo quanto scrisse nell’introduzione del libro, il professor Michelangelo Gaglio e le relazioni del professor Paolo Corsini insieme a quella “dell’alunno di don Milani” Agostino Burberi.
Rammentando i contributi che allora diedere, tra i tanti, anche la dottoressa Tiziana Vinci, da Mons Pierluigi Milesi, vicario episcopale della Diocesi di Prato, e gli interventi di Giuseppe Laccoto e Salvo Messina – il sindaco -, di Nino Germanà e l’assessore ai BB.CC. dell’allora governo regionale Benenati, di Marco Conti Gallenti per il lavoro teatrale a supporto del convegno, dell’allora dirigente scolastica la professoressa Nunziatina Lacchese, del ministro alla pubblica istruzione Fioroni, e di Masino Bisagni.
INTRODUZIONE AI LAVORI DI MICHELANGELO GAGLIO
Dispersione scolastica mediamente al 20%(15%nel nord Italia,13%nel centro, quasi 26% in Campania, Puglia e Sicilia).
In Sicilia, le città più analfabete d’Italia; in Sicilia, tra gli studenti, mediamente lettura di un libro ogni tre anni.
Anche nei piccoli centri del nostro territorio, assenza della famiglia(eppure i genitori spesso non lavorano!) e spaesamento della scuola nel campo educativo, mentre si diffondono nelle classi episodi di violenza incontrollata e apparentemente gratuita.
Ragazzi sempre più demotivati che sentono il futuro non come “promessa”, ma come “minaccia” e quindi in preda delle passioni tristi, per usare espressioni di recente pubblicistica.
Questa è la cornice da cui è nata l’idea di un convegno su don Milani, che con i suoi scritti e la sua attività educativa si era proposto di creare dei cittadini sovrani, dei giovani che pensassero con la propria testa senza lasciarsi “massificare”, senza “essere pecore che vanno dietro alle mode”.
A promuovere il convegno non ci ha spinti, quindi, il desiderio di approfondire accademicamente la figura e l’opera di don Milani, a quarant’anni dalla sua morte e dalla pubblicazione di “Lettera ad una professoressa”; piuttosto, abbiamo avvertito l’esigenza di “TORNARE A BARBIANA”, nella consapevolezza che le idee di don Milani e della sua scuola, che ci hanno accompagnati in tutti questi anni, sono di estrema attualità.
Come abbiamo scritto nel documento progettuale,”Tornare a Barbiana” ,significa, innanzitutto, riscoprire e mettere in pratica valori come l’importanza della persona umana ,la solidarietà, la pace, l’impegno, l’essere rispetto all’avere, il lavoro.
Naturalmente, primo tra gli obiettivi indicati quello di “far conoscere agli alunni e ai cittadini l’attività e il pensiero di don Milani e scoprirne l’attualità.
L’idea del convegno è stata formalizzata nel giugno 2007 in una riunione del Direttivo del Circolo ANSPI della Parrocchia di Brolo, di cui fa parte anche l’assessore comunale alla P.I. Maria Ricciardello.
Inizialmente si era pensato di indirizzare il convegno solo al paese di Brolo, ai suoi cittadini e alla sua scuola, ma nelle successive riunioni estive abbiamo deciso di coinvolgere nell’iniziativa tutte le scuole, gli educatori e i cittadini dei paesi vicini che, del resto, presentano realtà simili e devono affrontare gli stessi problemi.
La data del convegno doveva essere sufficientemente distante dall’inizio della scuola affinché docenti e alunni avessero il tempo di leggere le opere di don MIlani, discuterle e programmare la modalità di una loro partecipazione al Convegno: per questo si decise una “tre giorni” per il 24, 25 e 26 novembre
Dopo avere scritto il “Documento progettuale”,ci siamo “attrezzati” per poter “partire” nei contatti con le scuole fin dal I settembre di modo che la partecipazione al Convegno potesse essere inserita nella programmazione annuale dei vari Istituti e dei relativi POF.
Informammo subito del nostro progetto Michele Gesualdi, direttore della fondazione don Lorenzo Milani, e ritirammo da Firenze molte copie delle opere di don Milani da proporre alle scuole e ai cittadini(nei mesi successivi abbiamo effettuato ancora parecchie ordinazioni di libri).
Numerosi i contatti col sindaco di Brolo Salvuccio Messina, dal quale ricevemmo grandi incoraggiamenti e appoggio pieno.
Col I settembre iniziò la lunga maratona nelle scuole: Io,mia moglie e suor Claudia “battemmo a tappeto”, a partire dalla scuola di Brolo, le scuole dei comuni del circondario nebroideo (Gioiosa Marea, Capo d’Orlando, PIraino, S. Angelo di Brolo, Ficarra, Sinagra, Castell’Umberto, Naso, Patti, S.Agata di Militello, Rocca di Caprileone, Tortorici).
Alle scuole proponemmo anche la partecipazione a un concorso mediante degli elaborati realizzati con diverse modalità, che esprimessero un tratto particolare del pensiero o della figura di don Milani.
I contatti con le scuole continuarono intensi fino al Convegno.
Nei mesi di settembre, ottobre e novembre l’oratorio di Brolo divenne il cuore propulsore del Convegno e il centro di smistamento del relativo materiale.
Quasi tutti i pomeriggi operava, praticamente in “seduta permanente” un comitato sorto spontaneamente e costituito soprattutto da insegnanti abitanti a Brolo o nei paesi vicini e da genitori di ragazzi dell’oratorio. Infine, negli incontri periodici con gli insegnanti della trentina di scuole che avevano dato l’adesione al Convegno si faceva il punto sulle iniziative e sulle attività che si svolgevano nei vari istituti dopo la lettura delle opere di don Milani.
In queste riunioni si mettevano a fuoco le modalità di svolgimento del Convegno: si decideva che per un’intera giornata, il lunedì 26 novembre, i protagonisti assoluti sarebbero stati, nel Palatenda di Brolo, gli studenti e gli insegnanti con i loro lavori e domande, mentre il pomeriggio di domenica 25 sarebbe stato dedicato, nella sala del Cinema comunale, agli interventi dei relatori. Il sabato sera,24 novembre, sarebbe stato dedicato, invece, all’inaugurazione della mostra su don Milani.
La mostra, nelle nostre intenzioni, avrebbe avuto il ruolo di cornice esplicativa illuminando la figura di don Milani. Essa, infatti, è composta da una sessantina di pannelli contenenti fotografie di don Milani suddivise in quattro settori:vita,scuola,attività pastorale,azioni in favore della pace.
Ogni pannello è illustrato da una breve frase tratta, per lo più, dalle stesse opere di don Milani e dei suoi ragazzi.
La mostra è il prodotto del lavoro della dottoressa Tiziana Vinci che per la sua sensibilità e competenza è stata quasi “distaccata” a questo compito.
Inoltre, il Comitato promotore, formato da Padre Marino, Suor Claudia e dal sottoscritto, dava incarico all’ottimo Marco Conti Gallenti di approntare per domenica 25 una rappresentazione teatrale che sintetizzasse con efficacia le idee di don Milani; la “compagnia teatrale” sarebbe stata formata da alunni del liceo classico di Patti, alcuni dei quali dell’oratorio, nonché da un giovane della parrocchia che avrebbe cantato, con la chitarra, la canzone”I CARE” e da un bambino della scuola primaria di Brolo.
Un gruppo di ragazze dell’oratorio avrebbe interpretato, a ritmo di danza, le parole di questa canzone, che prende il titolo dal motto divenuto motivo conduttore di tutto il convegno(“I CARE “si intitola la mostra e “I CARE”c’è scritto nella lapide apposta in oratorio a ricordo del convegno).
A ritmo continuo pervenivano, intanto, all’oratorio gli elaborati dei ragazzi inspirati all’attività di don Milani (articoli,saggi, poesie, disegni, lavori teatrali, opere di artigianato, ecc…) che sarebbero stati, prima del convegno, valutati da un’apposita commissione.
Questi elaborati ci fecero subito toccare con mano l’entusiasmo che suscitava la figura di don Milani fra i ragazzi.
La commissione, diretta dal parroco di Brolo, era composta dal Dirigente Scolastico di Brolo Nunziatina Lacchese, dal responsabile ANSPI, da docenti di lettere(Franco Pisciotta e Nino Ceraolo) di storia dell’arte (Marina Toppi e Nino Cirillo), di musica (Giovanna Vitale e Maria Grazia Insinga) e da due studentesse universitarie (Marianna Chimenti e Ottavia Trifilò).
Per la realizzazione del Convegno sono stati necessari degli specifici interventi nei vari settori e, di volta in volta, abbiamo trovato molto di più di ciò che avevamo chiesto: chi veniva contattato si sentiva come trascinato nella magia dell’evento e dava soluzioni che andavano bene al di là della semplice prestazione professionale; basti citare, a questo proposito, Massimo Scaffidi, per l’aspetto organizzativo, Eugenio Gammeri per l’allestimento della mostra e i coniugi Armenio per quello pubblicitario.
Preceduti da un’ampia diffusione di locandine e manifesti informativi, arrivarono finalmente i giorni del Convegno, propiziati anche da una lettera di saluto del ministro della P.I. Fioroni: fu un successo strepitoso di pubblico di ogni età e posizione sociale, convenuto da tanti paesi.
Il numero straordinario degli intervenuti si coniugò, cosa veramente rara, con l’estrema attenzione e partecipazione empatica con cui vennero seguiti i vari interventi e le diverse fasi del Convegno, che ebbe un moderatore di grande maestria nella persona di Masino Bisagni.
Commovente e gioiosa, in modo particolare, la partecipazione di alunni, docenti e Dirigenti Scolastici nel Palatenda:gli stessi relatori, come se si sentissero particolarmente a loro agio, risposero in modo approfondito e pure estremamente semplice alle domande degli studenti.
Al Palatenda il dibattito fu diretto dalla dirigente dell’istituto comprensivo di Brolo.
Nelle tre giornate il numero e la qualità dei convenuti evidenziarono che veramente si sentiva bisogno di don Milani.
Confesso che in quei giorni, in alcuni momenti mi sono sentito come schiacciato dalla responsabilità di aver evocato tante persone che si aspettavano da noi chiarimenti,risposte, proposte e, magari, soluzioni.
Anche per questo il presente libro più che una semplice pubblicazione di atti rappresenta un’occasione e un invito per riflettere sulle idee e sulle attività sviluppate in vista del Convegno e durante il suo svolgimento.
Heri dicebamus, et hodie…?
Oltre alle varie relazioni e ai saluti augurali, il libro si articola in sezioni che documentano lo svolgimento delle varie fasi del Convegno, propone,poi, alcune testimonianze e un’ appendice e si conclude con una serie di fotografie di alcuni momenti significativi del Convegno.
Il libro si rivolge alle tante persone presenti al Convegno e a tutte quelle che non hanno potuto parteciparvi esso è indirizzato soprattutto alla scuola nella certezza che don Milani sia un saldo punto di riferimento.
La scuola intesa come fucina educativa e antidoto all’omologazione e non come impresa o fondazione (mi perdonino quelli che hanno adattato alla scuola termini così originali e stimolanti).
A tal proposito vorrei permettermi di citare una frase di don Milani, per il quale la scuola era”l’ottavo sacramento e la pupilla destra dell’occhio destro”:”dicesi commerciante colui che cerca di contentare i gesti dei suoi clienti. Dicesi maestro colui che cerca di contraddire e mutare i gesti dei suoi clienti”(Esperienze pastorali, pp 137-139.
Il Convegno ieri e, oggi, il libro sono non un punto di arrivo, ma di partenza, una lente, una chiave che di dovrà servire per meglio focalizzare e interpretare la realtà e per potere, quindi, meglio verificare i nostri compiti e intervenire per modificarla.
Non è passato nemmeno un anno dal Convegno, eppure il clima generale sembra più fosco, più incattivito.
Ai proclami sui docenti fannulloni e bisognosi di corsi di formazione, alle minacce di cinque in condotta, agli inviti ai genitori alla corresponsabilità(solo per pagare i danni provocati dai figli alla scuola?), ci permettiamo umilmente di rispondere con forte determinazione riproponendo le parole del titolo del nostro Convegno:”EDUCHIAMO ALLA SCUOLA DI DON MILANI!”
Don Bensi, direttore spirituale del Priore, ebbe a dire:”Don Milani è più per il domani che per l’oggi, di questo ne sono sicuro”.
Ma il domani è già oggi e oggi tocca a noi, a tutti noi, raccogliere il suo messaggio.
Michelangelo Gaglio
Paolo Corsini – Don Milani: Una scuola per la legalità e la Democrazia
Io sono molto grato agli amici che mi hanno invitato a questa occasione di riflessione, di confronto sulla qualità e sulla permanenza di Don Milani nella vita pubblica e nella coscienza di questo paese.
E peraltro l’occasione mi è stata particolarmente preziosa perchè ho potuto reincontrare un mio vecchio compagno di studi e di Università, il prof Gaglio, che è stato per tanti anni mio concittadino e che non vedevo da quattro anni.
Ora sono già state dette molte osservazioni, credo, particolarmente feconde, preziose ai fini di una comprensione e di un approfondimento del messaggio, della testimonianza, dell’esperienza di Don Milani.
Io mi limiterò a richiamare alcune categorie di fondo, anche perchè non vogliamo approfittare della loro pazienza.
Mi verrebbe istintivo procedere, dopo l’intervento della professoressa Vinci, ad una qualche storicizzazione, vista la deformazione professionale anche se come storico sono un poco arrugginito dai molti anni di impegno pubblico e amministrativo. Non c’è dubbio che la figura di Don Milani si staglia sull’orizzonte di un’Italia in profonda trasformazione, in profondo cambiamento. E’ l’Italia di una società, per dirla con Aldo Moro, sempre più esigente.
E’ l’Italia che ha attraversato il boom economico, alla fine degli anni Cinquanta, e che vive gli inizi degli anni Sessanta sullo sfondo delle grandi trasformazioni che investono il mondo, fra cui il processo incipiente di destalinizzazione e di disgelo e la fine della guerra fredda che caratterizza la seconda fase della cosiddetta “Guerra Civile Europea”.
E, sul versante della Chiesa, straordinari cambiamenti che peraltro investono lo stesso rapporto che Don Milani intrattiene con la gerarchia ecclesiastica e la comunità ecclesiale.
E del resto Don Milani, come già è stato segnalato da uno degli interventi, proviene da una educazione particolarmente esigente, con una moralità particolarmente coinvolgente: figlio di una famiglia della borghesia liberale fiorentina, nipote di un grande filologo quale era Domenico Comparetti, l’autore di quel bellissimo libro che è “Virgilio nel Medioevo”.
Una famiglia di ascendenze ebraiche, e quindi la sua figura e la sua personalità sono all’incrocio di esperienze di carattere più generale, o di natura più facilmente individuabile, estremamente complesse, estremamente interessanti.
Diceva bene prima la dottoressa Vinci, e io vorrei prendere le mosse da quest’ultima sua considerazione: l’esperienza della scuola, per Don Milani, la sua pratica e la sua cultura della democrazia, la sua vocazione e il suo appello alla legalità (sono i tre temi che cerchèrò di richiamare) non possono naturalmente essere disgiunti dalla sua figura di uomo e di sacerdote, dalla sua identità religiosa.
C’è, direi, un proprium della sua personalità, perchè qualcuno ha voluto leggere Don Milani utilizzando il paragone della politica o schiacciandolo sulle vicende dell’attualità, ma credo che il proprium della sua esperienza stia nella sua identità di uomo di fede, che esercita il suo servizio sacerdotale e il suo ministero pastorale.
Ora, è stata già richiamata la dimensione della profezia, che credo sia la dimensione più propria: la profezia non è l’arte degli aruspici, o degli indovini, l’arte della mantica. La profezia è una sorta di ermeneutica del tempo suo, interpretazione del suo tempo alla luce della Parola.
Dicevano bene, prima, Don Milesi e Padre Orlando: la profezia come possibilità di disvelamento, di rivelazione, e siccome il termine di riferimento più diretto è la “Parola”, il rapporto è alla “Verità”.
Peraltro, (so che qui ci sono molti studenti del Liceo Classico), la parola “verità” in greco è “”, “ciò che è fuori da ciò che è nascosto”, da “”, “tiro fuori dal nascondimento”, e quindi la Profezia come “disvelamento della verità”. Il rapporto fondamentale che Don Milani vive è il rapporto tra Parola e Verità, che per lui ha un fondamento innanzitutto teologico, prima che sociologico o pedagogico. Don Milani diventa educatore perchè è testimone della verità, perchè la sua è la Parola che incontra la Verità, e questa Parola è una parola che a un certo punto diventa persino effrattiva, persino sovversiva, perchè ha il coraggio della Verità, che non subisce condizionamenti o cedimenti.
Quì sta innanzi tutto il primo valore della sua attualità. Io non vorrei quì, adesso, fare un richiamo di natura politica… C’è stato un leader politico, qualche mese fa, che è andato sulla tomba di Don Milani: questo leader politico ha capito perfettamente l’attualità di Don Milani, perchè? Perchè noi viviamo nel tempo della società della Conoscenza e del Sapere, o meglio, purtroppo, dei saperi, più che del Sapere.
Dico <purtroppo> perchè la società dei saperi è la società succube della razionalità calcolistica e strumentale che perde la dimensione del Sapere come orientamento alla Verità.
Però nel tempo della Società della Conoscenza, riconoscere il valore liberatorio della Parola, non in ragione di una sorta di vizio intellettualistico, di neoilluminismo. Quando tu conoscerai cento, duecento, cinquecento parole tu sarai più libero: la parola è una condizione di libertà, perchè è la indispensabile condizione della consapevolezza di noi a noi stessi, di sè a sè stesso, del sè medesimo.
Ebbene, questo incipit originario di Don Milani noi possiamo viverlo attorno a tre riferimenti fondamentali: la scuola, la democrazia, la legalità. C’è l’amico Agostino che l’ha vissuto direttamente, non mi interessa la fenomenologia dell’esperienza didattica di Don Milani, che è pur sempre interessante, peraltro presenta elementi di straordinaria novità, perchè Don Milani, nel tempo di una scuola abbastanza tradizionalista, che trasmette un sapere depositato ed ereditario, introduce coraggiose innovazioni metodologiche.
Mi interessa invece vedere almeno due categorie di fondo che riguardano, appunto, la scuola, perchè il problema di Don Milani è appunto attribuire un senso all’attività scolastica.
Perchè oggi la scuola italiana è in crisi, le agenzie educative non trasmettono appassionamento, trascinamento, vengono vissute come una vicenda quasi parentetica e strumentale nella vita dei giovani e degli adolescenti? Per una ragione molto semplice: perchè la scuola non trasmette più il senso della vita.
E per Don Milani il fondamento della propria testimonianza è proprio il senso della vita, soprattutto in ordine a due valori: il valore della libertà della coscienza, ed il valore della prossimità.
Badate bene che la lettera ai cappellani militari, in realtà, quanto al suo tema – il tema delle guerre, della “guerra giusta”, la critica della teologia tradizionale di un deposito dottrinario della guerra giusta – altro non sono che un pretesto perchè lui avrebbe potuto applicare la sua strumentazione teorica anche ad altri temi.
Ma ciò che gli interessa è affermare che la coscienza è libera, e che la libertà della chiesa è una libertà che vale nel quadro di una libertà generale, per tutti, che ha un fondamento nella libertà della coscienza.
Che è frutto, peraltro, del dono, del creato, della creaturalità della natura umana. Quindi c’è un fondamento innanzi tutto teologico nell’affermazione della libertà della coscienza, che diventa metro, misura del giudizio della storia.
Voi dite che la guerra è giusta?
Ma come, la guerra è giusta?
Come può essere la guerra giusta se non c’è una risposta equitativa rispetto all’offesa che viene portata?
Nelle ultime guerre sono più numerosi i civili che muoiono dei militari.
E quindi dove sta qui il tema di una giustizia che non può essere disgiunto dall’equità? Qui c’è l’insegnamento di Ugo Grozio, alle spalle, “de iure belli ac pacis”, “del diritto della pace e della guerra”.
Don Milani, che ha una straordinaria cultura, conosce perfettamente questa tradizione antibellicista del pensiero cattolico, “nec milito nec iuro”, scriveva Tertulliano.
Il secondo valore, è quello della prossimità, “I care”. Qui il riferimento è assolutamente evangelico, biblico: tutti conosciamo la parabola del Buon Samaritano e del Vangelo di Luca. Il termine greco che dice “prendersi cura, avere a cuore il prossimo” è “”, “Io mi prendo a cuore, prendo a cura, me ne importa”.
Qui c’è il superamento di una visione solipsistica della libertà: la libertà è sempre un fatto relazionale, che relaziona l’io al tu.
Non c’è una libertà vissuta nella separatezza dell’individuo singolo. C’è il superamento di una visione solipsistica della libertà e solitarista dell’identità. La dimensione della prossimità che Don Milani coltiva è una dimensione assolutamente antisolitarista dell’identità, e questo è di una sconcertante attualità nel tempo contemporaneo, dove lo straniero diventa “il diverso”, e quindi “l’altro”, “il minaccioso” e quindi “il nemico”, e questo si regge sulla cultura istintiva del sospetto.
Don Milani è nostro contemporaneo, non è semplicemente per noi la memoria di un’eredità e di un’esperienza. Don Milani è nostro contemporaneo perchè la sua parola cade come un giudizio sulle contraddizioni del nostro presente.
Ci consegna il dono del senso della libertà della coscienza e il valore della prossimità, il valore tutto cristiano della prossimità, evangelico della prossimità. C’è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare della scuola di Don Milani, (e questo, direi, al di là del racconto che si può fare, naturalmente anch’io ho letto le lettere, la ricostruzione degli storici e dei protagonisti): la dimensione della responsabilità.
E anche qui, di nuovo, c’è un fondamento teologico ed evangelico, perchè, ripeto, certamente la profezia ha sempre una sporgenza sull’attualità della storia, la profezia è sempre una testimonianza che giudica la politica .
Don Milani giudica la politica quando scrive la lettera a Pipetta citata da Padre Orlando: “Tu, sfonda pure la cancellata di qualche parco, anzi, sfondiamola pure insieme. Installiamo nella casa, nella reggia del ricco il trono del povero, però a quel punto io ti tradirò, perchè io ho una sola fedeltà, che è la fedeltà alla contraddizione della croce, che è il caso serio, estremamente serio della storia cristiana”.
Ho detto <dimensione della responsabilità>, e responsabilità proprio nel senso etimologico del termine, “respondere”, “dare una risposta ad una chiamata”, e la chiamata è l’attualità pregnante della parola che mi rivolge, che mi si rivolge, che mi interpella, che scuote il torpore della mia coscienza, che pone rimedio all’attitudine omissiva che caratterizza la mia distrazione nei confronti dell’altro, del prossimo.
Che per lui, che subiva forse il rimorso della propria origine borghese,è soprattutto il povero.
Ma non c’è classismo: io non leggo in Don Milani una sorta di politicizzazione classista nella lettura dell’organizzazione della società.
C’è invece il radicalismo evangelico e cristiano, “i poveri li avrete sempre con voi”, nel testo greco, e c’è appunto questa radicalità.
La libertà della coscienza, il valore della possibilità, la dimensione della responsabilità.
Della responsabilità, e cioè “Me ne importa”, “io ci sono”, una socialità ampia, aperta, dicevamo prima, inclusiva. Una scuola che vuole includere, che non vuole selezionare. “Tu maestra”, scrive a un certo punto, “sei sempre un po’ puttana, perchè tu fai sostanzialmente la scuola per Pierino”, quella scuola che si regge su una sorta di piramide rovesciata.
Questa è la provocazione di Don Milani. E questa provocazione investe la democrazia.
La democrazia perchè senza consapevolezza, senza responsabilità, senza diritto non c’è democrazia.
E badiamo bene che per lui la democrazia – ecco l’altro elemento importante da sottolineare – non è semplicemente uno strumento di regolazione della convivenza associata in una comunità che non riesce a comporre la rappresentanza degli interessi, la democrazia non è soltanto un metodo di regolazione del conflitto, in modo che al meccanismo amico-nemico si sostituisca la reciproca legittimazione, la vicendevole legittimazione. No, la democrazia è l’orientamento di un valore.
E in nome di questo valore io fondo la democrazia, vivo la democrazia e giudico la democrazia. Sono in grado di esprimere una valutazione, un giudizio. La democrazia non può essere semplicemente, come vuole la scuola neopositivista del diritto, uno strumento di regolazione, essa ha un valore che la fonda e che la precede e ha un orientamento al fine rispetto al quale la democrazia deve accettare di essere giudicata.
E qual è questo valore e quale questo fine?
Don Milani è un cattolico, e un cattolico di ispirazione democratica:è un cattolico che conosce le più ardite teorizzazioni del vangelo. Questo valore è, e non può che essere, la dignità compiuta della persona umana, che non è riconducibile a nessun “Ius sanguinis” o “Ius loci”, a nessun diritto del sangue o del luogo, ma la persona che ha la sua dignità in quanto persona.
La questione teologica diventa una questione antropologica e diventa una questione sociale.
E la consequenzialità tra questione teologica, questione antropologica e questione sociale non è il frutto di una teorizzazione arbitraria, ma è l’esito di una catena, di un circuito, che deve essere virtuoso e che si regge sul primato della democrazia. Una democrazia che, in lui, comporta insieme un mirabile senso dello stato e nello stesso tempo la legittimazione della ribellione.
Un ossimoro, sembrerebbe. No: da un lato io rispetto una cosa, e dall’altro mi ribello.
Questo è un ossimoro, una contraddizione.
Il maestro, l’educatore deve indicare i valori richiamati dalla costituzione, che tuttavia è una costituzione programmatica, è una costituzione formale, che non trova immediato adeguamento nella costituzione materiale. E se le leggi sono imperfette, l’educazione civica impegna non semplicemente alla mera osservanza delle leggi, ma anche all’indicazione di leggi migliori e future.
Don Milani è assolutamente consapevole che la costituzione promuove il miglioramento della produzione legislativa e giurisdizionale, e quindi mi pare che anche sotto questo profilo vi sia in lui una fondamentale modernità, e Don Milani sa che il fondamento della democrazia è la libertà, che è la scaturigine delle libertà. Ma se non c’è <La Libertà>, le libertà altro non sono che espressione di arbitrio, di licenza, di privilegio e di immunità.
E aggiungo io, sulla scia del filosofo Esposito, grande studioso, “l’immunitas non è compatibile con la comunitas” perchè la comunitas è l’espressione del munus, del dono, e del “cum”, del legamento, dello stare insieme.
Don Milani era assolutamente consapevole della dimensione comunitaria della convivenza, che non era un fatto eminentemente sociologico, per lui, ma era ancora una volta un fatto etico e, appunto, teologico: come ben diceva la Dott.sa Vinci, etica e morale, etica e teologia sono un binomio inscindibile nella sua esperienza. Infine, per concludere, l’ultimo filone di riflessione, la questione della Legalità.
La questione della Legalità è per lui un fattore centrale nella educazione alla cittadinanza: i miei allievi devono diventare compiuti cittadini consapevoli dei loro diritti perchè così non saranno più sfruttati ma saranno appunto cittadini attivi, esplicheranno una cittadinanza attiva.
E per lui ancora ritorna il tema tutto etico del rapporto tra legge e diritto: non basta l’osservanza della legge, perchè il diritto, lo ius, deve avere un fondamento nello iustum; se una legge ha il proprio riferimento al diritto, il diritto, appunto, a sua volta, deve avere un fondamento etico.
Dove sta la giustizia del diritto?
Dove sta lo iustum dello ius?
E’ lo iustum che rende lo ius un diritto e quindi lo legittima alla produzione legislativa, al vincolo normativo, alla obbligazione normativa.
Una obbligazione normativa che da lui di nuovo scaturiva – qui il cerchio nuovamente si chiude – dalla obbligazione della coscienza, tra l’altro in un Paese che è caratterizzato da una periodica, ricorrente, eclissi della legalità, o da una condizione di diffusa a-legalità.
Una carenza endemica, insomma, per certi versi tipica del nostro costume. Qui in qualche misura una malintesa pratica cattolica ha giocato, ha determinato un qualche condizionamento, perchè un certo cattolicesimo non vive fino in fondo il vincolo dell’obbligazione alla coscienza.
Per noi cattolici c’è pur sempre l’àncora di salvezza della confessione, no? Nelle civiltà di cultura protestante il vincolo obbligazionario della coscienza è più forte di quanto non sia nei paesi di tradizione cattolica perchè un malinteso cattolicesimo, un malinteso costume ha determinato questa sorta di tralignamento, di cui Don Milani è perfettamente consapevole, perchè lui viene da una famiglia in cui, per tradizione, cristianesimo ed ebraismo invece si incontrano, e lì c’è il valore della Torah, della Legge.
Infine l’ultima considerazione: il nesso fra legge e bene comune, e quindi, in Don Milani un fortissimo sospetto, una cultura del sospetto, nei confronti della assolutizzazione dei diritti soggettivi.
Io, di fronte alla cultura neoradicale che investe il tempo contemporaneo, e cioè una cultura che determina una relativizzazione del dovere e una soggettivizzazione assoluta del diritto, ritengo che anche sotto questo profilo Don Milani sia assolutamente nostro contemporaneo, sia assolutamente di grande attualità, perchè l’enfasi eccessiva posta sui diritti soggettivi e individuali – badate bene che non sto aprendo un versante di critica alla grande tradizione culturale e giuridica liberale, che nasce quando qualcuno cominciò a dire “Basta con l’invadenza dello Stato”, la preservazione dei diritti del soggetto rispetto all’invadenza dello Stato Absolutus, sciolto da qualsiasi vincolo.
Sto dicendo un’altra cosa, non voglio passare per un reazionario, per l’amor del cielo. Sono assolutamente convinto che dobbiamo dare vitalità e continuità alla grande tradizione giuridica liberale che dice che esiste una soglia oltre la quale il legislatore non può andare perchè non si possono “normare” i diritti soggettivi non suscettibili di legislazione normativa.
Sto dicendo un’altra cosa, che, siccome Don Milani è un uomo di fede, e un uomo di fede cristiana, sa perfettamente che esiste un bene che trascende i singoli soggetti; che “invera” il valore del bene individuale e singolo. M
a lui è contrarissimo alla cultura dell’individualismo appropriativo e dell’egoismo proprietario, anche nel campo dei diritti. E quindi, se nel caso di contrasti di divergenti propensioni sono sempre e soltanto i diritti individuali a prevalere, l’eclissi della legalità appare inevitabile. E quindi mi pare che sotto il profilo del magistero suo, la cultura del diritto e della legalità si accompagna sempre alla cultura del dovere. Il diritto è l’altra faccia della medaglia, il diritto ha sempre un fondamento e una radicazione nella consapevolezza del dovere.
C’è addirittura, nei suoi tratti piuttosto sbrigativi, un passaggio in cui dice: “La scuola è democratica quanto ai fini, ma è monarchica quanto ai metodi”, altro che lassismo permissivo del costume di casa nostra e contemporaneo, invece è un costume austero, quasi calvinista, più che cattolico, quasi costrittivo.
Io voglio ascoltare con molta attenzione la testimonianza, appunto, di Agostino Burberi, perchè so che dirà di qualche durezza di Don ni, di qualche asprezza del suo carattere, proprio perchè è consapevole che c’è un dovere al quale bisogna ottemperare, una responsabilità a cui bisogna ispirare il nostro comportamento.
Queste sono le ragioni che mi fanno dire che Don Milani non appartiene all’archeologia della storia della comunità ecclesiale italiana, o a maggior ragione, all’archeologia del costume civile:
è un nostro contemporaneo ed è una permanente, stimolante provocazione.
Paolo Corsini è professore di Storia Moderna all’università di parma e allora era sindaco di Brescia
Burberi – Don Milani Oggi
Va subito ricordato che Don Milani è morto in estrema solitudine. C ‘erano due preti al suo funerale, e nessuna autorità pubblica.
C’eravamo solo noi , intorno. Ora, dopo quarant’anni,impressiona prima di tutto noi il fatto che sia,come diceva Corsini, di estrema attualità . Dobbiamo evitare di pensare “E’ il Santino , lasciamolo stare”. Dobbiamo cercare di vedere che cosa ci serve oggi di quell’esperienza.
Io farò uno sforzo in questo senso.
Prima di tutto sapete che lui non ci ha mai parlato di sé, come se la sua vita fosse cominciata il giorno in cui è entrato in seminario. Chiamava la sua precedente vita,fino a vent’anni “il periodo del buio e dell’oscurità”.
Dopo la sua morte Neera Fallaci ha scritto un libro su quel periodo della sua storia e ovviamente anche a noi ha fatto piacere tentare di capire quel periodo della sua vita. In particolar modo saremmo interessati a sapere che cosa ha determinato la conversione.
In realtà non c’è una “via di Damasco”, scavando.
C’è una figura di giovane, a Milano, al Berchet,al liceo,che è tormentato, alla ricerca di qualcosa che gli manca dentro. Si sente vuoto. Odia, questa è la verità,la classe alla quale appartiene. Si sente fuori posto, si vergogna della sua appartenenza borghese, intellettuale, ricca.
Questa è un primo elemento che viene fuori dal periodo della scuola, del liceo. In secondo tempo, già parlando con i suoi compagni di scuola viene fuori la differenza che c’è, dal punto di vista culturale,tra ricchi e poveri.
Certo, anche i poveri,anche i montanari hanno dentro una cultura, ma è una cultura diversa da quella scritta sui libri e, comunque, non la sanno esprimere perché non hanno la padronanza della parola. Quindi la parola diventa per lui un motivo di fare apostolato, di fare giustizia sociale.
La scelta di fondo che fa è di spendere la sua vita per gli ultimi, in quel caso i contadini di montagna, ma lo fa in termini assoluti qualcuno dice perché” c’è un pezzo d’anima ebraica in lui”, non lo so, però lo fa fino in fondo.
Riesce ad essere, quando viene a Barbiana,dal punto di vista della vita, povero coi poveri,nel mangiare, dormire e vivere.
C’è un particolare che non è conosciuto: a Barbiana Don Milani è sostenuto per i tredici anni dalle famiglie del popolo di Calenzano ,che continuano a permettergli di vivere.
Ma la sua vera battaglia è stata quella di diventare povero anche da un punto di vista culturale. Certo è stata la battaglia più difficile,anche perché uno non si può tirar via la cultura che ha; anche lui ha fatto fatica a capire che da quel mondo, da quegli amici, da quel suo passato doveva liberarsi.
C’è riuscito un anno prima di morire:ha cacciato via dalla scuola di Barbiana tutti coloro che avevano più della terza media.
Questo fatto è importante nel suo cammino,è importante questo diventare”negro”, non essere “ il bianco tra i negri”
C’è riuscito certo con fatica e sul letto di morte. Dice a Michele che lo stava assistendo:”Tu non ti accorgi che sta succedendo un miracolo in questa stanza …”Michele chiede:”Ma che sta succedendo?…sei fuori … già, oramai sei alla fine.
”Lui ribatte: “Non t’accorgi che un ricco sta passando per la cruna di un ago!” Quindi, da questo punto di vista, la sua battaglia è avere scelto da che parte stare: diventare povero. Dopo la sua morte, è stata per noi una battaglia durissima far resistere questa sua immagine perché il suo mondo,la sua mamma,altra gente a lui vicina,ha fatto di tutto per riportarlo alla classe padrona :”Lui era uno dei nostri!”
In realtà poi sono stati sconfitti dalla storia, e il tempo ha dato ragione a questa sua prima scelta di fondo. Se non si vede questo aspetto non si capisce la sua vita.
Decide di convertirsi.
Noi non sappiamo come e se è vero tutto quello che è stato scritto il pane bianco, il prete,sono degli aneddoti, ma non c’è un momento,c’è sicuramente un cammino,come vi ho detto.
Va in seminario,convertito; noi abbiamo tentato anche di farcelo dire dal suo confessore Don Benzi che ci ha detto:”GUAI A VOI SE SCAVATE NEI SEGRETI DELL’ALTISSIMO!” tanto Lui vi fermerà sempre. E noi abbiamo smesso di cercare questo. Esce dal seminario, lo mandano a Calenzano.
Va anche ricordato che prima di mandarlo a Calenzano ci fu un po’ di titubanza. Nessuno lo voleva perché anche in seminario aveva dimostrato di essere scomodo. Alla fine questo grande parroco di Calenzano,il prevosto, ha bisogno di un prete e lo accetta.
Bisogna anche dire che lo ha anche protetto in tutto il periodo che lui è stato là, gli ha permesso di sperimentare un modo diverso di fare il prete. Anche lui comincia con gli strumenti normali.
A Calenzano c’era in una situazione ideologica molto contrastata: da una parte socialisti e comunisti con il 75% dei voti, dall’altra i democristiani con pochi voti, quindi una grande contrapposizione ideologica. Lui cerca, e questo lo fa per tutta la sua vita, non sostiene mai una cosa per principio senza averla studiata a fondo, nemmeno le cose più insignificanti.
Per la prima visita a Roma,allo zoo, sugli animali che avremmo visto per sei mesi ci ha fatto studiare tutto: come vivevano, cosa mangiavano, come si riproducevano. Quando siamo andati allo zoo, probabilmente,ne sapevamo più noi, di quelli dello zoo stesso.
Era un metodo questo da usarsi anche nella vita.
Con “Lettera a una Professoressa” è la stessa cosa. Ci scoppia tra le mani una situazione perché i primi ragazzi della scuola di Barbiana erano tre generazioni di un popolo ormai alla fine. Una scuola con tutte quelle ore ci permetteva anche di riuscire a fare gli esami come privatisti a Firenze per l’avviamento industriale.
Però è venuta fuori la scuola dell’obbligo nel paese vicino e per tutti i cacciati,per i buttati fuori dalla scuola dell’obbligo si è presentata un’occasione; questi poveri genitori hanno pensato:”Mah, andiamo da quel prete a Barbiana a vedere se prende i nostri figli” e ci siamo trovati nell’ ultima fase della scuola con lui molto malato e con un campione di ragazzi buttati fuori dalla scuola che odiavano la scuola.
Questo ci ha permesso di organizzare quei dati che poi ci hanno portato al libro.
Quando va a Calenzano dopo numerosi tentativi di usare tutti gli strumenti che usano gli altri preti, propone la scuola popolare a giovani, adulti, operai facendo un patto:”Vi giuro che in questa scuola cercheremo sempre la verità anche quando la verità fosse contro la mia ditta, contro la chiesa.”
L’esperimento funziona, la scuola si riempie,i giovani abbandonano la “casa del popolo” e vanno in questa scuola del prete.
Ovviamente, questo crea grandi contrasti : da una parte i comunisti furiosi perché si vedevano portare via i ragazzi dalla casa del popolo alla casa del prete, dall’altra i benpensanti democristiani furiosi perché lui portava i comunisti in canonica.
E gli altri preti , va anche detto, erano un po’ gelosi che con lui funzionasse, che ci fossero tanti ragazzi, perché lui riusciva ad attrarre ragazzi alla scuola.
Questa miscela lo porta , quando muore il vecchio parroco che l’aveva difeso, alla sua cacciata via.
Va subito detto che un grande valore per lui era l’obbedienza. Don Milani è stato un obbediente profondo pur essendo disobbediente. La cosa va capita nella sua forza:”Vai a Barbiana!”
Lui non va a vedere Barbiana, non viene a vedere Barbiana ma chiede a Eda e alla nonna,la mamma di Eda, che erano le vecchie perpetue di Calenzano che servivano il pievano:”Cosa volete fare, venite con me?” e queste povere donne vanno a vedere Barbiana. Immaginate: non c’era acqua, non c’era strada, non c’era luce non c’era nulla.
Eda e la nonna tornano giù con le mani nei capelli: “ Oh, mio Dio dove ci mandano!”Però, santamente, lo hanno seguito e Eda, lo si diceva giustamente,è stata per Barbiana una figura molto importante:ci ha fatto da mamma, da donna di equilibrio tra il popolo e lui.
Dalla cucina, ogni tanto quando sentiva che lui ci urlava alla scuola, usciva subito e diceva: “Ma Priore, quel povero bambino!” Aveva quest’ animo materno che era di equilibrio.
Lui arriva ed io ho avuto la fortuna di incontrarlo per primo.
Facevo il chierichetto al vecchio parroco,non era vecchio, al precedente parroco. Lui è entrato in chiesa il 7 dicembre del 1954 alla vigilia dell’ Immacolata e dal giorno dopo ha cominciato a girar le case presentato dal parroco ai paesani. Barbiana è costituita da piccole case sparse: ai nostri genitori ha subito parlato della scuola e , dal giorno dopo, abbiamo cominciato a fare doposcuola con lui
L’obbedienza:” Obbedisci , vai a Barbiana!” Lo mandano a Barbiana per tappargli la bocca “… così stai zitto, così non rompi …” In realtà Barbiana è stato per lui il pulpito da cui ha parlato a tutti.
Va detto che lui sicuramente ha dato tanto a noi ma ha avuto anche tanto da Barbiana. Ha trovato una situazione irripetibile perché Barbiana,così, è un modello irripetibile: trovare ragazzi non rovinati, senza distrazioni, senza nulla; l’alternativa, l’avete sentito prima,era solo il lavoro. Perciò la scuola è stata aperta.
I nostri genitori ci hanno mandato a scuola non perché hanno condiviso le sue idee,non c’è stata discussione, ma solo perché, hanno fatto tanti sacrifici i nostri genitori (mio padre partiva alle quattro di mattino per andare a lavorare a Firenze e tornava la sera alle dieci) ma solo perché vedevano la speranza di avere gratuitamente una scuola, e quindi alla fine un diploma, per i propri figli. Questa è la cosa che ha trattenuto” i nostri genitori.
L’ obbedienza c’è stata anche se c’è stato uno scontro costante con la gerarchia.
Chi ha mandato Don Milani a Barbiana è stato Elia Della Costa, un grande cardinale per Firenze.
La curia non lo amava tanto. Poi a Firenze in quel periodo “ spirava fortemente lo Spirito Santo”, c’era un sindaco come La Pira (lo faranno santo tra poco), c’erano Don Facibeni, Balducci, e una situazione ricca di fermenti ed Elia Della Costa era un po’ accusato di essere un catto-comunista che difendeva questa strana situazione.
E gli hanno mandato questo Florit, una persona che non c’entrava nulla ( era uno studioso, studiava gli Ittiti, i Sunniti), dalla curia romana l’hanno mandato lì per far fuori Elia Dalla Costa e questo qui è entrato nella realtà fiorentina , vivace come vi ho detto,è entrato un po’ come un elefante in una cristalleria.
Non ha tentato di capire le situazioni che aveva nella sua diocesi e si è messo a scontrarsi. Con una lettera molto brutta ad un certo punto cacciano il direttore del seminario di Firenze dopo tanti anni (siamo nel periodo conciliare), Don Milani chiede agli altri confratelli di mandare a dire al cardinale con una cartolina che “ non siamo d’accordo, dicci perché l’ hai fatto in maniera che lo possiamo spiegare ai nostri fedeli ” Ovviamente nessuno dei preti che era vicino a lui (ora sono tutti “don milaniani”) ,neanche quello che gli era più vicino, mandò questa cartolina.
A quel punto Florit fa una circolare di risposta in cui dice:” Due confratelli hanno dato dispiacere al loro vescovo; sappiano che se non si trovano bene in questa diocesi possono andare da un’altra parte” oppure, in maniera più significativa “Se decidono di smettere di fare il prete avranno il mio consenso”
Questo era il rapporto con Florit: Don Milani ha sofferto moltissimo per questo rapporto, e non tanto perché lui pensasse di essere “ fuori dalla chiesa”. Noi eravamo i suoi ragazzi e non entravamo in discussione che lui fosse il prete però, lo dice benissimo in quella lettera a Pipetta:”Caro Pipetta, tutte le volte che mi vedi dici che se tutti i preti fossero come me, allora sì. Tu pensi di farmi un piacere in realtà tu strofini il sale nella ferita.”
Cioè lui soffriva il fatto che agli occhi dei fedeli potesse essere considerato così e non un prete, come un fratello dentro la Chiesa e questo l’ha sofferto fino alla fine e l’unica volta che l’ho visto piangere ..in cui il Cardinale gli ha scritto:”Tu sei grande, ti stimano, ti darebbero subito una parrocchia più grande se tu volessi!”…”Per me Barbiana è già troppo” Va ricordato il fatto che lui da Barbiana non sarebbe mai andato via.
A parte il fatto che cercando il terreno per farsi seppellire (qui a Barbiana il terreno non costa) era un’assurda richiesta, lui ha sempre detto e scritto che se gli avessero tolto Barbiana sarebbe andato in clausura a fare il trappista.
Non voleva assolutamente perdere Barbiana.
Gli dicevano:” Tu sei un prete classista, uno che usa solamente l’aceto invece del miele. Anche i ricchi hanno bisogno di carità cristiana!” Ecco, questo era il rapporto. Va anche detto per amore di verità della storia che poi a Florit sul letto di morte, venuto a dargli la Comunione disse di lasciare a Eda Barbiana fino alla sua morte e Barbiana si è salvata.
Come è stato detto prima, credo che tutto ci serva per riflettere su noi stessi.
Quando i suoi amici dicevano:”Dicci come fai a fare scuola, visto che la tua scuola funziona; rivelaci la formula” “Non è importante cosa bisogna fare per fare scuola ma come bisogna essere per fare scuola. Questo vale per scuola, politica, amministrazione, sindacato.
“ Io credo che questo sia un valore sul quale vale la pena oggi riflettere perché mi sembra importante.
L’altra cosa è l’esempio e la coerenza. L’obbedienza, come ho già detto, era un valore assoluto; se il vescovo gli diceva: “Non andare a fare una conferenza a quella scuola là!” Lui non andava ma il giorno dopo una lettera compariva.
Quindi, da una parte don Milani ha sempre obbedito e credo sia stata la sua forza ma dentro ha sempre fatto la battaglia per non rinunciare mai al suo pensiero, al suo esempio.
Sul motto della scuola”I CARE” penso sia già stato detto tantissimo
Sulla responsabilità: l’impegno personale, il fatto che ognuno di noi si senta responsabile di tutto.”L’obbedienza non è più una virtù ma la più subdola delle tentazioni” è un passaggio della”Lettera ai giudici”; si vuole dire l’obbedienza cieca: Hitler ha ordinato, io ero un soldato ed ho obbedito. Non ho messo in discussione questa cosa e quindi sono tranquillo, non ho dubbi. No! Ai giovani va insegnato che ognuno di noi ha la responsabilità totale di tutto quello che avviene.
Credo che questo sia importante anche oggi: ognuno di noi pensa:”Noi siamo perfetti, i ladri sono gli altri.
In un comune c’è l’emergenza immondizia:non importa, sto nel comune accanto.
I Rom abitano accanto a noi: non mi riguarda perché abito lontano. Ecco: tutti questi modi di non assumersi la responsabilità sono proprio il contrario di ciò che don Milani insegnava .
Due altre cose: una è il prossimo. Certo, io amo la classe sociale dei poveri, degli emarginati.
In una bellissima lettera Nadia, una studentessa napoletana gli scrive:”Caro don Milani, sto cercando Dio, aiutami a trovarlo.”
Lui le risponde:”Smetti di fare l’ universitaria, prendi i ragazzi, ne hai tanti intorno a Napoli, che non hanno nemmeno la scuola dell’obbligo; mettiti a fare scuola a loro e basta.
Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura.
E’ una promessa sicura del Signore contenuta nella parabola delle pecorelle”.
Questo la dice lunga perché poi aggiunse nel suo testamento”Cari ragazzi, ho voluto bene più a voi che a Dio,ma spero che lui non stia attento a queste sottigliezze ” Un’altra cosa è il valore del tempo (a cui è stato accennato prima).
Il tempo è un dono di Dio. La bestemmia del tempo è un peccato grave.
Non si può buttare via il proprio tempo, particolarmente quando si è giovani, cioè nel periodo in cui si è più vivi e si ha voglia di cambiare .
Il tempo dobbiamo dedicarlo senz’altro a qualcosa di importante, agli altri, a cambiare la società, al prossimo.
E questo anche oggi: se dovessimo fare una fotografia della realtà attuale, fermiamoci su questo concetto del tempo.
Faccio l’esempio della discoteca, lasciamo stare il giudizio che ognuno di noi può avere;il fatte è che dalle otto di sera alle due di notte si continua a sciupare il tempo.
Usare il proprio tempo per costruire una società migliore io credo sia una cosa importante. Dice in “Lettera ad una professoressa”: per motivare i ragazzi alla scuola bisogna dare loro un fine. Deve essere un fine grande e non può essere la carriera e i quattrini.
Il primo è essere uguali con la parola,parola anche in lingua straniera per intenderci con tutti i fratelli del mondo e poi un fine molto più alto che non può essere che quello di dedicarci agli altri.
Questo è l’insegnamento più bello e attuale che egli ci ha dato.
Agostino Burberi è stata alunno di Don Milani ed è nei vertici della “Fondazione Don Milani”.
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