Accogliamo lo sfogo di due fratelli, certi che le verità potrebbero essere diverse, potrebbero essere viste da angolazioni diverse, un racconto quello che pubblichiamo anche dettato da prospettive alterate, ma non per questo sanguigno, “vissuto” e per questo già ora pubblicheremo eventuali smentite, rettifiche, precisazioni, altre storie su quello che poteva e voleva essere un nuovo lido liparense.
In fondo aprire il dibattito, fare luce, evitare che si creino zone d’ombre è sempre una necessità.
“Io mi chiamo Marco Lo Schiavo, mio fratello è Gianluca, e a Lipari ci conocono tutti”.
Inizia così la chiacchierata-racconto con due giovani di Lipari, abbronzati, sereni,ma con dentro la rabbia di chi si sente oppresso dalla burocrazia, indignati da quello che definiscono il malaffare politico, traditi e offesi dalla mancanza di equità e rispetto.
Certi di aver subito un torto.
E’ una storia attuale, dei nostri giorni, mentre corre l’anno – anzi l’estate – 2013, ma sa di antico, di potestà e vecchi poteri, logore logiche di spartizioni di comuni, del peso dei politici dei partiti, del pagare lo scotto di “non appartenenze”, di gestioni di scrivanie personalizzate… quelle stesse storie che fecero emigrare tanti isolani negli anni sessanta ed ancor prima.
Parla Marco “un giorno vedendo una vecchio fabbricato in disuso, a Porticello, con mio fratello abbiamo deciso di realizzare un piccolo sogno – l’havana beach – lasciato in un cassetto ormai da anni, avere un lido.
Attrezzarlo, animarlo, viverlo come piace a noi.
Era un’idea che è e stata sempre nel nostro cuore, ma non avendo una concessione demaniale sapevamo bene che era un sogno irrealizzabile.
Poi l’art.68 dalla Capitaneria ci ha fatto credere che il sogno poteva diventare concreta realtà.
Potevamo noleggiare sdraio ed ombrelloni ambulanti.
Bastava poco.
Per questo – dice sempre Marco – parlando con il proprietario di quel fabbricato ne abbiamo ricevuto – in comodato d’uso – un terrazzo.
Quello che a noi serviva solo ed esclusivamente per la notte, dove potevamo mettere a deposito i lettini e gli ombrelloni, a riparo dalle mareggiate, dagli atti vandalici.. per essere più tranquilli e sereni”.
E continua, “Credevamo di avercela fatta, ma a metà di giugno arrivano tecnici del comune, i vigili urbani e la capitaneria.
Noi non eravamo lì, nessuno ci aveva avvisato.
Fotografato il fabbricato, quello alle spalle del terrazzo, e viene fuori una relazione che denunciata inagibilità di quel sito”.
I due fratelli sono sconfortati vanno in comune, girano negli ufficio tecnici, chiedono altre verifiche, vogliono dimostrare che i luoghi sono differenti, che una struttura dei primi del 900 è vetusta, ma non pericolante, che poi, allargando l’orizzonte delle verifiche, tanti luoghi anche deputati a fare vero e reale intrattenimento sono nelle stesse condizioni di quel terrazzo e legalmente continuano le loro attività”.
Non si fermano citano altri luoghi: la spiaggia della Papesca, Porticello, Pietra liscia, correlano parentele, altre vecchie storie di Lipari e guardano anche a quello che succede in altre isole sempre sottola giurdizione del comune liparense.
“ Perché noi no?” Si chiedono.
Ed ora denunciano: “Le cave delle pomice, alle spiagge bianche, altri siti sia a ponente che a levante – le riviere di Lipari – vivono situazioni precarie, ai limiti delle normative, da sempre, con licenze che – leggende metropolitane? – “girano” ed occhi che bonariamente si socchiudono da sempre…
A noi va bene così – sottolineano – serve per il turismo, per l’economia locale, per dare lavoro, fare occupazione….. ma allora un giovane cosa deve fare per andare avanti, se non ti aiuta nessuno, anzi ti ostacolano?
E aggiungono all’unisono – Vedendo queste cose c’è solo da pensare che chi può va avanti, chi come noi non può – figli di un dio minore – resta al palo, deve chiedere, elemosinare.. ecco come si crea l’economia del bisogno.
Favori da ripagare… forse anche in voti, in pacche sulle spalle, in sorrsi, in coktail offerti al bar”.
Loro volevano aprire quello che chiamano “un nuovo paradiso in una spiaggia abbandonata”.
Per questo l’avevao ripulita, levato spazzatura, ferri arrugginiti e pericolosi, avrebbero portato lì un indotto che – loro stessi – hanno creato nel tempo, senza levare nulla a nessuno, affittando le barche da sempre.
“Uno schiaffo in faccia abbiamo ricevuto – dicono per nulla rassegnati – da quelle strutture amministrative sorde e poco attenti alle esigenze che provengono da basso”.
“Lipari ha bisogno di noi giovani pieni di iniziative e deve darci gli spazi giusti, necessari per farci vivere con dignità e non riservarli solo agli amici o amici di amici – aggiungono – qui la gente vede, sa, ma non parla, e noi siamo stanchi di tutto ciò e vogliamo che le cose vadano per come prevede la legge che deve essere uguale per tutti”.
“Non ci fermeremo – concludono – la stampa prima, ma poi la gente, i volantini, la comunicazione, il Prefetto, il Presidente quando viene a Stromboli… la nostra dignità non ha prezzo… la nostra vita ha un valore… il nostro grido non resterà isolato … il vento eoliano dovrebbe davvero spazzare quello che non funziona”.