Su facebook sono i più insopportabili: pubblicano contenuti offensivi o decine di selfie, esprimono la loro opinione su ogni argomento, ci coinvolgono nella loro quotidianità. Post dopo post. Per salvarci dalla loro irritante presenza basterebbe un semplice click. Eppure fatichiamo a schiacciare quel tasto e a eliminarli per sempre dalla nostra vita social. Tanto che alla fine ci rinunciamo e decidiamo di reggerli a oltranza. Pure se ne faremmo volentieri a meno. Pure se ci infastidiscono. Spesso senza riuscire a farne meno, a volte diventandone schiavi. Ma quali sono le ragioni dietro questa sorta di masochismo volontario? Secondo uno studio presentato alla conferenza annuale della British Psychological Society, l’associazione professionale degli psicologi del Regno Unito, i già menzionati contatti molesti sono, molto spesso, anche quegli amici che hanno più successo al di là dello schermo: nella vita reale.
Può essere il capo, il rispettato compagno di lavoro, il leader della comitiva con cui usciamo, o un personaggio di riferimento in un determinato settore. Individui influenti, insomma, da cui non ci distacchiamo solo per una ragione ben precisa: non subire delle ripercussioni. Anche perché, per via di strumenti come “Who deleted me”, è diventato difficile che il nostro gesto passi inosservato. “Le persone non vogliono rischiare di causare delle tensioni offline con amici, familiari e colleghi disconnettendoli dalle loro esistenze online”, ha detto Sarah Buglass della Nottingham Trent University, presentando l’analisi. “Rimanere collegati sul web con i fomentatori sembra essere per alcuni una vera necessità sociale”. Per arrivare a tale conclusione il team di ricerca ha preso in considerazione un network composto da 5113 persone legate a 52 utenti della piattaforma in blu.
A ognuno di loro è stato chiesto di valutare 100 contatti selezionati a caso all’interno della rispettiva cerchia di amici. Una stima per capire, tra le altre cose, le volte in cui si trovano in disaccordo sul web, il tipo di relazione che li unisce e la frequenza delle comunicazioni sia online sia offline. I risultati: cyberbulli, piantagrane, disturbatori e facinorosi da tastiera tendono a essere quegli stessi amici popolari, con cui poi abbiamo contatti regolari nella quotidianità. Ma non su Facebook, dove seppur li conserviamo lì, all’interno della nostra cerchia, allo stesso tempo li evitiamo. “Questo implica che gli utenti potrebbero tenere d’occhio i provocatori per evitare un confronto”, suggeriscono dalla British Psychological Society. Buglass puntualizza: “Sembra che molti di loro (le persone intervistate ndr) non vogliono interagire con gli istigatori online, ma contemporaneamente non li vogliono nemmeno cancellare”. Qualche esempio: c’è chi pubblica status ambigui, allarmisti, o tristi (spesso con l’intento di farsi consolare); c’è l’amante di quelli che un tempo si chiamavano autoscatti; c’è chi posta ogni attimo della propria giornata; chi millanta di averla favolosa; chi ha il “like” compulsivo; chi è ossessionato dai giochi che si trovano sulla piattaforma, come Candy Crush, e vorrebbe coinvolgere anche noi; e c’è ancora persino chi usa la funzione poke, la cui utilità è sempre stata dubbia. E se non riusciamo a cancellarli, allora possiamo limitarne l’impatto, aiutando il nebuloso algoritmo che decide cosa vediamo in bacheca a capire ciò che più ci interessa. In casi estremi, uno è lo strumento principale che Zuckerberg ci ha messo a disposizione, per aiutarci: “non seguire più”. Una liberazione. Evita le grane, nonché l’imbarazzo di dovere delle spiegazioni. Ma ha anche un rischio: intrappolarci in una bolla, dove non esiste dissenso.

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