La nota di padre Enzo Caruso… potrebbe essere il finale di una “Festa” tutta da ri-fare… Ma non sembra proprio.
PER GUARDARE AVANTI, CON CORAGGIO E DETERMINAZIONE PIANA, LA SUA FESTA E LE FESTE IN GENERALE, scrive Padre Enzo, al centro di una polemica, ma non solo di quest’anno, per la gestione, della festa di Piana con la passata amministrazione.
È davvero fallita la festa di Piana? si Chiede il parroco, aggiungendo “o siamo a un nuovo punto di partenza?” Lui effettua una lettura, personale ma con diversi spunti interessanti, per pensare in positivo e andare avanti. Ma da anche le sue valutazioni su quei “canoni” che dovrebbero portare verso una corretta interpretazione delle relazioni istituzionali fra Ente Locale e Parrocchia.
Ma “cunsala commu vò” la Festa di Piana si è dimostrata a volte un problema, che affonda le sue radici in lontani e recenti passati eed è giusto parlarne.
Noi la pubblichiamo integralmente la seconda nota del parroco di Brolo che sostituisce la precedente, aggiungendo quanto già scritto e quello che ha poi dichiarato Nuccio Ricciardello, l’assessore al turismo. Buon lettura.
E’ davvero fallita la festa di Piana 2019? Oppure è stata un nuovo punto di partenza? Un contributo per pensare in positivo.
Premessa
Anche quest’anno la festa di Maria SS. Addolorata di Piana è archiviata.
A chi mette l’accento sulle polemiche di quest’anno, la risposta è questa: non vi è stata mai una festa a Piana che non sia stata segnata, in un modo o nell’altro, da difficoltà, tensioni, scontri e rivalità. Negli anni sono stati attaccati i membri della commissione, ora uno ora l’altro, sono cambiati, ci sono state scissioni, accuse e contro-accuse. Le famiglie, molte delle quali semplici attori della festa, altre, invece protagoniste con maggiore peso e con le inevitabili alleanze politiche alle spalle, si sono incontrate e scontrate, più spesso che occasionalmente, per i vari aspetti che riguardavano la festa, perfino per il gioco dei pignateddi.
Ma la festa è stata sempre fatta.
Erano anni d’oro. I contributi pubblici erano sovrabbondanti. C’era il contributo di tutti, delle sopradette famiglie, con le loro offerte, l’orgoglio di esserci e la collaborazione. La festa è stata fatta perché nella commissione hanno operato, per quarant’anni, persone che hanno affrontato ogni difficoltà e, per orgoglio e per dignità, non hanno mai lasciato il loro posto, incassando colpi e andando avanti. Altri sono stati esclusi e si sono posizionati in una sorta di “opposizione”.
In un modo o nell’altro la festa di Piana era la festa di tutti.
Parlare della festa di quest’anno come l’anno e del fallimento è falso e strumentale.
La verità è che la festa ha visto la partecipazione di un popolo numeroso, inaspettatamente più numeroso degli ultimi due anni. La Chiesa strapiena, anche alla Messa delle 11, quella che, per motivi di caldo, è celebrata ogni anno solo con un residuo più coraggioso di fedeli. La partecipazione alla processione è stata davvero numerosa. Allo spettacolo della sera la piazza era stracolma. Dove sta il fallimento, quindi?
La verità è che, in un paese dilaniato e vesssato da un dissesto sociale e umano, c’è nella gente una voglia di normalità che rende nauseabonde le polemiche. Ma c’è un piccolo nucleo che di polemiche, di diffamazioni costruite ad arte e di sabotaggio sociale vive e prospera.Con buona pace di tutti, c’è un popolo che a Piana ha festeggiato la sua Madonna in pace, con devozione, con una festa organizzata, quest’anno, in modo più sobrio, in un solo giorno. E questo popolo ha sempre mostrato la voglia di tenersi lontana da polemiche costruite ad arte e logoranti, di cui gente è stanca e nauseata.
Tra di loro ci sono “gli ultras iper-arrabbiati, i deliranti”. Pace all’anima loro.
Voglio, piuttosto, fare una riflessione sulla natura della festa, in generale, per mettere in evidenza qual è stato l’obiettivo della Parrocchia nell’organizzare le feste religiose di quest’anno.
Primo punto
Dobbiamo tenere conto di un dato. La festa popolare in Sicilia ha una genesi e una evoluzione diversa dalla festa nell’Italia settentrionale, che affonda le sue radici nella storia di una autonomia politica dei vari comuni, fieri e dirompenti di cultura. Quasi sempre anche le manifestazioni più laiche avevano legami con la fede (basta pensare al Palio di Siena) ma, in quel contesto storico e culturale, si sono potute sviluppare tradizioni popolari, appunto, laiche, accanto alle feste religiose o anche del tutto autonome.
Solo in quel contesto si può parlare di guelfi e ghibellini. Di forze contrapposte sul campo che rappresentavano i due poteri: Stato e Chiesa. In Sicilia questi accostamenti non hanno alcun significato. Anche perché, in Sicilia, che sviluppa un’altra linea storica, potere politico e potere religioso spesso – e purtroppo – si fondevano al punto da non distinguersi.
In una terra, quella siciliana, tremendamente bella e dannata dalla sua storia, segnata da dominazioni secolari, non si sviluppò mai una identità autonoma di società. Il feudalesimo in Sicilia termina con la fine della Seconda guerra mondiale. Con qualche strascico si è prolungato, mimetizzato in altre forme di controllo sociale, fino ad oggi.
In Sicilia, pertanto, la festa popolare presenta delle caratteristiche proprie (ne citiamo qualcuna, a modo di esempio):
a) Nasce da una religiosità che incarna tutto il dolore di in popolo sottomesso, privo di identità e dove la speranza e il futuro sono concetti incomprensibili.
b) Nasce come grido di aiuto al “potente” (il “santo” patrono, il “protettore”), attorno al quale si raccoglie il popolo, la sua disperazione, la sua incredibile capacità di resistenza alla sofferenza e la sua insopprimibile voglia di vivere. Il santo, che in Sicilia, in moltissimi casi, è la Madonna, la cui devozione nell’isola è senza confronti, costituisce una luce di speranza. Egli, davanti al “potente” temporale, si configura come il “potente” che protegge il popolo, cammina in mezzo ad esso (la processione e le risse per portare la vara), è colui che porta Dio dalla parte del popolo.
c) Avere un Santo Patrono è causa della festa, è motivo di gioia ed è liberante, perché scioglie, per qualche giorno, il senso di oppressione dalle catene sociali.
d) Questa gioia si trasforma in gioco, si sviluppa in tradizioni ludiche o attorno al santo o che coinvolgono il santo stesso. Santi che fanno la danza nella piazza principale, santi che fanno la corsa, santi che fanno la rincorsa per abbattere muri costruiti appositamente. Santi che ballano tra figure di giganti, ultimi residui di un paganesimo estinto, fusi con le tradizioni popolari di matrice cristiana. Basta pensare ai legami intercorrenti fra il culto di S. Calogero di Agrigento e quello pagano tributato in loco ad Ercole in età ciceroniana. Nascono le sagre e i giochi che oggi ancora conosciamo.
e) Il ruolo delle famiglie e la festa, in Sicilia. Nella Sicilia antica la famiglia è patriarcale. E’ l’unica fonte di identità dell’individuo, in una società dalla non-identità come popolo. “Ri cu è figghiu?”. La generazione dei cinquantenni può ricordare ancora questa domanda, al passaggio di un ragazzo, davanti agli anziani seduti al bar. Le famiglie si configurano, all’interno dei vari gruppi umani (contrada, borgo), assumendo i tratti del clan (il termine qui è usato in senso sociologico) è diventano, con i cognomi storici, attori fondamentali della festa per generazioni.
Quello che va sottolineato con forza è che, nel Meridione, non esiste un vero dualismo tra festa religiosa e festa ludica. Non sono due tradizioni distinte. Sono fuse in un’unica entità. Ci sono solo alcune illustri eccezioni in tutta l’isola.
Secondo punto
A Piana la festa conosce uno sviluppo che, negli ultimi decenni, si è evoluto. La disponibilità di cospicui finanziamenti, l’orgoglio delle famiglie e la forte identità di “contrada” hanno generato la più grande festa del comprensorio.
Tutto questo è finito.
I patriarchi delle varie famiglie non ci sono più. Erano loro il pilastro della festa. Ciò che rimane è un gruppo sociale con un forte attaccamento alle proprie radici di contrada, che mal sopporta l’inclusione urbanistica nell’ormai unico centro abitato di Brolo, ma che rimane disarticolato e smembrato, senza la coesione sociale che costituiva il collante che permetteva alla festa di Piana di essere ciò che era.
Parlare di declino della festa per colpa delle commissioni è falso. Sono state le commissioni, con i vari membri che si sono succeduti, a fare la festa di Piana negli ultimi 5 anni. Oltre alla commissione storica, che si è estinta proprio qualche anno fa, un plauso va alla Pro Loco che, con dignità e sacrificio, ha gestito la parte non religiosa della festa l’anno scorso (2018) e il Gruppo dei Volontari della Parrocchia, di cui la maggior parte di Piana, che l’hanno organizzata quest’anno.
Ora siamo a un bivio. E bisogna che ognuno che crede a questa festa si interroghi sul futuro. E’ al futuro che dobbiamo guardare. Il passato ci è di lezione e memoria, ma la nostalgia non ha mai costruito il futuro. La festa di Piana è entrata in quella fase di cambiamento storico che ha messo in discussione tutto del mondo antico e delle tradizioni che ci sono giunte. Se le vogliamo fa vivere nel futuro dovremo compiere un vigoroso atto di riflessione e ridefinire posizioni e obiettivi.
Questo cambiamento si innesta nelle grandi trasformazioni sociali, culturali, economiche che hanno cambiato il volto della nostra nazione per sempre. Occorreva una lettura profonda di queste trasformazioni per capire cosa stava cambiando anche nelle feste. Vi sono due fallimenti da registrare. Quello delle parrocchie, rimaste impotenti e senza vigore missionario davanti all’emorragia di un popolo giovane che si è spostato in massa altrove, in cerca di lavoro e davanti alla crisi globale che ha colpito le famiglie. Erano loro che dovevano ricevere e tramandare, a loro volta, le tradizioni del passato. Un fallimento ancora più grande è quello della politica, che non è stata neanche capace di leggere e interpretare la fenomenologia della trasformazione in atto e ha, negli ultimi anni, ha guardato le feste e alle tradizioni religiose come ad attrazioni turistiche e, in particolare a Brolo, come a potenti strumenti di ripulitura della propria immagine davanti al popolo.
Le tensioni attorno alla festa della Madonna Annunziata (2017-2018) hanno questa sola origine. Dunque, l’attacco alla Chiesa – cosa che costituisce una novità assoluta nella storia del rapporto tra Chiesa e potere civile, nel nostro comprensorio, e non solo – che “non avrebbe voluto collaborare con l’amministrazione comunale” (questo era il teorema) è da ritenersi un attacco politico a tutti gli effetti.
L’esempio di Salvini che gira l’Italia agitando, con sempre maggiore nervosismo, la sua corona del rosario, baciandola e mostrandola come un trofeo, un talismano, davanti ai gruppi che lo stanno contestando, è la prova più eloquente di quanto appena detto.
Terzo punto
Il risultato di questi fallimenti è la declassificazione della festa da momento di fede, di aggregazione e di socializzazione a mero evento turistico, uno dei tanti eventi in programma per animare l’estate e attirare turisti (la festa è un evento che deve attirare gente allo spettacolo serale; il successo della festa viene misurato in base al prestigio del cantante e alla riuscita della sagra. “Chi si mancia?” “A cu portanu?”). Dall’altra parte vi è la riduzione della festa ad evento folkloristico, da promuovere sempre allo scopo di “far venire gente da fuori”.
Questo atteggiamento del popolo stesso verso la festa è indice di una tragica perdita di valori, anche verso gli aspetti più legittimamente ludici della festa tradizionale (valore non è solo la fede ma anche l’aggregazione come popolo). I giochi di un tempo aggregavano. Il cantante porta gente ma non aggrega, non favorisce la socializzazione. Non costruisce comunità.
Ci troviamo, adesso, davanti alla necessità di rifondare la festa (la concezione di festa), ripensarla, ricostruirla attorno a valori antichi e, insieme, nuovi parametri. Questi parametri vanno ancora individuati, non possono essere – e non saranno – quelli turistici o commerciali. E’ una difficile trovare la soluzione. E’ una ricerca che impegna la Chiesa in primis, che non ha la soluzione immediata a difficoltà che affondano le radici in una crisi che è anzitutto antropologica, non economica.
E’ in atto una profonda crisi antropologica globale. La chiave di lettura per comprendere quanto sta succedendo è antropologica, non sociologica. E, mancando la giusta lettura, è proprio la mancata elaborazione di un nuovo umanesimo, anche cristiano, che ha fatto sì che, quasi in ogni paese, le feste si vivono ormai come commistione tra devozione e superstizione, folklore e attrazione turistica. La componente devozionale non è scomparsa ma si è ridotta molto a devozionismo.
La parrocchia a Brolo è impegnata in un vigoroso lavoro di ricomprensione del senso e della forma in cui le feste devono celebrarsi.
a) Per quelle tradizionali, come Piana, è ovvio che si vuole recuperare la dimensione ludica e “non direttamente religiosa” e impedire che scompaia del tutto. Le tradizioni religiose in senso stretto e anche ludiche vanno custodite e tutelate, non eliminate. Vanno riqualificate, purificate e riproposte. Vogliamo una festa con un triduo di preghiera e con eventi anche alla vigilia. Vogliamo che le famiglie si sentano protagoniste, ma è un lavoro tutto da fare. Si potrebbe proporre perfini un’Ottava della festa. Ma a certe condizioni.
b) Nel frattempo sono stati individuati alcuni dei nuovi parametri da attenzionare. C’è un crescente bisogno di una spiritualità autentica che sta emergendo dal popolo, un bisogno di riagganciare il contatto con Dio che le antiche processioni, gli antichi riti, che costituiscono sempre un patrimonio sacro, non riescono più a garantire. C’è anche bisogno di una fede silenziosa, di meno baccano, di maggiori spazi di contemplazione. Il popolo chiede di essere aiutato a pregare. Le famiglie chiedono alla Chiesa di essere aiutate a trovare Dio nei drammi della loro vita quotidiana. E la Chiesa deve esserci per loro. Con buona pace di coloro che vorrebbero un’estate piena di feste dove si mangia e ci si diverte, anche feste nuove, la Parrocchia a Brolo non intende rinunciare a questo compito che ha la priorità sull’organizzazione di una festa.
Forse la prova più sorprendente tra incontro tra Chiesa e popolo, in queste nuove domande emergenti, lo abbiamo visto l’anno scorso, la notte della processione, al Castello, della Statua Pellegrina della Madonna di Fatima (2018). Quasi duemila pellegrini, venuti da ogni parte, in quella notte, si sono inginocchiati sui ciottoli delle strade interne del castello, perfino anziani, durante la preghiera di consacrazione della città di Brolo alla Madonna.
Da quell’evento, scritto ormai nella memoria di Brolo, nasce la festa della Madonna di Fatima, che sarà celebrata la prima domenica di ottobre. Non ci saranno bancarelle né baccano. Sarà una festa all’insegna della ricerca spirituale.
Sono nate così, altre nuove tradizioni, come la benedizione delle famiglie, che, partecipate ora da masse ora da piccoli gruppi, ha saputo intercettare questa domanda di interiorità. Domanda che gli agenti esterni, come la politica, non può intercettare semplicemente perché non qualificata.
Per questo la gestione delle feste religiose è competenza esclusiva della Parrocchia. Nulla vieta accordi di gestione. Nulla vieta che un’amministrazione possa, secondo un protocollo d’intesa, gestire la parte esterna della festa. Ma la tutela dei valori attorno a cui nasce si sviluppa la festa è responsabilità della Chiesa, non della politica.
A Brolo la presenza politica sulla gestione delle feste è stata, negli ultimi anni, forte, fino a diventare pressione intollerabile e soffocante, oltrepassando spesso i limiti dell’intimidazione. Ad una relazione istituzionale impostata su questi principi, la Parrocchia pone il suo veto. Non negoziabile. Anche adesso, sono all’opera soggetti che agiscono per creare, alimentare e manipolare una violenta contrapposizione sociale di fazioni al solo scopo di fomentare l’dio e la divisione sociale, polarizzare il paese attorno ai poteri forti e aumentare il controllo sociale sul territorio. E’ in atto, da parte di un gruppo minuscolo, poco seguito e apprezzato, il tentativo pianificato di dipingere la Chiesa, a Brolo, come un’associazione a delinquere, corrotta, compromessa e guidata da un parroco faccendiere, preso solo dai suoi interessi personali, moralmente corrotto e spiritualmente inconsistente. Da alcuni mesi, direi a partire da maggio in poi, questo attacco si è intensificato a tutti coloro che vengono riconosciuti come operatori pastorali impegnati in prima linea o persone “vicine al parroco”. Questo è un aspetto triste. Colpire i fedeli per colpire il parroco.
A questo piano di divisione risponde un popolo che, verso la Parrocchia mantiene un rapporto sereno e non gradisce sentire o leggere di polemiche. Vuole che la Chiesa sia lasciata in pace.
Detto questo, l’obiettivo che la parrocchia si è posta, per quest’anno, nell’organizzazione delle feste, è duplice:
a) La de-politicizzazione delle feste
b) La de-privatizzazione delle feste.
La Parrocchia, come Comunità complessiva, è l’unico baluardo e garanzia di libertà e indipendenza dello spazio religioso rispetto a ogni controllo esterno. Quest’anno, in mezzo a mille ostacoli, l’obiettivo è stato raggiunto. Ma non è ancora consolidato. E la rabbia di una certa fazione politica è salita alle stelle, sfogandosi fino al delirio, e si è sfogata servendosi di soggetti terzi, che nulla sanno della Festa di Piana né di ciò che vi sta dietro a tutto il resto. L’impressione che si ha è chi lancia di bombe incendiarie dalla miccia corta. Non è esploso nulla.
L’attuale amministrazione, nei riguardi dell’attuale parroco sottoscritto e della Parrocchia, ha compiuto i primi passi verso una corretta interrelazione istituzionale.
Quando saranno ripristinati definitivamente i confini, se saranno del tutto ripristinati, credo che la collaborazione fra Ente Locale e Parrocchia porterà solo bene al paese. Ed è il bene del paese e della sua gente l’obiettivo comune di tutte le istituzioni sul territorio (Comune, Scuola, Chiesa).
E intanto guardiamo avanti, versi i nostri obiettivi e senza condizionamenti.
Don Enzo Caruso
Tra i tanti commenti citiamo quelli di Nino Ricciardello e di Pietro Gembillo
Caro Don Enzo,
Sai benissimo che personalmente, parafrasando un motto ben più celebre, io propugno una “libera Chiesa in libero Comune”.
La politica è sempre la solita politica, cambiando soltanto la maggiore o minore abilità dei protagonisti pro tempore, resta sempre l’approccio interessato alle “cose di chiesa”.
Ma tu, con tutti i tuoi difetti da essere umano, non sei il solito “Parrino”. Sei giovane e volenteroso, ricordi qualche tuo raro predecessore che fece anche lui grande animazione in paese avvicinando ragazzi e meno ragazzi alla parrocchia ed allontanandoli da distrazioni che allora erano persino meno letali e pericolose delle attuali.
Poi venne trasferito e, dicono, alla fine si sia omologato….
Caro Don Enzo, tu resta come sei.
È meglio un Parrino iperattivo e rompi cabbasisi ma che lo sia tra la gente e per la gente, di un Parrino che ama il quieto vivere.
In fondo abbiamo l’ineguagliabile esempio di Joshua Ben Joseph, l’ebreo, che è stato il più grande e stupendo rompi cabbasisi di tutti i tempi.
Buona missione
Caro Padre Enzo, mi capita spesso di recarmi per lavoro a Brescello: ho conosciuto e fatto amicizia con un collega che da ragazzo ha fatto la comparsa in un paio di film di Don Camillo e Peppone.
Lei mi sembra un eccellente don Camillo ma il problema di Brolo è che da almeno mezzo secolo manca un sindaco con l’umanità ed il buon senso di Peppone
Il punto di vista dell’assessore al turismo Nuccio Ricciardello
Vola alto sulle polemiche delle ultime ore: “non mi appartengono” – dice – ringrazia chi ha lavorato ma soprattutto l’assessore segna il punto sul futuro che vorrebbe per la festa più antica del paese.
Con i fuochi pirotecnici di ieri sera va in archivio la Festa di Maria SS Addolorata di Piana.
Nel parla Nuccio Ricciardello.
“Se la festa va vista come momento di incontro, questa può essere senza tema di smetita classificata come un successo, con una processione partecipata, con la gente in Chiesa e gli amici ed i volontari, insieme ai fedeli, tutti a prodigarsi perché ogni cosa funzionasse alla perfezione”.
E aggiunge: “Se la festa è spettacolo, in relazione al budget disponibile non si poteva far di meglio. Mery Gitto è stata una grande professionista insieme alla sua band e il momento eno-gastronomico ha davvero fatto registrare buoni numeri”. Ed ancor l’assessore Ricciardello evidenzia: “se facciamo il paragone con gli anni d’oro quelli dei finanziamenti erogati a piene mani e facilmente, allora ci sarebbe molto da discutere, ma non sono più quei tempi e forse ne paghiamo le conseguenze anche per quelli… su tanto e non solo sul programma di una o più feste”.
Ma poi aggiunge ancora: “Non è tempo di far polemiche, non mi appartengono, sconosco retroscena e favole, anzi leggende, metropolitane che infarciscono in questi giorni i social, ma voglio ringraziare – senza se e senza ma – padre Enzo Caruso per l’impegno profuso e soprattutto il gruppo dei volontari della festa per l’energia e l’entusiasmo speso perché tutto funzionasse. Ecco se devo dir Grazie partire proprio da loro”.
E poi, grazie ai consiglieri comunali, soprattutto quelli del quartiere che ho visto sempre presenti e con i quali ho condiviso emozioni e progetti proprio su questa festa”.
Nuccio Ricciardello considera la Festa di Piana, in quest’edizione, un punto zero, quello della ri-partenza.
Una punto di svolta, per il suo rilancio al pari di altre feste importanti del centro e delle contrade.
“Confido in un lavoro corale, che coinvolga tutti, senza remore o appartenenze, che porti a far rigenerare la voglia di costruire un momento popolare collettivo.
Questo va costruito nel tempo, alla luce di nuove esigenze sociali della contrada – parlando di Piana – considerando come questa urbanisticamente e socialmente si è evoluta, oggi è un quartiere che con una propria identità fa un tutt’uno con il paese. Bisogna evitare gli sbagli del passato, riannodando anche quel tessuto sociale che si è sgranato.
La Festa ritorni Festa, distinguendo l’aspetto religioso con quello dell’intrattenimento, facendone un punto cardine dell’estate brolese, richiamando in un nuovo amarcord i fasti che l’hanno resa tra le feste più belle del comprensorio. – E conclude – Senza grandi fondi, ma con umiltà e passione, con la voglia di fare…. insieme. potremo tornare a farla davvero grande e attrattiva. Trovando i giusti spunti di dialogo con il sacerdote, come giusto che sia” .
Questo dice Nuccio Ricciardello, per guardare avanti.. perché, come Brolo, anche la Festa di Piana sia di tutti.
Il punto di vista di scomunicando:
Tra processione, le messe, i “rigatoni alla norma”, e poi Mary Gitto e la sua “Tuca” band con i fuochi pirotecnici in finale, oggi è il giorno della Madonna Addolorata di Piana. Una volta, certamente tra le feste popolari-religiose più note del comprensorio, oggi tra amarcord, buoni propositi per il futuro, resta un velo di polemiche, che affonda anche in malcelati dissapori di recenti passati.
Da sempre il week end preferragostrano a Brolo è stato caratterizzato dallo svolgimento dell’antica e tradizionale festa di Piana in onore a Maria SS. Addolorata,forse la festa religiosa più antica del paese, caratterizzata anche dal gioco di “pignateddi” e dall’aspetto suo enogatsronomico.
Negli anni si sono contate le sagre degli Arrosticini o delle Frittelle con le acciughe, cose ben diverse della più classica sagra “dei maccheroni” che ne caratterizzava la vigilia, e quest’anno tocca ai “rigatoni”.
Una tradizione – quella della festa di Piana che si lega con il cibo – che nasce molto prima dell’imperare delle attuali sagre gastronomiche e varie street food, qui la cultura del cibo si legava alla tradizione culinaria del luogo che vedeva imperare la carne infornata, venduta in bancarelle temporanee, con le fette di angurie che venivano fuori da grandi frigoriferi “parcheggiati” ai bordi della strada insieme alla birra gelata.
Era l’economia della contrada, il bar di “don Cono” aperto sino a tarda ora, la bancarella dove si giocava d’azzardo coperta dai teli verdi nel rispetto della privacy, i caliari, e la macchinetta del tiro a segno, e poi, negli anni settanta, anche i camioncini e leseicentomultiple, di chi veniva qui, richiamato dalla notorietà della festa, per raccontare, sui grandi cartelloni, i fatti di cronaca…erano i cantastorie.
Tutto questo è memoria.
Allora Piana era “contrada”, distante dal paese, separata dai giardini, con le case popolari, appena costruite lungo la via Battisti che ne segnavano i confini.
Oggi non c’è più distinzione urbanista, questa vige sono all’anagrafe, e la festa divenne sempre più popolare, più grande, con il grande palco che ospitava le star della tv, i cantanti di Sanremo, imponendo, quasi un dazio, che sul lungomare non ci fossero neanche asfittici pianobar per non distrarre l’attenzione dei più concentrati sul sorteggio finale, dove auto, motorini, le prime tv a colori, erano premi ambiti in attesa di un sempre magico “giocofuoco“.
La contrada ora è stata inglobata nel centro urbano, ma la voglia di appartenza rimane, come qui rimangono le grandi famiglie storiche della contrada, i Masi, i Ferro, i Contipodero, e poi i Cipriano, i Calderone, gli Arasi, i Sidoti.
Numerosissime, quasi piccoli clan, che ne hanno segnato la storia e la cronaca, i matrimoni, la politica locale e che hanno fatto anche il calcio a Brolo, e la festa era certamente un punto di incontro, allora come ora.
Poi, finita l’epopea del “pubblico” nel foraggiare il bilancio della festa, tra colpi di mano e perdita d’entusiasmi, ma anche con la “scomparsa” di storici sostenitori dell’organizzazione della Festa di Piana e la mancanza dei promotori della raccolta popolare, con i soldi segnati sulla libretta, e le incombenze burocratiche, questa tracciò la strada verso un lento declino e oggi tocca, giocoforza, nella sua forma esteriore, forse il punto più basso di notorietà, nonostante l’impegno della neo-amministrazione.
Anche se questo, come dice padre Enzo Caruso, il parroco, non tocca per nulla il significato religioso della festività.
“Fare festa significa fondamentalmente una cosa: gioire insieme come Comunità e narrare, attraverso i gesti della tradizione, cosa significa l’essere stati amati da Dio. L’amore di Dio, questo dono sublime, ineguagliabile è la sorgente e causa prima della festa“.
Padre Enzo, sa bene, dobbiamo dirlo,che la Festa è al centro di polemiche, dure e senza sconti, da parte dell’opposizione consiliare, che anche lo scorso anno, da maggioranza consiliare che era, non aveva lesinato giudizi negativi sulla condotta della manifestazione religiosa e sul suo decisionismo. Ora lui evidenzia in un post: “Essa (la festa e le tradizioni) va custodita e preservata, purificata e rigenerata, non eliminata, perché costituisce il canale attraverso cui il popolo, nei secoli, ha sviluppato il suo linguaggio semplice per celebrare la presenza di Dio e celebrare il dono della vita. E la fede semplice del popolo va rispettata, anzi, aiutata a crescere“.
E aggiunge “Quando c’è la fede, quando si è in grado e desiderosi di condividere e narrare l’amore di Dio, allora la festa è d’obbligo. “Ama”, dice S. Agostino, ” e poi fa ciò che vuoi”, perché l’amore non ti porterà mai fuori strada. Allora tutto acquista senso: le luminarie, i giochi, il cibo, la musica… È allora, e soltanto allora, che quella festa, quella tradizione, ti… appartiene.” e quindi stocca: “Ma se nel tuo cuore non c’è l’amore di Dio, se non c’è la fede umile nella sua presenza operante nella storia degli uomini, ogni cosa diventa vana”.
Ora c’è chi promette “Ferro e Fuoco” per ridare alla Festa di Piana quanto perduto, ma di fatto un considerazione va elaborata.
La festa religiosa è una cosa distinta dalla volontà popolare di far festa.
Se manca questa condizione allora resta solo la festa religiosa. Punto.
la voglia di costruire un momento popolare collettivo va costruito nel tempo, alla luce di nuove esigenze sociali. Quel che è stato non è sempre riproponibile.
Lavorare per ricostruire la voglia di far festa di una comunità vuol dire guardare anche agli errori del passato che ne hanno decretato nel tempo la sua fine.
Riannodare un tessuto sociale, costruire un futuro, facendo anche il conto che in quel quartiere , Piana, mancano, ad esclusione di pochissime, e lontane del cuore dei festeggiamenti, quelle le attività commerciali che potrebbero avere interessi a flussi popolari intensi, e anche l’era delle grandi imprese edilizie che un tempo – anche Piana era piena di piccoli imprenditori – e che di sicuro rappresentavo spalle forti su cui appoggiarsi è finita.
Anche da qui si potrebbe ripartire. Ad ognuno il suo. Come un tempo: Guelfi e Ghibellini; Sacro e Laico; Religiosità ed Effimero; senza sconfinamenti ma anche senza guerre.
Amen!
Premessa: Anche quest’anno la festa di Maria SS. Addolorata di Piana è archiviata.
A chi mette l’accento sulle polemiche di quest’anno, la risposta è questa: non vi è stata mai una festa a Piana che non sia stata segnata, in un modo o nell’altro, da difficoltà, tensioni, scontri e rivalità. Negli anni sono stati attaccati i membri della commissione, ora uno ora l’altro, sono cambiati, ci sono state scissioni, accuse e contro-accuse. Le famiglie, molte delle quali semplici attori della festa, altre, invece protagoniste con maggiore peso e con le inevitabili alleanze politiche alle spalle, si sono incontrate e scontrate, più spesso che occasionalmente, per i vari aspetti che riguardavano la festa, perfino per il gioco dei pignateddi.
Ma la festa è stata sempre fatta.
Erano anni d’oro. I contributi pubblici erano sovrabbondanti. C’era il contributo di tutti, delle sopradette famiglie, con le loro offerte, l’orgoglio di esserci e la collaborazione. La festa è stata fatta perché nella commissione hanno operato, per quarant’anni, persone che hanno affrontato ogni difficoltà e, per orgoglio e per dignità, non hanno mai lasciato il loro posto, incassando colpi e andando avanti.
In un modo o nell’altro la festa di Piana era la festa di tutti.
Parlare, quindi, della festa di quest’anno come l’anno delle polemiche e del fallimento è falso e strumentale.
La verità è che, celebrata in un solo giorno, la festa ha visto la partecipazione di un popolo numeroso, inaspettatamente più numeroso degli ultimi due anni. La Chiesa strapiena, anche alla Messa delle 11, quella che, per motivi di caldo, è celebrata solo con un residuo più coraggioso di fedeli. La partecipazione alla processione è stata davvero numerosa.
Con buona pace di tutti, c’è un popolo a Piana che ha festeggiato la sua Madonna in pace, con devozione, con una festa organizzata, quest’anno, in modo più sobrio, in un solo giorno e soprattutto con la voglia di tenersi lontana da polemiche costruite ad arte e logoranti, di cui gente è stanca e nauseata.
Sì, perché anche questa è verità: c’è nella gente una voglia di normalità che rende nauseabonde le polemiche, tranne a chi di polemiche vive e prospera.
E poi ci sono “gli ultras iper-arrabbiati”. Pace all’anima loro.
Voglio fare una riflessione sulla natura della festa, in generale, per mettere in evidenza qual è stato l’obiettivo della Parrocchia nell’organizzare le feste religiose di quest’anno.
Primo punto
Dobbiamo tenere conto di un dato. La festa popolare in Sicilia ha una genesi e una evoluzione diversa dalla festa nell’Italia settentrionale, che affonda le sue radici nella storia di una autonomia politica dei vari comuni, fieri e dirompenti di cultura. Quasi sempre anche le manifestazioni più laiche avevano legami con la fede (basta pensare al Palio di Siena) ma, in quel contesto storico e culturale, si sono potute sviluppare tradizioni popolari, appunto, laiche, accanto alle feste religiose o anche del tutto autonome.
Solo in quel contesto si può parlare di guelfi e ghibellini. Di forze contrapposte sul campo che rappresentavano i due poteri: Stato e Chiesa. In Sicilia questi accostamenti non hanno alcun significato. Anche perché, in Sicilia, che sviluppa un’altra linea storica, potere politico e potere religioso spesso – e purtroppo – si fondevano al punto da non distinguersi.
In una terra, quella siciliana, tremendamente bella e dannata dalla sua storia, segnata da dominazioni secolari, non si sviluppò mai una identità autonoma di società. Il feudalesimo in Sicilia termina con la fine della Seconda guerra mondiale. Con qualche strascico si è prolungato, mimetizzato in altre forme di controllo sociale, fino ad oggi.
In Sicilia, pertanto, la festa popolare presenta delle caratteristiche proprie (ne citiamo qualcuna, a modo di esempio):
a) Nasce da una religiosità che incarna tutto il dolore di in popolo sottomesso, privo di identità e dove la speranza e il futuro sono concetti incomprensibili.
b) Nasce come grido di aiuto al “potente” (il “santo” patrono, il “protettore”), attorno al quale si raccoglie il popolo, la sua disperazione, la sua incredibile capacità di resistenza alla sofferenza e la sua insopprimibile voglia di vivere. Il santo, che in Sicilia, in moltissimi casi, è la Madonna, la cui devozione nell’isola è senza confronti, costituisce una luce di speranza. Egli, davanti al “potente” temporale, si configura come il “potente” che protegge il popolo, cammina in mezzo ad esso (la processione e le risse per portare la vara), è colui che porta Dio dalla parte del popolo.
c) Avere un Santo Patrono è causa della festa, è motivo di gioia ed è liberante, perché scioglie, per qualche giorno, il senso di oppressione dalle catene sociali.
d) Questa gioia si trasforma in gioco, si sviluppa in tradizioni ludiche o attorno al santo o che coinvolgono il santo stesso. Santi che fanno la danza nella piazza principale, santi che fanno la corsa, santi che fanno la rincorsa per abbattere muri costruiti appositamente. Santi che ballano tra figure di giganti, ultimi residui di un paganesimo estinto, fusi con le tradizioni popolari di matrice cristiana. Basta pensare ai legami intercorrenti fra il culto di S. Calogero di Agrigento e quello pagano tributato in loco ad Ercole in età ciceroniana. Nascono le sagre e i giochi che oggi ancora conosciamo.
e) Il ruolo delle famiglie e la festa, in Sicilia. Nella Sicilia antica la famiglia è patriarcale. E’ l’unica fonte di identità dell’individuo, in una società dalla non-identità come popolo. “Ri cu è figghiu?”. La generazione dei cinquantenni può ricordare ancora questa domanda, al passaggio di un ragazzo, davanti agli anziani seduti al bar. Le famiglie si configurano, all’interno dei vari gruppi umani (contrada, borgo), assumendo i tratti del clan (il termine qui è usato in senso sociologico) è diventano, con i cognomi storici, attori fondamentali della festa per generazioni.
Quello che va sottolineato con forza è che, nel Meridione, non esiste dualismo tra festa religiosa e festa ludica. Non sono due tradizioni distinte. Sono fuse in un’unica entità. Ci sono, però, solo alcune illustre eccezioni in tutta l’isola. La lettura che vuole una certa contrapposizione viene da una linea interpretativa di matrice marxista.
Secondo punto
A Piana la festa conosce uno sviluppo che, negli ultimi decenni, si è evoluto. La disponibilità di cospicui finanziamenti, l’orgoglio delle famiglie e la forte identità di “contrada” hanno generato la più grande festa del comprensorio.
Tutto questo è finito.
I patriarchi delle varie famiglie non ci sono più. Erano loro il pilastro della festa. Ciò che rimane è un gruppo sociale con un forte attaccamento alle proprie radici di contrada, che mal sopporta l’inclusione urbanistica nell’ormai unico centro abitato di Brolo, ma disarticolato e smembrato, senza la coesione sociale che costituiva il collante che permetteva alla festa di Piana di essere ciò che era.
Parlare di declino della festa per colpa delle commissioni è falso. Sono state le commissioni, con i vari membri che si sono succeduti, a fare la festa di Piana negli ultimi 5 anni. Oltre alla commissione storica, che si è estinta proprio qualche anno fa, un plauso va alla Pro Loco che, con dignità e sacrificio, ha gestito la parte non religiosa della festa l’anno scorso (2018) e il Gruppo dei Volontari della Parrocchia, di cui la maggior parte di Piana, che l’hanno organizzata quest’anno.
Ora siamo a un bivio. E bisogna che ognuno che crede a questa festa si interroghi sul futuro. E’ al futuro che dobbiamo guardare. Il passato ci è di lezione e memoria, ma la nostalgia non ha mai costruito il futuro. La festa di Piana è entrata in quella fase di cambiamento storico che ha messo in discussione tutto del mondo antico e delle tradizioni che ci sono giunte. Se le vogliamo fa vivere nel futuro dovremo compiere un vigoroso atto di riflessione e ridefinire posizioni e obiettivi.
Questo cambiamento si innesta nelle grandi trasformazioni sociali, culturali, economiche che hanno cambiato il volto della nostra nazione per sempre. Occorreva una lettura profonda di queste trasformazioni per capire cosa stavano cambiando anche nelle feste. Vi sono due fallimenti da registrare. Quello delle parrocchie, rimaste impotenti e senza vigore missionario davanti all’emorragia di un popolo giovane che si è spostato in massa altrove, in cerca di lavoro e davanti alla crisi globale che ha colpito le famiglie. Erano loro che dovevano ricevere e tramandare, a loro volta, le tradizioni del passato. Un fallimento ancora più grande è quello della politica, che non è stata neanche capace di leggere e interpretare la fenomenologia della trasformazione in atto e ha, negli ultimi anni, ha guardato le feste e alle tradizioni religiose come a strumenti potenti di controllo sociale.
L’esempio di Salvini che gira l’Italia agitando, con sempre maggiore nervosismo, la sua corona del rosario, baciandola e mostrandola come un trofeo, un talismano, davanti ai gruppi che lo stanno contestando, è la prova più eloquente di quanto appena detto.
Terzo punto
Il risultato di questi fallimenti è la declassificazione della festa da momento di fede, di aggregazione e di socializzazione a mero evento turistico, uno dei tanti eventi in programma per animare l’estate e attirare turisti (la festa è un evento che deve attirare gente allo spettacolo serale; il successo della festa viene misurato in base al prestigio del cantante e alla riuscita della sagra. “Chi si mancia?” “A cu portanu?”). Dall’altra parte vi è la riduzione della festa ad evento folkloristico, da promuovere sempre allo scopo di “far venire gente da fuori”.
Questo atteggiamento del popolo stesso verso la festa è indice di una tragica perdita di valori, anche verso gli aspetti più legittimamente ludici della festa tradizionale (valore non è solo la fede ma anche l’aggregazione come popolo). I giochi di un tempo aggregavano. Il cantante porta gente ma non aggrega, non favorisce la socializzazione. Non costruisce comunità.
Ci troviamo, adesso, davanti alla necessità di rifondare la festa (la concezione di festa), ripensarla, ricostruirla attorno a valori antichi e, insieme, nuovi parametri. Questi parametri vanno ancora individuati, non possono essere – e non saranno – quelli turistici o commerciali.
E’ una difficile trovare la soluzione. E’ una ricerca che impegna la Chiesa in primis, che non ha la soluzione immediata a difficoltà che affondano le radici in una crisi che è anzitutto antropologica, non economica.
E’ in atto una profonda crisi antropologica globale. La chiave di lettura per comprendere quanto sta succedendo è antropologica, non sociologica. E, mancando la giusta lettura, è proprio la mancata elaborazione di un nuovo umanesimo, anche cristiano, che ha fatto sì che, quasi in ogni paese, le feste si vivono ormai come commistione tra devozione e superstizione, folklore e attrazione turistica. La componente devozionale non è scomparsa ma si è ridotta molto a devozionismo.
La parrocchia a Brolo è impegnata in un vigoroso lavoro di ricomprensione del senso e della forma in cui le feste devono celebrarsi.
a) Per quelle tradizionali, come Piana, è ovvio che si vuole recuperare la dimensione ludica e “non direttamente religiosa” e impedire che scompaia del tutto. Le tradizioni religiose in senso stretto e anche ludiche vanno custodite e tutelate, non eliminate. Vanno riqualificate, purificate e riproposte. Vogliamo una festa con un triduo di preghiera e con eventi anche alla vigilia. Vogliamo che le famiglie si sentano protagoniste, ma è un lavoro tutto da fare.
b) Nel frattempo sono stati individuati alcuni dei nuovi parametri da attenzionare. C’è un crescente bisogno di una spiritualità autentica che sta emergendo dal popolo, un bisogno di riagganciare il contatto con Dio che le antiche processioni, gli antichi riti, che costituiscono sempre un patrimonio sacro, non riescono più a garantire. C’è anche bisogno di una fede silenziosa, di meno baccano, di maggiori spazi di contemplazione. Il popolo chiede di essere aiutato a pregare. Le famiglie chiedono alla Chiesa di essere aiutate a trovare Dio nei drammi della loro vita quotidiana. E la Chiesa deve esserci per loro. La Chiesa a Brolo non ha nessuna intenzione di rimanere ostaggio di chi critica tutto ma non crede in niente.
Forse la prova più sorprendente tra incontro tra Chiesa e popolo, in queste nuove domande emergenti, lo abbiamo visto l’anno scorso, la notte della processione, al Castello, della Statua Pellegrina della Madonna di Fatima. Quasi duemila pellegrini, venuti da ogni parte, in quella notte, si sono inginocchiati sui ciottoli delle strade interne del castello, perfino anziani, durante la preghiera di consacrazione della città di Brolo alla Madonna.
Da quell’evento, scritto ormai nella memoria di Brolo, nasce la festa della Madonna di Fatima, che sarà celebrata la prima domenica di ottobre. Non ci saranno bancarelle né baccano. Sarà una festa all’insegna della ricerca spirituale.
Sono nate così, altre nuove tradizioni, come la benedizione delle famiglie, che, partecipate ora da masse ora da piccoli gruppi, ha saputo intercettare questa domanda di interiorità. Domanda che gli agenti esterni, come la politica, non può intercettare semplicemente perché non qualificata.
Per questo la gestione delle feste religiose è competenza esclusiva della Parrocchia. Nulla vieta accordi di gestione. Nulla vieta che un’amministrazione possa, secondo un protocollo d’intesa, gestire la parte esterna della festa. Ma la tutela dei valori attorno a cui nasce si sviluppa la festa è responsabilità della Chiesa, non della politica.
A Brolo la presenza politica sulla gestione delle feste è stata recentemente forte, fino a diventare pressione intollerabile e soffocante. In questo frangente storico, sono all’opera soggetti che agiscono per creare, alimentare e manipolare una violenta contrapposizione sociale di fazioni al solo scopo di aumentare il controllo sociale. E’ in atto, da parte di un gruppo minuscolo, poco seguito e apprezzato, il tentativo pianificato di dipingere i tratti di una Chiesa, a Brolo, corrotta e corruttrice, compromessa e guidata da un parroco faccendiere, preso solo dai suoi interessi personali, moralmente corrotto e spiritualmente inconsistente. Da alcuni mesi, direi a partire da maggio in poi, questo attacco si estende a tutti coloro che vengono riconosciuti come operatori pastorali impegnati in prima linea o persone “vicine al parroco”.
C’è una parola di smentita a questo teorema, non pronunciata ma molto eloquente, che viene dalla parte sana del paese, che è la maggioranza.
L’obiettivo che la parrocchia si è posta, per quest’anno, nell’organizzazione delle feste, è duplice:
a) La de-politicizzazione delle feste b) La de-privatizzazione delle feste.
La Parrocchia, come Comunità complessiva, è l’unico baluardo e garanzia di libertà e indipendenza dello spazio religioso rispetto a ogni controllo esterno. Quest’anno, in mezzo a mille ostacoli, l’obiettivo è stato raggiunto. Ma non è ancora consolidato. E la rabbia di una certa fazione politica è salita alle stelle, sfogandosi fino al delirio, e si è sfogata servendosi di amici, ma l’impressione che si ha è di bombe incendiarie dalla miccia corta. Non è esploso nulla.
L’attuale amministrazione, nei riguardi dell’attuale parroco sottoscritto e della Parrocchia, ha compiuto i primi passi verso una corretta interrelazione istituzionale.
Quando saranno ripristinati definitivamente i confini, se saranno del tutto ripristinati, credo che la collaborazione fra Ente Locale e Parrocchia porterà solo bene al paese. Ed è il bene del paese e della sua gente l’obiettivo comune di tutte le istituzioni sul territorio (Comune, Scuola, Chiesa).
Don Enzo Caruso