– di Corrado Speziale –
Si chiude oggi a Messina, nello spazio allestito appositamente in via Camiciotti, la mostra dell’artista messinese, inaugurata il 19 dicembre, promossa da Trapper soc.coop. onlus. Francesca Borgia, artista intraprendente e sensibile verso i temi etici e d’attualità, con la rappresentazione di opere pittoriche in acrilico su tela e sculture in terracotta, ha rivelato la condizione critica di una società caduta negli individualismi e impoverita nelle relazioni, che attraverso le “connessioni” deve ritrovare il senso della solidarietà e della coesistenza.
“L’Arte insegna a cogliere la superficie del mondo, le sue connessioni, gli intrecci di tanti organismi viventi che tendono alla propria fioritura o generano caos. L’Arte insegna a esperire un modo di vita più corretto, intenso. Costruisce spazi concreti per immaginare una migliore umanità”.
Francesca Borgia, nella descrizione in catalogo delle sue Cellule (2018), vede così l’arte come rivelatrice di un progetto universale che ha come base l’essenza stessa della vita. Da qui, “Connessioni” è la chiave adatta, un rimedio a molti mali della società attuale.
L’artista messinese coglie il senso di tutto ciò, ne percepisce l’importanza, esplora la condizione umana, tant’è che le sue riflessioni prendono forma e contenuti nelle rappresentazioni pittoriche e scultoree: tele e terrecotte che con linguaggi differenti concorrono alla conoscenza e alla consapevolezza di ciò che direttamente o indirettamente viviamo dentro la complessità del mondo di oggi.
Francesca Borgia rivela condizioni tristemente e drammaticamente contemporanee, dando respiro e speranza attraverso l’immaginazione, dove ricorre a qualcosa di razionale nell’evidenziare la formula, il metodo: la cellula come paradigma cui affidarsi, l’organizzazione, lo spirito solidale. L’insieme: concetto di contenitore di diversità, di forme irregolari, spazi di vita dal senso compiuto, la coesistenza di energie simultanee che collaborano e dialogano dentro un universo unico. Si tratta di opere tridimensionali, dal taglio originalissimo, in terracotta ingobbiata. Con la stessa lavorazione, ritroviamo elementi che riportano a forme emanate e plasmate da un’idea di natura, di materia volutamente irregolare e in divenire.
Le tele accolgono colori e movimenti variegati, richiami che originano da eventi presumibilmente naturali, mondi inquieti e talvolta contrapposti.
Un angolo di estrema attualità: volti uniformati dall’assenza di qualsiasi sguardo, segno del momento pandemico, fatto di paure e diffidenze, non comunicano tra loro né col mondo che li circonda. Gli individui non fanno più comunità. Allora l’appello: guardarci intorno e riflettere, uscire dagli individualismi, connettersi con gli altri. Ritrovare il senso di comunità.
Lo Stormo, rappresentazione simbolo del dramma della migrazione su una maxi-tela dal movimento alquanto suggestivo, abbraccia contestualmente pezzi di cielo e parole struggenti. Ma l’effetto della leggerezza, della condivisione, l’aggregazione e la forza nell’affrontare insieme un unico destino, sono il simbolo della speranza. L’opera è accompagnata da una didascalia con parole tratte da “Le pareti della solitudine” di Tahar Ben Jelloun.
In una stanza buia con effetto sonoro a tema, una folta schiera di corpi bianchi annega in un mare di indifferenza: è la crocifissione degli innocenti. La straordinaria potenza evocativa di questa installazione porta alla drammatica e frequente “via crucis” dei migranti nel Mediterraneo. Quei corpi uniti a forma di croce si scorgono pian piano, affiorando dal buio della disumanità, mentre si sosta nella sala.
Qualche frase che accompagni l’emozione del visitatore la si può scorgere nello Stormo della stanza precedente: “Coloro che private come me della parola e dell’anima, si staccano dalla vita e affondano”.