GENE GNOCCHI – Squallidamente, comico di serie B
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GENE GNOCCHI – Squallidamente, comico di serie B

Claretta “maiala”. Un insulto in tv alla Petacci. Ecco che un comico come Gene Gnocchi (lo ha detto a Dimartedì quella condotta da Floris, su La7) inveisce contro quella che è stata la donna del Duce sino alla fine, appesa a testa in giù senza le mutandine a piazzale Loreto. Secondo Gene Gnocchi sarebbe Claretta Petacci il nome del maiale che a Roma vaga tra i rifiuti.
Una battuta? No.
Una leggerezza? No.
Semmai uno squallido uniformarsi al vento che tira: riportare in tv un po’ di antifascismo. Ora condannando il corteo per i morti di Acca Larenzia ora insultando Claretta Petacci. E’ solo ipocrita conformismo, allora, quello di Gene Gnocchi che forse cerca notorietà dalla denigrazione verso i morti, che è sempre sgradevolissima e incivile. A Gene Gnocchi in tanti stanno rispondendo a tono sui social.
Per lui, comico decaduto e ormai di seconda fila raccattato da La7, magari è tutta pubblicità.
Che tristezza. Rimane la gravità di un’offesa gratuita, di una volgarità inaudita, a prescindere da qualunque considerazione di tipo storico politica sul suo ruolo, qualificare con l’appellativo di maiala una donna, per giunta tragicamente morte.

Claretta Petacci è un argomento tabù nell’Italia che dovrebbe essere post-antifascista e invece è ancora avviluppata nella propaganda da guerra civile. Tutti sanno che fu l’amante del Duce e che con lui morì. Pochi ricordano – come scrive su il Secolo d’Italia Annalisa Terranova –  o hanno voglia di ricordare lo scempio del cadavere a piazzale Loreto, assieme a quello di Benito Mussolini.
Da quello scempio dei cadaveri del Capo caduto e sconfitto e della sua amante prende le mosse il bel libro postumo di Giano Accame, La morte dei fascisti, spiegando che quel macabro rituale era il reale fondamento della repubblica dei vincitori.
Ben e la Clara appesi per i calcagni a Milano, si rammaricava Ezra
Pound. Parliamo di eventi di più di 70 anni fa. Quello di Claretta era sangue innocente. Lo sanno anche gli antifascisti. Eppure in questo rinnovarsi di parole di odio contro le memorie del fascismo ecco che un comico come Gene Gnocchi rispolvera contro Claretta Petacci gli epiteti umilianti
 
Quanto a lei, Claretta, preferiamo pensare al ritratto gentile che ne fa Antonio Pennacchi nelle sue pagine, raccontando dell’ultima notte con Benito a Giulino di Mezzegra.
La prima e l’ultima.
“Lei aveva trentatré anni, lui sessantadue. S’ amavano tra liti, strilla, abbandoni e appassionati riabbracci dal 1932, da quando lei ne aveva venti. Alle cinque i partigiani di guardia alla porta, due ragazzi di vent’anni insospettiti da un improvviso scricchiolio, hanno spalancato la porta: «Blam!» e sono piombati nella stanza con il lume a petrolio e le armi in mano. Svegliata di soprabbalzo, Claretta s’ è tirata su le coperte a nascondere il viso. Mussolini s’ è seduto sul letto: «Dai, ragazzi, non fate così. Non siate cattivi…» e quelli sono usciti. Claretta ha detto: «Stavo sognando che ti aspettavo al bivio dell’ Appia a Littoria, e c’era la luna piena». «Qua piove, invece» ha risposto il Duce. E dopo una piccola pausa: «Non ho mai amato nessun’ altra, come ho amato ed amo te», e questa volta diceva davvero“.
 
Nell’articolo di Giuseppe Parente su Fascinazione interessante l’intervento di Maurizio Murelli.
Parente definisce “Un’offesa gratuita, di una volgarità inaudita, a prescindere da qualunque considerazione di tipo storico politica sul suo ruolo, qualificare con l’appellativo di maiala una donna, per giunta tragicamente morte, che non può più difendersi, nell’assordante silenzio degli ospiti in studio, femministe comprese.”
E aggiunge ” Silenzio oggi ancor più assordante, in particolar modo quello del Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini da sempre impegnata in tante battaglie in difesa delle donne, in particolar modo contro il sessismo, anche sui principali social network”
Su quelle offese gratuite pubblica una lettera – che riportiamo per intero – indirizzata a Claretta  pubblicata sulla propria pagina Facebook interviene l’editore Maurizio Murelli.
La Lettera 
 
Cara Claretta,

ieri sera tale Gene Gnocchi, spacciato dal sistema mediatico come “comico intelligente”, ha voluto dar nome Claretta Petacci alla scrofa che grufola per le strade di Roma.

E ha specificato che non potrebbe essere diversamente, visto che il maiale è femmina.
In diretta TV, senza che nessuno abbia avuto da ridire.
Lo so bene che, ovunque tu sia, a cotanta sagacia hai risposto con un sorriso.
Del resto, massacrata perché amavi un grande uomo, esposta al pubblico ludibrio senza pietà dopo essere stata angariata e stuprata che altro ti resterebbe da fare? 
Ovviamente silenzio dalle femmine e femministe; silenzio dai bipedi starnazzanti del pollaio politico, sempre pronti a intervenire sulle espressioni estemporanee non “politicamente corrette”; silenzio dai media, dal papa, dal vescovo, dal prevosto, dall’opinionista di questa o quella testata.
Silenzio…. silenzio da parte di questa immarcescibile repubblica antifascista.
Non potrebbe essere diversamente, perché quella espressione è la giusta e qualificante cifra di questa repubblica sorta nel 1948, fondata sulla menzogna, il rancore, il ladrocinio, l’insipienza…
Sorridi piccola grande donna a cui il destino ha assegnato il ruolo non di moglie e madre ma quello di amante (di un grande uomo), un ruolo che solo la piccola, mediocre morale borghese che si fa “afflato comico” (sic!) nel marcio fegato di un guitto di questa repubblichetta, può giungere ad infangare quand’anche a fronte del tuo estremo sacrificio.
Sorridi… e abbi da parte nostra la più tenera delle carezze….
Maurizio Murelli visto da Ugo Tassinari
12 ottobre 1954: nasce a Milano Maurizio Murelli

Maurizio Murelli è, come è noto a chi segue le mie pagine social, uno delle amicizie migliori che ho cementato in venti e più anni di navigazione perigliosa nell’arcipelago nero. Ma non è certo il legame personale a farmi velo. Il soggetto merita sicuramente la ribalta di questo mio diario quotidiano degli anni di piombo. Ecco lo stralcio del capitolo che gli ho dedicato nella seconda edizione di Fascisteria. Manca del tutto, ovviamente, la narrazione del suo impegno degli ultimi anni. Raccontare in forma romanzata la storia della sua comunità umana e militante:

Il carcere è uno straordinario meccanismo di riproduzione allargata della devianza dove molti detenuti politici hanno compiuto il salto di qualità. Eppure la vicenda dei due condannati per l’omicidio del poliziotto Marino (nel video la testimonianza di Maurizio Murelli sul 12 aprile 1973, ndb) dimostra l’assenza di automatismi sociali nella scelta criminale. Vittorio Loi, figlio del pugile Duilio, militante della Giovane Italia, fa parte della buona borghesia: bel ragazzo, alto, corteggiato, abbigliamento ricercato, sportivo (boxe e calcio nelle giovanili dell’Inter), continuamente mostra la durezza impostagli dal fascistissimo padre, che aveva fatto nascere il figlio a Trieste. Vittorio era già stato arrestato per un pestaggio e “indagato” per un progetto di attentato contro il leader studentesco Mario Capanna. Murelli, 19 anni, è invece di famiglia proletaria – un padre operaia – schivo e taciturno. Per avere qualche lira in tasca si adatta a qualsiasi lavoro. Incastrati da decine di camerati (in tredici smentiscono in dibattimento le dichiarazioni di innocenza di Loi) sono condannati a 23 e a 20 anni. E sarà il borghese a farsi malandrino. Detenuto in semilibertà, nel dicembre 1986, partecipa a una rapina in una gioielleria di Varazze, nella quale è ferita la titolare: sarà condannato a 4 anni e mezzo. Il capobanda è Enrico Caruso, arrestato a 19 anni per l’omicidio immortalato nel film di Lizzani San Babila ore 20: un delitto inutile. Murelli, liberato dopo un interrogatorio sommario, prima della soffiata che lo incastra, scappa ma a Firenze, scaricato e senza appoggi, preferisce consegnarsi a una lunga detenzione. Pochi militanti della destra radicale 40 anni dopo proseguono il loro impegno politico.

Molti sono invece passati agli onori (e agli oneri) della cronaca nera. Murelli attribuisce alla contiguità fisica tra mazzieri e malavitosi a San Babila ma anche alla “ricaduta a pioggia di una cattiva lettura dell’Evola di Cavalcare la tigre” – l’irresistibile pulsione criminale di tanti picchiatori e bombaroli, che hanno conservato dell’antica militanza le vecchie reti di solidarietà e di reclutamento e il cameratismo. Un campione, significativo nella sua arbitrarietà, dei possibili esiti della militanza missina a Milano nei primi anni ’70 è dato dall’elenco degli imputati del processo per ricostituzione del partito fascista. Vi convivono terroristi che finiranno nella malavita (per lo più “pentiti”) come Ferorelli, Radice o Angeli o carcerati di lungo corso come Giancarlo Rognoni, notabili inossidabili come Servello, brillanti dirigenti giovanili come Ignazio e Romano La Russa, figli di arte che arriveranno a Montecitorio, mentre i loro leader faranno una cattiva riuscita: Franco Petronio, distrutto dall’alcool, Luciano Buonocore, bruciato dall’avventura della Maggioranza silenziosa, che lo costringerà a una lunga latitanza per il Mar di Fumagalli, per riapparire alla fine degli anni ’90 a ritentare la carriera politica in Alleanza nazionale, ancora capopolo, alla testa del movimento “spontaneo” delle ronde di quartiere contro microcriminalità e immigrazione. Qualcuno rientrerà nei ranghi o continuerà a far politica per passione, come il barone Staiti di Cuddia che da deputato avrà il coraggio di rimettersi in lizza, uscendo da un Msi sclerotico e fossilizzato per giocarsi le avventure della Lega nazional-popolare di Delle Chiaie e poi della Fiamma di Rauti, da cui è espulso per frazionismo con Tilgher.

A differenza di tanti che hanno sofferto della crisi di abbandono, Murelli non ha rimpianti: “Giudicai il comportamento del Msi vile e squallido, ma mi reputo responsabile di tutto quello che ho fatto. Sono scelte che io rivendico, e non rinnego nulla”.

Nella dura esperienza delle carceri “speciali” si tempra tra i detenuti che teorizzano lo spontaneismo armato e danno vita a Quex. Quando è liberato gli ultimi fuochi di guerriglia sono spenti e Murelli individua la sua missione di “uomo di milizia” nell’editoria: con il Centro culturale Barbarossa di Saluzzo (ex di Europa civiltà) dà vita alle omonime edizioni e poi alla rivista Orion che nel corso degli anni si consolida come stella polare dell’area rosso-bruna. Il gruppo – dopo un breve flirt con i leghisti – trae nuova linfa dalla nascita dell’opposizione nazionalcomunista in Russia. Murelli, citando un sovietologo marxista come Strada, sottolinea il dinamismo della nuova destra russa nel superare la contrapposizione antifascismo-anticomunismo che ha segnato il fronte della guerra civile europea: “Noi pensiamo che all’interno dell’evoluzione del pensiero comunista, che non è solo quello marxista, ma che ha tradizioni diverse e antichissime, e all’interno di quella che è stata la sintesi fascista di valori tradizionali e nazionali, ci siano i presupposti per ricostruire un’ipotesi politica, economica e sociale”.

La rivista tira duemila copie ed è lo snodo di un piccolo circuito editoriale, con un centro studi (che si definisce terminale di Sinergie europee, network internazionale nazional-bolscevico), un bollettino monografico, Origini, un foglio di agitazione politica, Aurora, dal taglio fortemente “socialista”, la casa editrice Barbarossa e una libreria fantasy al centro di Milano, La bottega del fantastico, che dà da campare a Marco Battarra, l’altro leader. Al movimento – il Fronte europeo di liberazione ha qualche centinaio di simpatizzanti in tutt’Italia – aderiscono alcuni dei più prestigiosi sodali di Freda (in rotta da anni col “professo”), da Carlo Terracciano a uno dei fondatori di Prima linea, condannato per l’omicidio del consigliere provinciale missino di Milano, Enrico Pedenovi: Chicco Galmozzi, dissociato dalla lotta armata ma non dal comunismo, un patito di Fiume.

Un melting pot che consente a Murelli di affermare con orgoglio: “Tutti gli irriducibili, sia che provengano da destra che da sinistra, che siano pagani o fondamentalisti islamici, che siano cattolici vandeani o anarchici bestemmiatori di ogni dio, transitano per Orion” e di denunciare una crescente pressione poliziesca su chi – dai centri sociali dissidenti dal Leoncavallo a cittadini iraniani – trattiene rapporti con la rivista. Una repressione preannunziata, data per scontata da chi, 15 anni dopo, torna a rovesciare l’aforisma di Von Clausewitz.

“Quelli che vanno a fondare Sinergie Europee” dichiarano apertamente che “la politica va intesa per quel che realmente è: la continuazione della guerra con altri mezzi” e annunciano la ridiscesa in campo in un processo di aggregazione che richiama con forza l’esperienza degli anni ’60 di Jean Thiriart, l’ex Waffen Ss vallone, fondatore del primo movimento nazionalista europeo.

Dalla destra radicale “insieme eterogeneo di correnti ideologiche (dai neonazisti veri e propri ai corporativisti, dai teorici della rivoluzione conservatrice ai “cercatori del Graal”, dalla sinistra fascista alla corrente spiritualista e idealista dello stesso fascismo, dai razzisti ariani e celti ai semplici anticomunisti duri)”, una scheggia rivoluzionaria è approdata a una posizione antimperialista e antimondialista, di lotta dura alla “congiura delle élite” plutocratiche, sioniste e massoniche, dalla parte dei popoli.

La nuova sintesi che Orion propone ha caratteri di originalità: “una peculiare visione in chiave islamica della possibile alleanza con l’ex Unione Sovietica e il mondo islamico”

 

17 Gennaio 2018

Autore:

redazione


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