IL BRAND – Tra grafica e comunicazione
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IL BRAND – Tra grafica e comunicazione

 

pasolinide_andr__webbrolo_alda_merini_web_thumb_medium400_566Interessante quanto scritto da  Gabriele Paolacci che dà la misura su l’identificazione di una linea grafica o pubblicitaria rafforzi nel tempo l’immagine ed il valore di chi l’ha attuata nel tempo e come spesso l’identificazione verso quel prodotto possa generare, a volta artatamente, confusione di ruoli ( ‘miscari i carti).

Negli anni passati, il termine brand è stato esplicitato in molti modi, con riferimenti comunemente accettati ma con accenti diversi.

Sebbene spesso le elucubrazioni formali siano esercizi sterili in termini sostanziali, in questo caso cercare di comprendere le definizioni date alla marca (o brand) è in realtà un metodo efficace di sviscerarne il significato. Infatti, l’evoluzione del concetto di marca negli ultimi anni trova una certa rispondenza nei suoi tentativi di definizione; analogamente, a partire da questi possiamo ricavare spunti preziosi per una successiva e rigorosa analisi dell’oggetto di studio.

Ed pggi è facile associare al brand anche la lnea grafica che unisce prodotti, inizitive ed eventi.

Di fatto la linea grafica, sopratutto nelle pubbliche amministrazioni, diventa una linea d’identità del prodotto e delle iniziative portate avanti da quell’Istituzione.

Nel lontano 1960, l’American Marketing Association (AMA) definiva il brand come “un nome, un termine, un segno, un simbolo, un disegno o una loro combinazione che identifica un prodotto o servizio di un venditore e che lo differenzia da quello del concorrente”.

Questa definizione, ancora oggi insegnata e da ritenersi valida, si concentra, a ben guardare, sulla funzione distintiva del brand: se il marchio è sintetizzabile come “segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa” (artt. 2569-2574 C.C., R.D. 929/42), questi due concetti, marca e marchio, sembrerebbero quasi perfettamente sovrapponibili.

La fondamentale definizione dell’AMA è fatta propria anche da Kotler e da Aaker: “la marca è un nome o un simbolo distintivo (per esempio un logo, un marchio, il design di una confezione) che serve ad identificare i beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di venditori e a differenziarli da quelli di altri concorrenti”

Pur se in termini accrescitivi (Aaker si spinge fino al design di una confezione per esemplificare il simbolo distintivo, quasi a voler considerare elementi non propriamente tangibili), anche lo studioso di Berkeley condivide questa definizione “tecnica” del brand, precisa ma non esaustiva se si voglia sviscerarne il significato.

effelunga_5Altri studiosi hanno dato della marca definizioni meno puntuali e più ricche: per De Chernatony e McDonald essa è ”un prodotto, servizio, persona o luogo, aumentato in misura tale che l’acquirente o l’utilizzatore percepisca elementi unici e rilevanti di valore aggiunto che incontrino i suoi bisogni e che tale valore
sia sostenibile nei confronti dei concorrenti”.

effelunga_6Pur se piuttosto fumosa, questa definizione ci consente di intuire nuove dimensioni oltre a quella della distintività, già considerata, della marca: essa è rivolta a specifici individui; qualora i suoi elementi distintivi (“unici”) incontrino i bisogni di questi, la marca darà un valore aggiunto a ciò che identifica. La caratteristica della marca dipende quindi da come gli individui la percepiscono: dai destinatari del messaggio oltre che dai suoi emittenti. Ci si distacca, pertanto, dalla visione del brand come semplice segno distintivo del prodotto che identifica.

Il pubblicitario Walter Landor definisce il brand “una promessa: identificando ed autenticando un prodotto o un servizio, annuncia un impegno di soddisfazione e qualità”. La marca è una precisa assunzione di responsabilità, una garanzia data ai consumatori rispetto ai prodotti contrassegnati.

Il consulente di branding Colin Bates definisce addirittura la marca svincolandola del tutto dal prodotto che identifica, come “un insieme di percezioni nella mente del consumatore”. Pur peccando di eccessivo astrattismo, Bates accentua in modo forte l’intangibilità della marca, sminuendo l’importanza dei segni distintivi che la rappresentano e focalizzandosi piuttosto sul suo destinatario, il potenziale fruitore del brand.

Anche Kapferer, studioso europeo di branding, prende idealmente le distanze dal “brand come marchio”: “è l’essenza del prodotto, il suo significato e la sua direzione, ne definisce l’identità nel tempo e nello spazio”3. La marca è il luogo concettuale dove si sedimentano l’evoluzione passata e futura dell’offerta, l’identità dell’impresa e con essa l’esperienza del consumatore. Zara descrive la marca come “una sintesi di risorse dotate di potenziale generativo, capaci di accrescere nel tempo la fiducia e la conoscenza su cui si fonda la marca stessa attraverso la creazione di valore.

Con specifico riferimento alle relazioni con i consumatori, tale capacità deriva dall’aggregazione, intorno a specifici segni di riconoscimento, di un definito complesso di valori, di associazioni cognitive, di aspettative e di percezioni, al quale i segmenti di domanda attivati dall’impresa attribuiscono un valore-utilità
che eccede la performance tecnico-funzionale del prodotto identificato dalla marca stessa e che pertanto si traduce in un valore differenziale per l’impresa”4.
Se non ha il pregio della sintesi, questa definizione anticipa il concetto fondamentale di valore della marca e mostra come esso derivi al contempo
dall’impresa e dal consumatore.

Si potrebbero riportare molti altri tentativi di definizione, alcuni efficaci, altri in bilico tra la frase ad effetto e l’aforisma: ognuno va a cogliere diverse dimensioni di un concetto, quello di brand, che per la sua multidimensionalità è molto difficile da sintetizzare. Se ciascuna definizione ha il merito di evidenziarne degli aspetti, tutte sono inevitabilmente incomplete. Questo perché, come vedremo, la marca è comprensiva di tutto: del suo nome, del suo marchio, dei prodotti o servizi che identifica, della sua storia, del valore che porta… per arrivare fino ai due estremi stessi della relazione, l’impresa e il consumatore. Nel corso del lavoro, quando ad emergere saranno talora alcuni, talora altri aspetti, la poliedricità del concetto apparirà ancora più chiara. Forse proprio in questa difficoltà di formalizzare il brand risiede il successo di una definizione, quella ormai datata dell’American Marketing Association, che senza la presunzione di catturare tutta la complessità della marca ne descrive puntualmente la manifestazione fisica.

I LUOGHI

Se si riuscirà a a comprendere meglio il concetto di brand mostrando le funzioni a cui assolve, è importante dargli da subito visibilità: comprendere gli ambiti in cui esso è utilizzato, le categorie nelle quali si presenta o si potrebbe presentare. “Localizzare le marche” prima di addentrarsi nel suo funzionamento è al contempo un modo di evidenziarne la presenza e di premetterne l’importanza.

L’assunto fondamentale è che la marca nasce nella mente del consumatore.

Tutto può costituire o divenire brand se come tale viene percepito, se diviene oggetto di un insieme di percezioni, come nella definizione di cui sopra. Così,
possiamo individuare delle marche in tutte le seguenti categorie

Prodotti di consumo: rappresentano ciò che è comunemente considerato prodotto in senso stretto, e sono uno degli ambiti in cui la marca più ha e ha avuto importanza. Si guardi al concetto stesso di prodotto di marca: “ciò che distingue un prodotto di marca dai prodotti non di marca (unbranded) e gli dà valore è la percezione complessiva sviluppata dai consumatori in merito alle sue caratteristiche, al nome che l’identifica e al suo significato, nonché all’azienda associata a quella marca (Achenbaum 1993)”. Sebbene si debba applicare questa utile definizione anche alle categorie successive, il primo ambito a cui è facile far riferimento è proprio quello dei prodotti di consumo, proprio per la diffusione che ha avuto in passato l’utilizzo del brand in questa categoria. Si pensi sia a marche di beni di largo e frequente consumo (Fast-  Moving-Consumer-Good, FMCG) come Coca-Cola, Marboro, che a marche di beni durevoli, quali Mercedes-Benz o Sony.

Prodotti business to business: nell’ambito dei beni industriali, l’utilizzo della marca è in rapida espansione, essendone stato riconosciuto il ruolo importante nelle transazioni tra imprese oltre che tra impresa e consumatore. Trattasi di un utilizzo prevalente del brand aziendale, che mira a far emergere l’impresa b2b dal complesso di tutte le concorrenti, rendendola un interlocutore e partner commerciale affidabile.

Servizi: rappresentano uno degli ambiti in cui la marca ha avuto, negli ultimi tempi, un tasso di utilizzo molto crescente. L’immaterialità dell’offerta e la variabilità dei soggetti in essa coinvolti, che ne sono state forse un tempo un freno, stanno oggi trovando proprio nella marca un’eccezionale ”opportunità di sintesi”: il brand Vodafone, per esempio, identifica e rende riconoscibili le caratteristiche di un’intera gamma di servizi (piani, promozioni) e insieme i soggetti che a vario titolo contribuiscono alla sua erogazione (sito Internet, commessi…). L’utilizzo dei brand è frequente anche per identificare singoli servizi speciali (Vodafone Live). Va evidenziato come, aldilà della crescita dell’ultimo decennio, in questa categoria esistano da molti anni sul mercato brand forti e noti (basti ricordare American Express, British Airways).

Dettaglianti e distributori: analogamente ai servizi, anche nel canale distributivo la presenza della marca è crescente. Si pensi alle marche commerciali (private labels), che sempre più distributori adottano (in Italia, per esempio, Pam o Esselunga) o all’evoluzione delle stesse insegne, sempre più posizionate e dotate di una propria immagine.

Prodotti e servizi on-line: nell’ultimo decennio, nuove aziende sono nate (e morte) su Internet e vecchie vi si sono affacciate, spesso con entusiasmo e decisione ma con alterne fortune. Il ruolo della marca è fondamentale, costituendo un riferimento e un’interfaccia comune per soggetti spesso dispersi geograficamente. Google e E-Bay sono entrambi esempi di azienda pure player e brand online rapidamente divenuto credibile e sinonimo di affidabilità, al punto da essere, nel ranking Interbrand delle marche globali, rispettivamente la prima e la terza per tasso di crescita.

Individui e organizzazioni: anche le persone fisiche possono essere dei brand.

Ne abbiamo un esempio banale nell’industria cinematografica, dove nomi di autorevoli registi sono spesso utilizzati per dare risalto o portare un significato in più a progetti che li coinvolgono in minima parte (“Wes Craven presenta…”); personaggi dello spettacolo, politici o altre figure pubbliche impegnate nell’ottenimento di un qualche consenso cercano di crearsi un’immagine affidabile e in un qualche modo accattivante; ma in senso lato, ogni qualvolta le persone si impegnano a conquistare, con i propri spontanei atteggiamenti, una propria credibilità, stanno costruendo il proprio brand. Sport ed entertainment: club sportivi danno in licenza il proprio marchio e cercano di renderlo prestigioso, anche con attività sociali ed extra-sportive in generale (Fondazione Milan); i sequel di film di successo fanno leva sull’appeal dei precedenti, i cui nomi si affermano come veri e propri brand (Matrix, Star Wars…) e sono come tali valorizzati dalle case di produzione.

Luoghi geografici: nell’immaginario collettivo, alcune città d’arte sono dei city brand, percepiti in modo preciso e definito; le amministrazioni locali consapevoli possono sfruttare il loro prestigio utilizzandone il nome o addirittura il logo (il rinnovato leone alato di Venezia) e al contempo cercare di accrescerlo (lo slogan di Treviso “se la vedi ti innamori”). Ancora, si pensi all’appeal del Made in Italy in tutto il mondo. Idee e cause: anche in ambito umanitario e non-profit si sono spesso creati dei veri e propri brand: enti come Emergency o Amnesty International hanno potuto beneficiare dei rispettivi, così come la lotta all’AIDS ha da tempo un simbolo nel fiocco rosso.

Questa breve rassegna dovrebbe far intuire, per ora in termini puramente quantitativi, quanto l’utilizzo della marca sia penetrato nei mercati, entrando a far parte della vita degli individui oltre che dei consumatori.

16690855_odore-di-chiuso-7il_nipote_del_negusCourtesy-of-Sellerio-EditoreLE FUNZIONI

Per il consumatore

I ruoli che la marca ricopre sono molteplici, analizzabili secondo le prospettive dei diversi soggetti che, in modo diretto o indiretto, vengono con questa a contatto. Innanzitutto, ci si concentri sulle funzioni che il brand ricopre per il consumatore. Utilizzando i termini prodotto e consumatore si farà sempre riferimento, di fatto, all’oggetto identificato dal brand e al soggetto che viene con esso a contatto, sia esso un individuo o un’organizzazione.

Piraino_Natale_2009_log_342_x_401piraino_1Il presupposto dell’importanza della marca per il consumatore risiede nel concetto di rischio percepito: è intuibile che quando il consumatore investe delle risorse (tempo, denaro, energie mentali…) in un processo d’acquisto, facilmente percepisce un rischio di insoddisfazione nello stesso. Il rischio è percepito per motivi imputabili all’acquirente (il suo coinvolgimento nell’acquisto) o all’oggetto da acquistare (presenza o meno di indicatori delle sue qualità prima dell’acquisto). Ci sono diversi tipi di rischio6: funzionale (performance inferiore alle aspettative); fisico (minaccia per il benessere o la salute di chi lo utilizza o di altri soggetti); finanziario (valore del bene inferiore al prezzo pagato); sociale (il prodotto potrebbe creare situazioni imbarazzanti nel rapporto con gli altri); psicologico (il prodotto influisce negativamente sul benessere psichico dell’utente); temporale (se il prodotto non è soddisfacente, servirà ulteriore tempo per trovarne un sostituito adeguato).

La marca, con la sua stabilità e reputazione consolidata, è una delle soluzioni che il consumatore sente di avere a disposizione per ridurre questi rischi. Viceversa, il ruolo del brand cessa di esistere nel momento in cui il consumatore non sente di rischiare acquistando una merce piuttosto cheun’altra. Ecco perché ci sono mercati dove le marche non esistono, hanno un ruolo meramente segnaletico o sono prevalentemente commerciali. Il diverso rischio percepito, variabile in base ai mercati, allo spazio e al tempo, è uno dei motivi principali per cui le funzioni che ci accingiamo a descrivere non sono presenti con la medesima intensità in tutte le tipologie e fattispecie di marche. Kapferer assegna al brand otto funzioni7:

• Identificazione: è la funzione segnaletica. Riconoscendone il nome o il marchio (rispettivamente brand name e brand mark secondo le definizioni di Kotler8), il consumatore identifica immediatamente il prodotto e/o la sua fonte di provenienza tra quelli che lo circondano. L’esempio tipico è quello del barattolo di una certa marca esposto tra gli altri negli scaffali.

• Praticità: riconoscere una marca con la quale ha avuto esperienze positive permette al consumatore di risparmiare tempo ed energie nell’acquisto: non avrà più bisogno di cercare informazioni, di vario carattere, che può o sente di dare per scontate; sarà propenso a confermare le scelta passata, senza metterla in discussione e senza cercare alternative di marca costose in termini di tempo.

• Garanzia: la marca dà al consumatore la sicurezza di qualità costante nel tempo e nello spazio. Acquistando la stessa marca in due luoghi diversi e lontani, egli troverà le stesse caratteristiche; analogamente, in momenti distanti del tempo questi si sentirà garantito nel riacquisto dal permanere della marca.

• Ottimizzazione: sicurezza del consumatore di acquistare il prodotto migliore della sua categoria, o il più adatto a soddisfare le sue esigenze specifiche. Questi è disposto a pagare un prezzo anche considerevolmente più alto (premium price) per il prodotto di marca che gli dia questa sicurezza.

• Caratterizzazione: conferma della propria immagine. Il consumatore cerca e trova nella marca una riaffermazione di sé, o del sé che vuole presentare agli altri. Va evidenziato come, rispetto a tempi e climi culturali passati, i prodotti siano sempre meno un fine e più un mezzo di espressione della personalità. Questo non diminuisce affatto la loro pregnanza e quella delle marche nella vita degli individui, ma li dota di una rinnovata funzione, quella, appunto, di conferma della propria immagine. Le funzioni di garanzia, ottimizzazione e caratterizzazione superano il ruolo segnaletico delle prime due e ne abbracciano uno prettamente di riduzione del rischio percepito dal consumatore.

• Permanenza: soddisfazione dalla familiarità con il brand. Il consumatore prova piacere nel rapporto con una marca con la quale si relaziona da molto tempo.

• Edonismo: soddisfazione dall’esteriorità della marca. Il consumatore è attratto dal suo nome, dal logo, da come essa si presenta e comunica. • Etica: soddisfazione dalla responsabilità sociale della marca. Il consumatore è divenuto generalmente più sensibile alle problematiche sociali, e si attende talora la stessa attenzione da parte della marca agli aspetti inerenti l’ecologia, l’occupazione, il rispetto dei minori nella pubblicità. Le ultime tre funzioni concernono il “piacere” ricavabile dal consumatore nel suo rapporto con la marca.

L’analisi delle funzioni svolte dai brand nei singoli mercati è anche una delle chiavi per comprendere lo spazio di azione dei distributori in termini di marche commerciali: se il ruolo del brand è prevalentemente segnaletico, infatti, questi avranno buon gioco nell’introdurre proprie marche, che svolgano le stesse funzioni a costi minori; viceversa, se i brand svolgono anche funzioni più complesse, le marche commerciali riusciranno difficilmente a competere. In generale, più ricco è il ruolo rivestito da un brand, più questo sarà tutelato dalla minaccia delle marche dei distributori.

tn_Manifesto_Rally_Costa_Saracena_2008locadina_2Per l’impresa

Anche per l’impresa, il brand ha una funzione di identificazione: la marca è un mezzo per semplificare le operazioni di gestione e controllo dell’inventario, delle registrazioni contabili, in generale del prodotto.

La marca è un importante strumento di tutela giuridica: l’impresa può, per mezzo di questa, proteggere legalmente le caratteristiche uniche del prodotto.

In capo alla marca ci possono essere i diritti di proprietà intellettuale che il suo titolare può esercitare (è il concetto di trade mark, secondo la terminologia dettata da Kotler): il nome del brand può essere protetto mediante marchicommerciali registrati; i processi produttivi sono oggetto di brevetti, così come il packaging, tutelabile anche grazie alla disciplina del diritto d’autore.

Le esperienze positive del consumatore con una marca, come abbiamo visto, possono tradursi in un riacquisto e in una sempre rinnovata fiducia nel brand.

La fedeltà del consumatore alla marca (brand loyalty), obiettivo sempre più ricercato dalle imprese, garantisce certezza e costanza della domanda, costituendo barriere all’entrata difficili da valicare per la potenziale concorrenza.

Il brand, pertanto, è una importante fonte di vantaggio competitivo. Infine, e in virtù di tutte queste sue apprezzate funzioni, il brand è una fonte di risorse finanziarie: come sarà approfondito, la marca è un asset con un valore intrinseco oltre che con specifici ruoli, suscettibile di essere monetizzato alienandolo a vario titolo.

Altre funzioni

La marca del produttore ha anche funzioni ed effetti indiretti, collaterali alla relazione con il consumatore: per il distributore, la presenza di marche note e ben pubblicizzate favorisce la visita al negozio e ne influenza la percezione del cliente. Per questo motivo, gli obiettivi di fidelizzazione al punto vendita (store loyalty) trovano uno strumento molto importante nelle marche dei produttori. La marca, infine, ha anche una funzione per il sistema economico: trattandosi di “una promessa ed un impegno verso il consumatore”, può favorire un più alto livello qualitativo dei prodotti e l’innovazione, atta a mantenere vivi i vantaggi competitivi derivanti dalle marche stesse.

 imagesIL VALORE
Tra marketing e finanza Il valore della marca (brand equity) è un concetto salito alla ribalta nella letteratura di marketing in un tempo relativamente recente.

Questo proprio perché, tautologicamente, la marca è stata valorizzata solo di recente. Prima degli anni ’80, i multipli (o Price/Earnings ratio: il rapporto del prezzo di un titolo azionario diviso gli utili per azione della società) di una tipica operazione di fusione o acquisizione si aggiravano intorno a valori di sette o otto: tanto era il prezzo pagato per un’azienda rapportato ai suoi guadagni. Successivamente, i prezzi corrisposti cominciarono ad incrementare vertiginosamente, fino a superare sovente valori pari a venti volte i guadagni delle aziende rilevate. Nestlè, a titolo di esempio, nel 1988 comprò Rowntree Macintosh (produttrice di dolciumi) ad un prezzo pari a 26 volte i suoi utili. Si cercava di investire in aziende sottovalutate, le cui forti marche avrebbero portato crescita, utili, valore per gli azionisti. Non si acquistavano più solo entità produttive, ma anche e soprattutto dei posti (già occupati) nelle menti dei consumatori. Si riconosceva la difficoltà di creare da zero marche della forza di quelle già affermate, che tuttavia non erano adeguatamente valutate o neppure considerate a bilancio.

Oggi, le risorse intangibili, e in particolare i brand, sono considerati dalle aziende la loro risorsa più grande, e costituiscono spesso la quota prevalente del valore aziendale: in una tipica impresa produttrice di beni di consumo ad acquisto ricorrente, gli asset tangibili supererebbero a malapena il 10% del valore totale.

logSe la maggioranza del valore intangibile è dato proprio dal brand, si comprende come queste considerazioni abbiano dato grande ribalta al concetto di valore della marca. Un importante filone di ricerca ha elaborato diversi metodi di valutazione del brand e degli altri asset intangibili: utilizzando criteri storici (come la determinazione dei costi sostenuti per creare il brand) o meglio prospettici (come i guadagni attesi), fino ad arrivare a metodi complessi

Tratto dalla TESI DI LAUREA. LA STRATEGIA DI BRAND EXTENSIONNELLA PROSPETTIVA DEL CONSUMATORE di GABRIELE PAOLACCI


27 Febbraio 2012

Autore:

admin


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